Se si effettua una ricerca su internet si evince che il termine Grande Reset viene generalmente associato ad un complotto delle élite mondiali a danno delle masse di cittadini. Ossia una serie di eventi atti a creare un nuovo ordine mondiale attraverso l’imposizione di nuovi valori che modificherebbero l’assetto socio-economico del secolo. Parecchi video e articoli esprimono toni apocalittici e generalmente se ne fa una descrizione esclusivamente nefasta. In questo articolo si intende bilanciare gli estremismi delle posizioni utilizzando una chiave quanto più oggettiva possibile tale da prendere in esame le principali posizioni partendo dallo status quo, provando nel contempo a caratterizzare le possibili prospettive senza tuttavia tralasciare un’interpretazione dell’autore.
Status quo
Lo sviluppo tecnologico attuale è caratterizzato dalla presenza di internet e di una digitalizzazione sempre più spinta, ma anche da industrie tradizionali e dall’esigenza sempre meno pressante di manodopera operaia a causa dell’automatizzazione. L’introduzione di internet nella vita quotidiana viene considerato da parte di alcuni come l’evidenza di un passaggio alla terza rivoluzione industriale che ha permesso di creare aziende digitali come Google, Twitter, Facebook e molte altre con grandi capitalizzazioni ottenute in breve tempo. Dall’altro lato abbiamo produzioni industriali molto impattanti sull’ambiente come avviene in molte parti della Cina e diversi paesi emergenti. Inoltre nei paesi sviluppati si utilizzano molti pesticidi e un’agricoltura intensiva che sta impoverendo il suolo e la biodiversità del pianeta, contribuendo all’accelerazione dei processi di mutamento climatico. Gli eventi climatici avversi sono altresì diventati sempre più frequenti e violenti e costituiscono un grave danno alle prospettive di vivibilità planetaria, mostrando come l’attuale sistema socio-economico non può reggere così com’è per molto tempo.
Studi sul futuro prossimo del mondo
Negli anni Settanta il Club di Roma commissionò al Massachusetts Institute of Technology di Boston uno studio in cui vennero analizzati tutti i dati globali relativi allo sviluppo mondiale, utilizzando i primi elaboratori elettronici. Il rapporto è noto come Rapporto sui limiti dello sviluppo (The Limits to Growth) e uscì nel 1972. Sostanzialmente si affermava che qualora il tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse sarebbe continuato in maniera immutata, i limiti dello sviluppo del pianeta saranno raggiunti entro i prossimi cento anni. In questo modo il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale. Gli scienziati crearono vari modelli (stabilizzazione della popolazione, oppure dell’inquinamento, della produzione di cibo ecc.) giungendo alla conclusione che per evitare il collasso mondiale l’unica soluzione possibile sarebbe stata quella di modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano.
Lo studio creò un enorme dibattito e molte polemiche su come fossero stati sviluppati i modelli e sui dati presi in esame. Trent’anni dopo vennero eseguite altre analisi che giunsero alle stesse conclusioni, confermando quindi i risultati di allora. Dalle curve prodotte si evincono dei dati piuttosto preoccupanti, per cui si prevedeva che verso il 2008 la produzione industriale procapite avrebbe raggiunto il picco per poi decrescere (in effetti abbiamo avuto la famosa crisi finanziaria che ha portato al fallimento di diverse banche americane, con effetti anche sull’Europa). Allo stesso modo il dato della produzione di cibo e servizi avrebbero raggiunto il picco nel 2020 per poi avere un rapido declino, nel 2030 sarebbe la popolazione mondiale a raggiungere il picco per poi declinare inevitabilmente.
