Nel mio lavoro vedo le crepe, le pareti erose, il potenziale distruttivo che emerge dal nostro tempo di disillusione
Arnaldo Pomodoro
La sfericità del maestro Arnaldo Pomodoro è la causale del suo “naturalismo mentale” che nella forma polita, liscia, rotolante e levigata del bronzo dorato raggiunge il suo compiùto vertice espressivo, riuscendo ad insinuare nel nostro pensiero la metafora della perfezione.
La materia nobile esalta la monumentalità delle sue grandi sfere, pur contrastando con la complessa struttura dei meccanismi, contenuti all’interno dell’opera, di cui sono rivelatrici le rotture, le crepe, le immense lacerazioni che, a tratti, ne interrompono l’uniformità bronzea, solo apparentemente inviolabile, per dichiarare con impeto la caducità dell’esistenza, con i suoi irriducibili contrasti e gli ingannevoli sortilegi.
Essi rappresentano una sorta di ingranaggi misterici, il cui meccanomorfismo ideale costituisce l’insieme delle viscere dell’opera stessa, animandola ed eccitandola, sino ad avvicinarla ad una creatura vivente. In quelle sfere è presente lo schema di una geometria assoluta, il cui canto rinascimentale risuona ancora con inconsunta armonia e ci raggiunge, sedimentandosi nell’umanesimo delle opere dei grandi maestri, pittori e intellettuali del XV secolo; Paolo Uccello (sfera a settantadue facce), Piero della Francesca (De quinque corporibus regolaribus), Luca Paiolo (De divina proporzione) che ne sublimano la funzione totemica, esaltandone la sacralità arcaica.
Arnaldo Pomodoro ha il privilegio di demandare alla sfera il transfert del suo pensiero, cogliendo la realtà e mimetizzandola, alterandone i caratteri, assorbendoli e deformandoli in una dimensione essenziale, pura, artefice di se stessa, conchiusa e nello stesso tempo senza confini.
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