Il gigante sepolto (The Buried Giant) è un romanzo di Kazuo Ishiguro del 2015, considerato dalla critica uno dei romanzi più emblematici del genere fantasy nel quale l’autore ci propone alcune reinterpretazioni tratte delle leggende medievali appartenenti al folklore anglosassone. Come vedremo, in questo articolo si vuole dimostrare con quale finalità (e in che modo) è stato revisionato il passato storico di una nazione.
All’inizio del romanzo troviamo l’elemento del fuoco acceso nella Sala del Banchetto come rivisitazione della Sala del ricevimento, utilizzata in epoca medievale per lo svolgimento di feste ed incontri solenni, ambiente che generalmente nella cultura anglosassone (ma non solo) determinava l’insieme dei valori e delle tradizioni della società feudale. Nella tradizione folklorica l’elemento del calore della Sala Grande nella quale sedevano a banchetto il signore con gli uomini della sua corte simboleggiava il luogo sicuro contro la furia degli elementi esterni. Sempre nella poesia anglosassone, la stagione invernale denota uno status psicologico di disagio e di angoscia dell’anima. Nel reinterpretare la simbologia medievale delle stagioni e degli elementi, Ishiguro ha voluto utilizzare il contesto invernale come elemento funzionale che agisce in maniera intensa sulla psiche umana. Tra i vari agenti atmosferici che denotano la stagione invernale, in antitesi con il calore emanato dal fuoco della Sala, troviamo l’elemento naturale della nebbia, la quale simboleggia la fusione degli elementi di aria e acqua, fino ad evocare “l’oscuramento necessario fra ogni aspetto delimitato e ogni fase concreta dell’evoluzione”. Vediamo quindi il simbolismo della nebbia reinterpretato come una sorta di visione allegorica dell’oscurità, trasformata dall’autore in una nebbia gelida che offusca la luce della verità. D’altra parte, è possibile considerare questo simbolismo come emblema delle tenebre che “si identifica tradizionalmente con il principio del male e con le forze inferiori non sublimate”. Il simbolismo inerente il tema dell’onirico viene inserito nella storia con il fine di associare gli elementi tipici della poesia anglosassone come gelo, nebbia e oscurità alle metafore di un caos interiore di cui nemmeno lo stesso Axl sa dare una risposta alle visioni prodotte dalla sua stessa mente. Detto questo, si possono considerare queste reinterpretazioni come presagi di presenze sinistre che di lì a poco entreranno a far parte del destino della coppia.
Axl e Beatrice ricordano di aver avuto un figlio, ma non sanno più dove si trovi, né che cosa li abbia separati da lui: l’uomo ha un susseguirsi di ricordi frammentati, scollegati tra loro, cosa che aumenta ancor di più la sensazione di trovarsi in una dimensione onirica. In questi frammenti di ricordi la prima figura che gli torna alla memoria è quella di una donna dai capelli rossi che in un giorno lontano bussò alla loro porta, senza ricordarne però il motivo, descritta come una donna molto abile nelle guarigioni. Questa figura anonima, che ritroviamo solo all’inizio della storia, possiamo interpretarla come un’allusione al personaggio della Fata Morgana, conosciuta nelle leggende medievali per le sue arti magiche nella cura di re Artù dopo ogni battaglia combattuta:
Era sicuro che non molto tempo addietro ci fosse stata tra loro una donna dalla lunga chioma rossa: una donna che aveva svolto un ruolo importante all’interno del villaggio. Ogni volta che qualcuno si feriva o si ammalava, era proprio lei, la donna dai capelli rossi, abilissima nel guarire, che si andava a cercare.
Partendo dalla loro terra, la Britannia, i due coniugi trovano ristoro presso un villaggio della Sassonia dove incontrano un giovane guerriero di nome Wistan. Questa figura imponente possiamo identificarla con quella del re Wigstan, il quale regnò nei pressi della Mercia durante l’anno 840, monarca che sarà poi venerato come santo sia dalla chiesa cattolica che dalla chiesa anglosassone. Con l’inserimento di questo personaggio l’autore ci introduce un nuovo tema, quello del codice dell’eroe in riferimento alla descrizione della figura medievale del cavaliere:
Non doveva avere più di trent’anni ma lo circondava un’aria di naturale autorevolezza. Sebbene vestito di panni modesti, come un qualunque contadino, non somigliava a a nessun altro nel villaggio. Non era solo il modo in cui si era gettato il mantello su una spalla, rivelando la cinta e l’elsa della spada. […] In realtà il primo pensiero che attraversò la mente di Axl fu che l’uomo si fosse legato i capelli per avere campo libero allo sguardo mentre combatteva.
E’ plausibile che Ishiguro, oltre ai richiami folklorici degli elementi e delle stagioni, inserisca la secular heroic poetry con il fine di dar risalto ai valori cavallereschi di un tempo denotati da una rigida responsabilità nel seguire un preciso codice d’onore: con l’immagine del guerriero sassone si pone in rilievo la nobiltà d’animo nel servire il proprio signore e il motivo per cui l’autore inserisca determinati elementi nella storia potrebbe essere quello di esaltare maggiormente la figura del guerriero, considerato un simbolo di forza e lealtà come metafora per esaltare un velato senso di fierezza verso la propria identità culturale.