Rapporto sui limiti dello sviluppo
Jeremy Rifkin nelle sue conferenze in merito al problema del PIL mondiale che negli ultimi anni sembra non riuscire più a crescere, spiega (come predetto dal precedente studio) che esso si sia sostanzialmente ridotto sia perché la Cina ha arrestato l’incredibile crescita a due numeri di un tempo, sia perché gli USA, ma soprattutto l’Europa crescono a ritmi prossimi a zero, per non parlare del Giappone che vive una stagnazione da parecchi anni. A questa situazione egli afferma che mantenendo il medesimo modello di sviluppo industriale, seppur venissero immesse nuove idee e progetti geniali, essi sconterebbero comunque dei limiti strutturali che non consentirebbero ulteriore sviluppo. Il problema è stato posto dalla Cancelliera Angela Merkel allo stesso Rifkin una decina di anni fa e lo stesso ha esposto la sua ipotesi teorizzata nel libro La terza rivoluzione industriale, dove suggerisce una totale conversione sostenibile e digitale dell’industria e dell’economia. Questo aneddoto fa comprendere come la questione sul “Che fare?” sia stata posta in maniera fattiva soprattutto in ambiente tedesco, dato che (fonte wikipedia) il termine Industria 4.0 nasce come un progetto di digitalizzazione industriale nel 2011 da parte del Governo Federale Tedesco.
Ovviamente questa idea non si è fermata, diversi think thank mondiali hanno elaborato nuove prospettive a medio termine tra cui il World Economic Forum (WEF) presieduto dal tedesco Klaus Schwab. Questi a tal proposito ha scritto un libro dal titolo La quarta rivoluzione industriale: è interessante notare come Rifkin conteggi la terza rivoluzione industriale in quella che oggi viene definita la quarta, dato che il passaggio intermedio sarebbe avvenuto con l’avvento del digitale e di internet. Ad ogni modo Schwab e il WEF sono stati i maggiori propugnatori della svolta, finché nel 2020 arriva l’occasione propizia: la pandemia da coronavirus.
La pandemia
Come sappiamo la pandemia ha determinato un’emergenza mondiale e la necessità di adottare misure drastiche come le quarantene (oggi si impone il termine lockdown), le restrizioni alla mobilità ecc. Per fare fronte allo choc economico provocato dall’arresto delle attività, sin dall’anno scorso l’Unione Europea ha approvato vari piani divenuti noti come Recovery Plan e altri. Questi massicci piani di investimento presentano degli ambiti di applicazione piuttosto chiari: investimenti su energie alternative, conversione di impianti con tecnologie sostenibili e quindi verdi, digitalizzazione, mobilità sostenibile ecc.
Il passaggio verso questo approccio sembra essere adesso piuttosto rapido, in quanto sino a un paio di anni fa l’approccio europeo era improntato su discussioni legate all’austerità, ai bilanci e all’importanza di attuare le riforme economiche. Con la pandemia chiaramente questi discorsi diventano vani e persino l’indebitamento delle nazioni diventa positivo se messo a frutto: un vero e proprio cambio di paradigma economico! Ma il piano dell’Europa non è isolato, perché è accompagnato anche da quello Statunitense tramite la svolta verde del Presidente Biden. La Cina dal canto suo sta già adottando da alcuni anni importanti investimenti nelle energie alternative ma soprattutto della digitalizzazione. Com’è noto hanno introdotto un sistema integrato che determina un massiccio controllo dei cittadini, dei loro spostamenti, di ciò che scrivono su internet, se pagano le multe ecc. Durante la pandemia hanno mostrato al mondo come un sistema autoritario basato sull’utilizzo degli smartphone per accedere agli edifici e ai mezzi pubblici sembra aver risolto il problema dei contagi in maniera eccellente.
Il Grande Reset
Veniamo quindi al Grande Reset. A sposare questo concetto è stato proprio il WEF che nel corso del 2020 ha persino organizzato un evento online col medesimo titolo, in cui i grandi leader della terra sono intervenuti parlando proprio di questa agenda. Vladimir Putin, Xi Jinping o Angela Merkel si sono espressi esponendo una medesima linea che prospetterebbe un mondo migliore dopo la pandemia: sostenibilità, inclusività, resilienza ecc.
