Negli ultimi decenni dell’Ottocento, dopo quasi sei secoli di dominio indiscusso su un territorio appartenente a tre distinti continenti, l’Impero ottomano entrò definitivamente in crisi, iniziando pian piano a disgregarsi. Esso cedette alle spinte indipendentistiche dei popoli sottomessi e alle mire espansionistiche delle maggiori potenze europee. Anche l’autorità del sultano perse gradualmente vigore; questo permise l’affermarsi dei Giovani turchi, un movimento nazionalista composto per lo più da funzionari e militari. Nel 1908 con un colpo di stato i Giovani turchi riuscirono a imporsi sul sultano. Assunto il potere, essi cominciarono a lavorare con l’intento di rendere l’Impero ottomano uno Stato moderno, forte e soprattutto coeso, ben più di quanto lo fosse stato in passato.
Nella prospettiva nazionalistica dei Giovani turchi la principale causa del progressivo indebolimento dell’Impero andava individuata nella sua secolare natura multietnica e multiconfessionale. Infatti, l’Impero ottomano aveva sempre accolto al suo interno territori e popoli molto diversi, diventando così un crogiuolo di etnie e culture. I Giovani turchi, però, credevano che questa disomogeneità avesse portato l’Impero a una lenta decadenza; quindi, secondo loro, per poter recuperare forza, esso doveva essere innanzitutto unificato dal punto di vista etnico, linguistico e religioso. In sostanza, il progetto dei Giovani turchi prevedeva la creazione di uno Stato pienamente turchizzato e islamizzato. Purtroppo, definito tale progetto, il popolo armeno fu subito identificato come un ostacolo alla sua positiva realizzazione.
Gli Armeni, antico popolo di fede cristiana, erano stati inglobati dall’Impero ottomano già nel XV secolo. Ben presto essi andarono a costituire l’élite culturale ed economica della popolazione; infatti, erano uomini molto colti e benestanti, che svolgevano lavori di un certo prestigio e rivestivano ruoli importanti all’interno della società. Questo li rese particolarmente invisi alla maggioranza turca, che iniziò a classificarli come cittadini di seconda categoria perché non turchi e non musulmani. Nel tempo gli Armeni furono sempre più pesantemente discriminati per la loro appartenenza etnica e religiosa e alla fine dell’Ottocento divennero oggetto di feroci massacri ordinati dal sultano stesso. Questi ripetuti atti di violenza, però, contribuirono ad alimentare nel popolo armeno il desiderio di indipendenza.
La presa di potere da parte dei Giovani turchi rappresentò per gli Armeni un significativo peggioramento della loro condizione. I nazionalisti turchi vedevano negli Armeni un’entità culturale e religiosa troppo definita per poter essere turchizzata e, quindi, assimilata; per di più le aspirazioni indipendentistiche di questo popolo mettevano a rischio l’integrità territoriale dell’Impero. Pertanto, gli Armeni furono bollati dai Giovani turchi come un male da estirpare il più velocemente possibile, così da permettere all’Impero ottomano di trovare una solida coesione sotto la guida di un popolo puramente turco e musulmano.
L’occasione favorevole e tanto attesa per disfarsi dello straniero armeno fu data ai Turchi dalla Prima guerra mondiale. Allo scoppio del conflitto molti Armeni avrebbero voluto restare neutrali, perché arruolarsi nell’esercito ottomano avrebbe significato combattere contro la Russia, dove a quel tempo viveva più di un milione di loro fratelli. Questo diede ai Turchi il pretesto per accusare gli Armeni di essere ribelli e traditori dello Stato e, di conseguenza, per intervenire tempestivamente al fine di rimuovere la presunta minaccia armena. Il 24 aprile 1915 il governo turco emanò l’ordine di arrestare ed eliminare i leader politici e religiosi armeni; si verificò poi l’arresto dei militari e, infine, quello della restante popolazione civile. Era così iniziato il genocidio armeno, preparato però sin dagli ultimi mesi del 1914.
