«Ma tu come ti vestii a Carnevale?»
Salvo e Fabrizio sono due giovani ragazzi di vita, di sapore pasoliniano, che, pur di sopravvivere, si trovano costretti a compiere piccoli furti di poco conto. Ne hanno appena compiuto uno; nella refurtiva, tra i vari oggetti rubati, c’è un album di fotografie. Fabrizio comincia a sfogliarlo mentre il sanguigno Salvo va avanti e indietro, sopra la terrazza di una casa in periferia, rimuginando su quanto poco abbiano ricavato dal furto.
«Ma tu come ti vesti a Carnevale?», questa domanda pone Fabrizio a Salvo il quale, di rimando, gli risponde in malo modo. Come è possibile pensare al Carnevale, alle fotografie, al passato e ai ricordi quando il loro presente ed il loro futuro hanno l’amaro sapore della sconfitta?
Eppure quella domanda, così semplice, gettata lì per caso, comincia piano piano a scavare nella coscienza del giovane Salvo tanto da costringerlo a mettersi alla ricerca del proprio album di famiglia e a restituire, alla fine, quello rubato.
Basta poco per far riaffiorare un ricordo, un dolce per Proust, una fotografia per Fabrizio e Salvo; un oggetto, una sensazione, un paesaggio e subito nella nostra memoria, tra i tanti pensieri, si fa avanti un pezzettino del nostro passato. Questi non ci abbandona mai del tutto ma sopravvive in noi, nella nostra memoria, attraverso i nostri ricordi che, come sottolinea il titolo del cortometraggio, sono il nostro «oro di famiglia».
Un ricordo dice quali sono le nostre radici. Lo sguardo di Salvo diventa malinconico mentre osserva le fotografie contenute nell’album rubato. Il passato, quando riaffiora alla nostra memoria, ha in sé tutta la dolcezza dell’innocenza ma, purtroppo, questa dolcezza si tramuta, in seguito, in amarezza quando confrontiamo quello che eravamo e quello che siamo ora. Salvo si sente così distante dal passato che vede scivolargli dalle mani.
Un ricordo è quanto di più poetico noi possediamo. Sant’Agostino ricordava che la memoria era la traccia del divino in noi; il ricordo è la poesia che abbellisce il presente. Salvo vuole regalare alla sua fidanzata un album dove conservare tutte le loro fotografie, dimostrando così di possedere, sotto quella scorza da duro, un animo gentile. La fidanzata, però, non comprende il vero valore di quel regalo perché la tecnologia ha ucciso la poesia ed il romanticismo.
«Ma io ti ho regalato l’album perché almeno ti rimane il ricordo con le foto! Quando si rompe il telefono non ne hai più!» cercherà di farle capire, ma inutilmente. «Mamma mia, quanto sei vecchio!» sarà la risposta della ragazza.
Un ricordo è una bussola per il futuro. Salvo alla fine comprende che non può rubare un album di fotografie: non può rubare il passato e l’identità di una persona, sarebbe un atto inumano! Ed ecco che lo riporta indietro e, sulla via del ritorno, sorride perché, grazie a quei ricordi, la famiglia derubata può contare su un valido aiuto per il proprio futuro. Sì, perché il ricordo ha anche il potere di indicarci la strada da seguire.
L’oro di famiglia è uno splendido corto di Emanuele Pisano, in gara per il premio come miglior cortometraggio dell’anno ai David di Donatello. In poche battute, e con uno stile asciutto ed essenziale, coadiuvato inoltre da una solida sceneggiatura e da un cast eccellente e all’altezza, il giovane Emanuele confeziona un cortometraggio interessante che pone l’accento su un tema tanto caro all’arte: la necessità di conservare i propri ricordi.
In momenti bui è necessario rifugiarsi nei propri ricordi, nella propria isola felice. In momenti di crisi come questi un ricordo è essenziale per ricordarci chi siamo e da dove veniamo: definisce la nostra identità. In momenti di dubbio ed incertezza un ricordo può illuminare il cammino che dobbiamo intraprendere. Privare di un ricordo è privare del futuro!
Ed alla fine del cortometraggio faremo nostro il sorriso di Salvo, che, con leggerezza, cammina tra le strade della città di notte. Leggerezza: anche di questo è capace un ricordo.
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