Il Times ha dedicato al tema una famosa copertina, ma anche molti altri giornali si sono occupati dell’argomento. Allo stesso modo su internet si trovano molti articoli e video ma con toni generalmente negativi, per non dire persino complottisti.
Il libro Il grande reset di Ilaria Bifarini sposa questo approccio, così come il filosofo Diego Fusaroe molti altri. I timori sono principalmente di ordine pregiudiziale, dato che tale impulso proverrebbe dalle élite mondiali e di cui non sono chiare tutte le finalità. Ad esempio non ci si sofferma troppo sul fatto che questa rivoluzione creerà un’enorme disoccupazione tecnologica, perché in molti settori, ciò che oggi viene eseguito da un operatore domani potrà essere svolto da un robot o da un algoritmo. Un primo esempio sono le compagnie telefoniche che stanno automatizzando la gestione delle telefonate dei clienti, limitando l’apporto umano. In Cina sorgono fabbriche totalmente automatizzate e prive di operai e si prospetta una prossima introduzione delle auto a guida automatica che renderanno sconveniente l’uso e il possesso dell’auto privata. A tal proposito la parlamentare danese Ida Auken in un articolo dal titolo: Welcome To 2030: I Own Nothing, Have No Privacy And Life Has Never Been Better ipotizza per il 2030 la scomparsa dell’auto di proprietà sostituita da una a guida automatica, come conseguenza di ciò vi sarebbe la fine del traffico per come lo conosciamo e la liberazione delle città dalle auto parcheggiate. Ma non solo, gli spazi domestici verrebbero condivisi con altre persone quando non si è nella stanza e il cibo invece di restare a casa inutilmente verrebbe ordinato tutte le volte che serve. Tutti i prodotti al termine del loro uso verrebbero riciclati e ciò determinerebbe anche un vistoso miglioramento delle condizioni dell’aria e dell’ambiente. Anche l’acquisto di oggetti sparirebbe, salvo quelli davvero necessari. Infine si annuncerebbe la scomparsa della privacy per cui verrebbero registrati tutti i nostri dati e persino i nostri sogni.
In un documento del WEFriguardo al mondo del lavoro dopo la pandemia si prevede che a fronte della crisi Covid avverrà un’accelerazione di tutti i processi di automazione e digitalizzazione per l’84% dei lavori. L’83% delle persone lavorerà a distanza, il 42% dei lavoratori dovrà aggiornare le proprie competenze, il 30% dei lavoratori verrà assegnato a nuovi compiti modificando anche i livelli retributivi. Ma ci sono dati ancor più preoccupanti che riguardano la disoccupazione tecnologica che dicono che il 28% della popolazione perderà il lavoro temporaneamente (e non si può prevedere quando potrebbero recuperarlo), il 13% della forza lavoro verrà ridotto in maniera permanente e solo il 4% non verrà toccato da questi mutamenti.
Facciamo un passo indietro, perché il problema del futuro prossimo è stato affrontato anche in altri contesti come la Rockefeller Foundation che nel documento del 2010 intitolato Scenarios for the Future of Technology and International Development ipotizzano quattro possibili scenari per i prossimi anni. Si prevedono evoluzioni sociali diverse e un contestuale utilizzo delle tecnologie emergenti atte a trovare soluzioni. Se in ogni scenario è comunque possibile trovare qualcosa dell’oggi, quello che colpisce è lo scenario Lock step in cui si prevedeva che nel 2012 una pandemia che (testuali parole) il mondo si aspettava da tempo e che “finalmente” colpisce infettando il 20% della popolazione mondiale uccidendo 8 milioni di persone in appena sei mesi. Con questo scenario si avrebbe la chiusura dei confini e la creazione di quarantene e restrizioni delle libertà. I cittadini reagirebbero accettando le misure le quali determinerebbero effetti positivi, come nell’esempio dell’India in cui le emissioni diminuirebbero drammaticamente migliorando l’aria. Negli anni successivi la gente sembrerebbe accettare le scelte dei politici demandandone completamente la funzione. Poi a seguito della pandemia verrebbero ad esempio modificati gli imballaggi degli alimenti e resi più intelligenti, verrebbero sviluppati nuovi metodi di diagnosi i quali diventerebbero dei pre-requisiti per uscire dall’ospedale o da una prigione. L’uso delle comunicazioni internet sopperirebbe ovviamente alle limitazioni di viaggio.