Numerosi Armeni, soprattutto maschi, furono atrocemente uccisi sul posto subito dopo l’arresto. Gli altri, per lo più donne e bambini, furono destinati alla deportazione in aree desertiche della Siria. Essi, dunque, furono costretti ad affrontare lunghe marce sotto il sole, alle quali molti non sopravvissero a causa della fame, della sete e dello sfinimento. I superstiti, invece, furono condannati a morire lentamente per gli stenti, il caldo e le malattie all’interno di improvvisati campi di concentramento. Bastarono in realtà pochi mesi per far sì che il numero delle vittime arrivasse a un milione e mezzo. Inoltre, gli Armeni vennero privati di ogni cosa: i loro beni, le loro case e soprattutto le loro terre furono requisite dal governo turco, il quale trovò nel massacro del popolo armeno un’ignominiosa fonte di arricchimento.
Mappa del genocidio armeno |
La vicenda fu resa ancor più tragica dal fatto che il genocidio armeno fu quasi subito dimenticato, restando per decenni nell’ombra della nostra coscienza storica. Le nazioni europee, grazie a funzionari e diplomatici presenti in territorio ottomano al tempo della Grande Guerra, erano state dirette testimoni della sistematica uccisione degli Armeni; a un certo punto avevano anche minacciato di intentare un processo contro i responsabili della strage. Tuttavia, alla fine del conflitto, sopraffatte dalla crisi postbellica e impegnate a ricostruire un intero continente, esse lasciarono cadere nell’oblio le atrocità perpetrate ai danni degli Armeni. Purtroppo, a distanza di oltre cento anni la comunità internazionale non si è ancora espressa in modo chiaro e univoco sul genocidio armeno. Al momento soltanto una trentina di Paesi del mondo, tra cui l’Italia, lo riconoscono ufficialmente; molti altri, invece, continuano a tacere, forse per timore di compromettere i rapporti diplomatici con Ankara.
Da parte sua la Turchia, diventata una repubblica nel 1923, non ha mai ammesso il genocidio. Essa sostiene di aver agito contro la minaccia degli Armeni ribelli e traditori e ridimensiona notevolmente il numero dei morti, portandolo a un massimo di 300 mila persone. Secondo quanto il governo turco si ostina a dichiarare non ci sarebbe stato alcun sistematico e intenzionale sterminio del popolo armeno, alcuna programmata pulizia etnica. Pertanto in Turchia prevale una politica fermamente negazionista, per la quale i pochi cittadini turchi che osano parlare di genocidio sono destinati al carcere o all’esilio.
Altro fronte è quello degli storici. Sostenuti dai documenti d’archivio e dalle testimonianze dei sopravvissuti, essi sono in prevalenza concordi nell’identificare il massacro armeno del 1915 come il primo genocidio del Novecento, il quale avrebbe dunque anticipato o addirittura dato spunto a quello di poco successivo contro gli Ebrei. Tuttavia, al di là delle prove e dei pareri storici, i colpevoli restano tuttora impuniti, così come le vittime e i loro discendenti non sono mai stati adeguatamente risarciti.
In attesa del dovuto riconoscimento del crimine subito, ogni 24 aprile gli Armeni ricordano il genocidio, che per loro è diventato il Metz Yeghern, cioè il Grande Male. Luogo della memoria è il mausoleo di Dzidzernagapert (Collina delle rondini) a Erevan, capitale dell’attuale Repubblica armena. Qui il popolo armeno, oggi diviso tra l’Armenia e il resto del mondo, si riunisce per commemorare i suoi morti con una solenne processione. La cerimonia si conclude nel cuore del mausoleo, dove brucia il fuoco della memoria, simbolo della tenacia con cui gli Armeni si oppongono agli omertosi e ingiusti tentativi di cancellare l’odio e la violenza che hanno segnato la loro storia.
Valentina Bergamini
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