Corrado Alvaro scrive La lunga notte di Medea dopo la seconda guerra mondiale. Anche se il retroterra è quello del mito antico il risultato è una contemporaneizzazione del mito: la storia è sì ambientata a Corinto ma lo scenario potrebbe essere quello di qualsiasi altro luogo o periodo storico.
Prima di focalizzarci sull'opera, occorre sviscerare una querelle che da sempre attanaglia gli studiosi e che si incentra su due quesiti fondamentali: in che modo la cultura moderna ha reinventato la tragedia classica? Quali sono le declinazioni che il genere ha conosciuto?
La forma teatrale della tragedia si esaurì e scomparve dalla cultura occidentale per un lungo periodo compreso fra l’età tardo antica e l’inizio dell’umanesimo. Si può lavorare al progetto di una ricerca sulla rinascita della tragedia in età moderna seguendo le fortune di certi episodi tragici particolarmente noti come la Medea.
L’ interesse che da sempre Medea ha suscitato è dettato dalla sua indiscutibile complessità, dietro la quale si cela una conflittuale e frastagliata gamma di personalità. Ed è proprio questa una sua peculiarità che la distanzia dalla compagine di eroi dei miti greci che nel loro itinerario drammatico palesano una sostanziale monoliticità e staticità. Questi ultimi infatti, pur essendo spesso coinvolti in più di una storia, non sortiscono che delle impercettibili variazioni.
Esemplificativo è Odisseo, che nell’affrontare le sue molteplici peripezie, mantiene di fatto la medesima caratterizzazione. Ne consegue dunque che le figure mitologiche maggiormente dense di fascino disattendano questa mera circoscrizione in virtù di questa complessità. Ed è proprio suddetta complessità di Medea che ha permesso le sue molteplici trasposizioni in chiave moderna. Tra queste, degna di nota è quella condotta da Corrado Alvaro che ne La lunga notte di Medea reinterpreta questo mito conferendogli una notevole tendenza attualizzante.
Analizziamo l’idea che Alvaro ha del teatro:
Giacché parlo qui come autore, e dovrei portare il contributo della mia esperienza, devo dire che non m’è mai venuta la voglia di scrivere per teatro altro che in quei pochi anni in cui apparve sul nostro teatro Pirandello, Rosso, Chiarelli, quando si sentiva che cotesta sarebbe stata una funzione per uno scrittore. Ma allora non avrei saputo scrivere una commedia . Forse non la saprei scrivere neppure ora. Pel teatro io ho l’ opinione dei vecchi trattatisti che lo ponevano tra le forme della poesia, e non della poesia come s’ intende comunemente, cioè come una forma sentimentale e vaga; una poesia serrata, di sentimenti assoluti, tipici, universali.
Si evince dunque che il teatro per Alvaro è una poesia serrata intrisa di sentimentalismo assoluto, universale.
Il suo teatro non può quindi non mediare tra la sua poetica e i crismi del teatro tragico greco. Se teniamo inoltre conto di quanto il suo universo letterario sia compenetrato in quello femminile era inevitabile che Alvaro dovesse fare i conti ad un certo punto con Medea, la quale rimanda alla sofferenza di tutte le donne che hanno subito un’offesa, donne che per Alvaro godono di una funzione affabulatoria propulsiva, autentici motori immobili della sua riflessione.
Nella pièce alvariana si profila una Medea che ha rinunciato alla sua sophìa originaria. E’ una Medea desacralizzata.
Alvaro stesso ammette:
Naturalmente il personaggio di Medea usciva dal mio lavoro molto umanizzato, perdeva molto della sua terribilità; e non a torto alcuni critici rimpiangono l’ affascinante maga Medea. Non so però se sia chiaro che per me la potenza magica di Medea, la sua facoltà di operare portenti era contenuta nell’amore.
Di fatto è come se Medea venisse sdoppiata, associando alla Medea antica quella desublimata. Esemplificativo è già l’incipit della pièce che subito evidenzia la demitizzazione di Medea. Si potrebbe dire di Medea ciò che dice Omero della nave Argo su cui essa ha viaggiato: che “è stata raccontata da tutti”. Tutti l’hanno però raccontata in modo differente, privilegiando le molteplici sfaccettature del personaggio.
Le innumerevoli riletture, integrazioni, manipolazioni del suo mito, non sono riuscite a cucirle addosso un’etichetta unica come se nessuna definizione fosse abbastanza grande da contenere Medea. Tutti ci hanno fornito una tessera di un puzzle anacronistica. Ciascun artista l’ ha vista dalla propria angolazione, ogni volta scoprendola buona per ragionare sui temi fondanti della sfera personale e sociale. Tutte le Medee sono vere perché tutte contengono la verità di coloro che la raccontano.
Se ne deduce, dunque, che il rapporto che si instaura con il teatro classico si erge su una perenne ricerca di equilibrio. Un equilibrio che di fatto è, però, instabile giacché scaturisce dall’allontanamento e dal distanziamento tra noi e l’antico.
Medea e Giasone |
Il dramma antico gode dunque di una duplice valenza: presuppone il passato e al contempo il presente. Se teniamo a mente questo fondamento dovremo sì avere consapevolezza della distanza che ci separa dal passato ma anche appropriarcene per tradurla in un rapporto vivo. Il teatro nasce e ritorna sempre agli stessi testi, ma questi ultimi assumono declinazioni sempre nuove ed infinite nei gesti di chi dirige, scrive, recita ed osserva. Il passato dunque subisce il condizionamento del presente e la modernità invade perennemente ogni nostra ricostruzione dell’antico. Lo studio del teatro perciò si innesta su parametri storici oggettivi che però confluiscono non di certo in realizzazioni statiche o mere riproduzioni meccaniche bensì in creazioni che conferiscono a tali archetipi la possibilità di rivivere e giammai di estinguersi.
Manuela Muscetta
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