Interpretazione dei fatti e prospettive
Queste sono le principali fonti da cui è possibile estrapolare una serie di informazioni importanti per giungere a una valutazione dei fatti in corso e delle possibili prospettive. Se da un lato questi documenti forniscono delle indicazioni piuttosto esaustive sull’argomento, dall’altro è necessario provare a ricostruire quanto successo e quanto potrebbe avvenire. Ma è sempre utile considerare il fatto che le previsioni sono un aspetto che si scontra necessariamente con l’estrema complessità delle società umane, e pertanto non sono mai una certezza assoluta.
Se prendiamo l’avvio del nostro discorso da prima del cambio di millennio, notiamo come fosse presente nel mondo un modello di sviluppo basato sui commerci internazionali chiamato notoriamente globalizzazione. Questo modello di sviluppo è stato fortemente voluto dalle élite economico-politiche per estrarre ricchezza attraverso internet e le delocalizzazioni. Fino a pochi anni fa infatti si parlava di accordi basati solo sul profitto come il famigerato TTIP e molti altri che spingevano la globalizzazione alle estreme conseguenze. L’arrivo di Trump e la stagione anti-europeista hanno evidenziato, sin dalle prime misure adottate, un’inversione di tendenza: l’alleggerimento dell’austerità (concessa dall’Europa), l’introduzione di alcuni dazi doganali, la Brexit ecc.La globalizzazione sembrava dover fare passi indietro grazie alle scelte degli USA e il tacito assenso degli attori internazionali.
Poi si apre il capitolo coronavirus agli inizi del 2020. E qui mi sia concesso da parte dei lettori una ricostruzione dei eventi che forse farà storcere il naso a qualcuno. Qualsiasi sia stata la causa della diffusione del SARS-COV2, accidentale o voluta, il dato di fatto è che (guarda caso) la pandemia scoppia nello stesso anno in cui il Club di Roma prevedeva il picco nella produzione di servizi e cibo. La pandemia così diventerebbe l’occasione concreta per il Grande Reset che verrebbe attuato dai governi imitando le misure dalle nazioni più influenti e sposando acriticamente i suggerimenti dell’OMS spesso confusi e poco efficaci. Quarantene prolungate, chiusura dei negozi e smartworkingcambiano totalmente le nostre vite. I più critici parlano di dittatura sanitaria tirando in ballo l’eccesso di cautela nelle misure, spesso considerate forzatamente e inutilmente limitanti della nostra libertà. Dai dati poco attendibili sui morti da COVID, passando dalle mancate cure domiciliari che costringono i malati gravi ad andare in ospedale, sino ai silenzi sull’attuazione di cure promettenti che non verranno poi mai autorizzate. L’unica soluzione diventano i vaccini, considerati sin da subito l’unica modalità per uscire dall’emergenza. Non entriamo nel merito dell’argomento perché ci porterebbe lontano, tuttavia sembra chiaro stando alle dichiarazioni di Bill Gates, figura in primo piano sul tema vaccini nonché secondo finanziatore dell’OSM con importanti investimenti in case farmaceutiche, che questa situazione si manterrà probabilmente fino alla fine del 2022. All’ultimo G7 del Regno Unito, a conferma apparente di ciò, si è parlato dell’obiettivo di eliminare il coronavirus entro la stessa data.
