Sono Lighea, sono figlia di Calliope. Non credere alle favole inventate su di noi: non uccidiamo nessuno, amiamo soltanto.
A pronunciare queste parole suadenti è una sirena, Lighea, personaggio del racconto lungo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La Sirena (o Lighea), che prende le mosse dal retroterra mitico per poi evolversi in un mito del tutto convertito e rivitalizzato producendo svariate riconfigurazioni e ri-semantizzazioni.
Siamo a Torino nel 1938: in un caffè di via Po il giovane giornalista Corbera resta colpito da un uomo che trascorre le serate a leggere riviste fumando sigari toscani e bofonchiando malcontenti e rancori. Questi altri non è che il rinomato grecista Rosario La Ciura, insigne studioso, che nonostante il carattere sprezzante ed il divario culturale e generazionale, instaurerà un rapporto speciale con Corbera, divulgandogli il suo sapere e soprattutto il suo più prezioso segreto: l’amore sovraumano che lo ha legato da ragazzo e che lo lega tutt’ora ad una creatura immortale, una sirena.
Il mito delle sirene è stato da sempre a disposizione di tutti coloro che volessero non solo leggerne i testi fondanti ma anche continuarne il percorso partendo proprio dalle tracce più antiche. Esso rivendica il proprio fascino ispirando molte riscritture moderne. Tra queste annoveriamo questo racconto scritto tra il 1956 ed il 1957 da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che si configura come una sorta di versione a rovescio del mito giacché presuppone una riscrittura degli elementi canonici del sostrato mitico.
La sirena (essere già in sé doppio, ibrido, capace di far convivere nella propria identità semantica sembianze umane ed animali ) si palesa qui non solo come creatura del mito ma come un individuo in carne ed ossa, allegoria dell’erotismo supremo, che prospetta al protagonista un canto denso di fascino e contenuti, portatore di conoscenza e di pura erudizione che ribadisce la legittima entrata in scena delle sirene nel paradigma letterario. Tutto allude a qualcosa di ulteriore, a un livello di conoscenza più sofisticato e stratificato facendo consequenzialmente evolvere il personaggio secondo moduli espressivi più vicini alla sensibilità moderna.
Il carattere doppio si riversa anche nello stile narrativo in bilico tra realismo e fantasia. Proprio la contaminazione della fantasia farà sì che verità e mito si compenetrino a pieno.
Mi ero svegliato da poco ed ero subito salito in barca; pochi colpi di remo mi avevano allontanato dai ciottoli della spiaggia e mi ero fermato sotto un roccione la cui ombra mi avrebbe protetto dal sole che già saliva, gonfio di bella furi, e mutava in oro e azzurro il candore del mare aurorale. Declamavo, quando sentii un brusco abbassamento dell’orlo della barca, a destra, dietro di me, come se qualcheduno vi si fosse aggrappato per salire. Mi voltai e la vidi. Il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare, due piccole mani stringevano il fasciame. Quell’adolescente sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciava intravedere dentini aguzzi e bianchi, come quelli dei cani. Non era però uno di quei sorrisi come se ne vedono fra voialtri, sempre imbastarditi da un’espressione accessoria di benevolenza o d’ironia, di pietà, crudeltà o quel che sia; esso esprimeva soltanto se stessa, cioè una quasi bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia…le tesi le mani per farla salire. Ma essa, con stupefacente vigoria emerse diritta dall’acqua sino alla cintola, mi cinse il collo con le braccia, mi avvolse in un profumo mai sentito, si lasciò scivolare nella barca: sotto l’inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee azzurre, e terminava in una coda biforcuta che batteva lenta il fondo della barca, era una Sirena.
Il mondo che ne scaturisce rassomiglia al quotidiano ma è nettamente distante da esso: l’autore fu obiettivo nella presentazione della realtà e nella presentazione dell’irrealtà creando una dimensione propria al confine tra l’autentico ed il meraviglioso.
Assistiamo dunque ad una continuità del mito dettata dalla persistenza del fascino della vicenda delle sirene che da mito fallimentare diviene, metaforicamente parlando, produttivo e vincente. Il mito viene difatti piegato positivamente: il professore troverà sì la morte ma questa comporterà il ricongiungimento con la sirena amata avvenendo nel mare, elemento atavicamente legato ad essa, simbolo del divenire e della vita stessa.
L’epilogo dunque epifanizza al lettore la fusione tra le due dimensioni adottate dal racconto: quella reale e quella fantastica.
Tale compenetrazione avviene mediante la divinizzazione di cui sarà oggetto La Ciura: egli finisce da semidio e proprio in questa sublimazione mito e realtà s’identificano.
Il racconto si erge infatti a
storia simbolo dell’amore immortale, dell’amore sovraumano che risolve, con la sua parabola evolutiva,
l’atavica dicotomia tra Eros e Thanatos.L’identità mitologica viene sublimata dunque dal racconto-confessione del professore che si traduce in un processo di infusione dello scibile, una trasmissione di conoscenza articolata e complessa attraverso cui La Ciura evoca il ricordo del magico incontro, caricandolo di contenuti e significanze quasi a voler trasmettere un testamento intellettuale, il tutto mediante l’abile penna del giornalista che di fatto coincide con la voce narrante.
L’impianto scenico del racconto è infatti gestito da questi tre personaggi (il professore, il giornalista, la sirena) ognuno baluardo di pregnanti tematiche e di peculiarità fortemente caratterizzate quasi rassomiglianti a quello spettacolo della Commedia umana di cui Balzac si fece portavoce.
I continui rimandi alla Grecia classica conferiscono alla narrazione un alone arcano e raffinato senza però fossilizzarla in una retorica sterile: l’arcano si realizza qui in una fiaba moderna.
Quando a distanza di secoli si attribuisce nuovamente la parola a personaggi canonici del mito, lo si fa delle volte per vertere, trasformare e sottrarre elementi stereotipati seguendo al contempo un impianto già consolidato, una traccia. Solo così sarà possibile unificare antico e moderno/mito e realtà, sublimando questa unione in un connubio perfetto.
Manuela Muscetta
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