Come avrete capito la mia interpretazione dei fatti passa attraverso l’idea che il Grande Reset e la pandemia siano non solo collegati, ma l’uno funzione dell’altro. Il prolungamento della stessa oltre a provocare altri morti determinerà l’annichilamento delle attività commerciali e delle aziende minori, poco funzionali al quadro economico post-pandemico. Inoltre questo prolungato stato di reclusione sta incrementando le patologie quali: ansia, depressione e malattie mentali, soprattutto nei giovani e nelle tante persone deprivate della vita sociale. Ciò determina un incremento dei suicidi, un crollo delle nascite e dei matrimoni, con un’onda lunga anche dopo l’emergenza. Tutti questi fattori uniti alla frammentazione della società porteranno a un decremento delle nascite e al prolungarsi di un bilancio negativo tra nati e morti. Se da un lato questo dato è piuttosto allarmante nei suoi effetti visibili e nella sofferenza della gente, dall’altro mitiga il problema della popolazione mondiale. La riduzione della stessa diventerebbe un fattore di alleggerimento della pressione antropica sul mondo.
La spinta verso la tecnologia, la gestione dei dati e la necessità di rendere i sistemi efficienti provocherà la scomparsa di buona parte dei lavori che oggi conosciamo. L’amministrazione pubblica si svuoterà di dipendenti, i processi saranno quasi tutti online e come effetto immediato vi sarà una disoccupazione alle stelle. Forse non è un caso il fatto che nei forum internazionali si è parlato negli ultimi anni di reddito universale, nella consapevolezza che senza di esso in molte nazioni la sopravvivenza e l’instabilità sociale saranno a serio rischio. Inoltre l’assottigliarsi della classe media impatterà fortemente sui consumi creando un effetto a spirale. Le industrie dovranno necessariamente convertirsi, si bruceranno meno combustibili fossili e si incentiveranno le rinnovabili, ma in questo passaggio vi sarà un’inevitabile semplificazione che taglierà posti di lavoro.
Rifkin nelle sue conferenze parla dell’opportunità di impiego per molta manodopera nei lavori di conversione infrastrutturale dei prossimi anni. Isolamento degli edifici, cablaggi, e potenziamento dei mezzi di trasporto. Ma non solo, egli prevede la nascita di nuovi mestieri che adesso neanche immaginiamo. Molti di essi sorgeranno grazie a internet, un po’ come avvenuto con Uber, Airbnb e le piattaforme di trasporto del cibo su bici, i cosiddetti riders: tutti lavori impensabili prima dell’avvento del digitale. Si tratta di nuovi mestieri ma sostanzialmente precari, o da complemento ad altri mestieri anche definiti come gig economy. Sicché è chiaro che qualcosa di nuovo emergerà, nuove esigenze e nuove opportunità, ma il vero problema è la grande incertezza, e l’impossibilità di prevedere realmente quanti nuovi lavori verranno creati. E quanti di essi potranno creare ricchezza. Ma di certo la questione della disoccupazione tecnologica è sempre lì davanti a tutto...
Vi sono parecchi studiosi che hanno cercato di immaginare ciò che potrebbe avvenire nei prossimi anni in termini lavorativi. Il sociologo Domenico De Masi ad esempio nel suo Il lavoro nel XXI secolo rifacendosi alle tante previsioni ipotizza una diminuzione delle ore lavorate per persona a fronte di un forte aumento della produttività, in linea con il trend che parte dall’avvento dell’industrializzazione ad oggi. Pertanto egli afferma che si lavorerà di meno e si avrà molto più tempo libero, tempo che potrebbe essere sfruttato per la socialità o i propri interessi. A tal proposito è stato coniato il termine jobless growth per cui si prevede una crescita priva di nuovi posti di lavoro. Qualche saggio dal titolo provocatorio parla anche di “fine del lavoro”, vedi Il lavoro alla fine del lavoro di Ulrich Beck o La fine del lavoro del già citato Rifkin.
Un aspetto che potremmo definire positivo dei prossimi anni sarà la progressiva riduzione dei costi per l’energia, già diminuita tantissimo, ma che poi diverrà prossima a zero e che Rifkin definisce come parte del cosiddetto Costo marginale zero: la tendenza economica a produrre beni e servizi ad un costo tendente a zero. Ciò favorirà la creazione di oggetti singoli con le stampanti 3D a casa a prezzi irrisori, facendo esplodere l’economia del gratuito. L’attuale presenza dei software open source, creati da programmatori che impiegano il loro tempo per gli altri seguendo un principio altruistico è già una realtà. Nuove forme collaborative smonteranno pezzo pezzo il paradigma consumista proprio come dimostrano progetti come Wikipedia. La famosa sharing economy è in parte una realtà e favorisce la riduzione dei consumi, la condivisione degli oggetti e la diminuzione delle spese individuali: perché comprare la scatola degli attrezzi quando può essere una proprietà collettiva? In ciò anche il tempo dedicato agli altri, con la consapevolezza di riottenerlo nel momento del bisogno è un principio in crescita che si affermerà nella società prossima. Si pensi ai milioni di persone che invecchieranno senza aver mai avuto figli, anche per loro subentreranno inevitabilmente delle modalità di assistenza condivisa o di volontariato gratuito. Tutto ciò potrebbe innescare un cambio di approccio totale nell’uomo di domani, sempre meno legato alla materialità, al consumismo, all’arricchimento e al sopruso, aprendo la strada a un’idea di mondo collaborativo, sostenibile e inclusivo. Questa possibilità diventerà concreta laddove verranno meno i principi dell’arricchimento individuale, della concorrenza sfrenata per la carriera e dell’ostentazione: un paradigma dell’oggi che domani potrebbe essere considerato desueto e che imporrà un nuovo umanesimo.
Ma non dobbiamo però dimenticare anche i pericoli che incombono all’orizzonte, o che forse diverranno un aspetto con cui rischiamo concretamente di scivolare verso un mondo distopico-orwelliano. La Cina oggi ne è un esempio: l’utilizzo intensivo della tecnologia di riconoscimento facciale non lascia scampo al dissenso. Ogni persona viene controllata in ogni suo movimento tramite la posizione dello smartphone. Allo stesso modo in Occidente le democrazie si stanno svuotando delle funzioni proprie con crescenti forme di abuso: introduzione di governi non eletti (vedi i governi tecnici Monti e Draghi), referendum disattesi (acqua pubblica, crisi del debito greco) ecc. I social controllati da privati che stabiliscono arbitrariamente quali informazioni far passare e quali censurare. Per non parlare dei diritti dei lavoratori, sotto questo aspetto i passi indietro sono evidenti.
E poi c’è già in atto una deriva scientistache sta facendo venir meno l’etica e i principi un tempo inviolabili. La scienza in alcuni casi diventa un dogma (lo dice la scienza, si ripete) che si ripercuote anche nei comportamenti sociali. La spinta verso la clonazione o le sperimentazioni di ibridazione uomo-macchina, ma anche lo stesso attaccamento morboso alla tecnologia (si prenda ad esempio la pericolosa dipendenza dagli smartphone) potrebbero svuotare le capacità degli individui: perdita di attenzione (ne abbiamo parlato in un precedente articolo), incapacità di rendere il pensiero profondo, individualismo e frammentazione della società, sono tutti effetti vistosi dell’attuale processo in atto.
Conclusioni
L’umanità quindi ha davanti una grande sfida, e nella complessità di vedute e di prospettive, bisognerà capire se si propenderà verso uno scivolamento autoritario (e persino post-umano), oppure verso un riequilibrio tramite controspinte positive. Una cosa è certa, la crisi che stiamo vivendo ha un significato importante e deve essere vista come uno stimolo per proiettarci verso un mondo nuovo che inevitabilmente è in corso di azzeramento. Sta a noi e alle prossime generazioni indirizzare l’umanità verso un futuro che domani potrebbe giudicare il presente come un passato miope e iniquo che non potevamo più permetterci.
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