Messer Galvano |
La figura del guerriero sassone viene contrapposta all’entrata in scena del guerriero avversario, il britannico Messer Galvano (Sir Gawain), figura leggendaria di spicco che secondo la versione originaria di Chrétien de Troyes viene considerato come uno dei protagonisti del Parsifal, nel quale viene visto come il rappresentante più brillante della cavalleria mondana che si lascia spesso trascinare da un turbine di avventure di ogni genere, rappresentando un modello di vita fine a se stessa trascorsa alla ricerca di una spada sanguinante. Nella versione di Ishiguro lo vediamo in una fase successiva a quella di Troyes, descritto come un uomo ormai anziano in compagnia di Orazio, il suo vecchio cavallo sempre pronto ad aiutarlo nei combattimenti eseguiti in onore di re Artù: “L’armatura era arrugginita e logora sebbene l’uomo avesse fatto senza dubbio del suo meglio per mantenerla in ordine. La tunica, originariamente bianca, mostrava una storia di rattoppi. […] Così accasciato a terra a gambe divaricate avrebbe potuto perfino suscitare compassione.” Vediamo inoltre come l’autore trasporta l’immagine di Galvano da cavaliere dal cuore impavido ad un semplice uomo ormai usurato dal tempo, quasi come se stesse combattendo un pericolo esistente solo nella sua mente. Al Galvano rivisitato viene attribuita ben altra fama rispetto alla versione medievale, tutt’altro che valoroso, il cui compito impartitagli molto tempo prima da re Artù non è ancora stato portato a termine; rinunciando così a guadagnarsi la nomina di valoroso cavaliere della Tavola Rotonda. Vediamo, quindi, come questo personaggio nel romanzo non venga collocato a metà strada tra l’eroe e il modello perfetto di cavalleria ma riproposto sotto le sembianze di un antieroe attraverso due episodi particolarmente simbolici intitolati Fantasticherie: in esse appare come un cavaliere errante, elemento da considerare come un altro aspetto interessante del simbolismo cavalleresco appartenente ai racconti medievali, alle leggende mitologiche e al folklore dove “andare o errare indica una situazione intermedia fra quella del cavaliere salvatore e quella del bandito, anche se gli intenti sono opposti. In effetti non si tratta di una carriera intrapresa per soddisfare un desiderio, ma di un esercizio per dominarlo”.
Immergendoci nelle visioni del cavaliere, nella prima fantasticheria ci troviamo in un luogo sinistro nel quale si trova a dover percorrere un tortuoso sentiero di montagna animato da oscure presenze: “Quelle lugubri vedove. A quale scopo Iddio ha voluto porle su questo sentiero di montagna davanti a me?” . Possiamo associare queste figure ad un’altra avventura vissuta da Messer Galvano nel Parsifal medievale: “Galvano è assalito da un cavaliere che monta il suo cavallo. Riesce ad abbatterlo[...] Quest’ultimo gli indica allora un castello ove alcune Dame, scacciate dalle loro terre, attendono, prigioniere, l’arrivo di un cavaliere il cui cuore sia senza difetto, il quale le libererà da quell’incantamento”. Nella versione di Ishiguro, però, non troviamo un castello, bensì un sentiero di montagna con “rupi gessose e altissime su entrambi i lati della strada” e le Dame vengono descritte come “dei grandi uccelli appollaiati sulle rocce, pronti a spiccare il volo tutti insieme a non diretti nel cielo che si abbuia, bensì verso di noi” ed esse non sono prigioniere ma vedove e non attendono un cavaliere per essere liberate dalla prigionia, bensì attendono Galvano per vendicarsi di lui, affermando che “vedendo te in persona venirci incontro baldanzoso, non possiamo rinunciare a farti udire i nostri lamenti. […] Se avessi fatto il tuo dovere tempo fa, e ucciso il drago-femmina, non saremmo qui a vagabondare disperate.”
Nella seconda fantasticheria, invece, lo vediamo immerso tra le furie del vento che gli ostacolano il viaggio. Il vento viene spesso considerato come “il primo elemento, per la sua assimilazione all’alito o soffio creatore” e di fatto, proprio grazie a questa entità, il cavaliere riuscirà a raggiungere un bosco idilliaco che gli farà tornare alla mente un ricordo a lui caro. Il simbolismo del bosco occupa “un posto molto particolare perché appare con grande frequenza nei miti, nelle leggende e nei racconti del folklore” (ibidem). Possiamo collegare questa affermazione al tema del cavaliere errante, già presentato nella prima fantasticheria, in quanto il “simbolismo dell’errare e del soffrire cavalcando per boschi e sentieri convalida quanto è stato detto a proposito del cavaliere nero” (ibidem) e anche se in Galvano non vi è alcun richiamo al colore nero, l’associazione potrebbe essere considerata a livello simbolico, dato che il cavaliere nero viene associato alla “rigenerazione in profondità” tipica dell’errare (ibidem). Nel romanzo viene reinterpretata un’altra presenza alla pari di quella del re Artù: la figura di Mago Merlino, deceduto anche lui come re Artù:
E’ stato con sollievo per entrambi che siamo giunti agli alberi, sebbene crescano tanto contorti che ci si domanda se su di essi pesi un sortilegio di Merlino. Che uomo è stato quello, Messer Merlino! […] Sarà di casa all’inferno o in paradiso, adesso? […] E non si dica che non era coraggioso. Quante volte ha offerto il petto alle frecce e alla furia delle armi al nostro fianco.
Galvano lo chiama “Messere” anche se il riferimento alla figura di Merlino come mago è presente nel momento in cui si chiede se dopo la morte la sua anima sia all’inferno o in paradiso e nel descriverlo lo dipinge come un uomo coraggioso e di valore alla pari di un cavaliere, nonostante la sua natura magica:
Questi possono proprio essere i boschi di Merlino, cresciuti con il preciso scopo che io potessi trovarvi riparo in attesa di colui che avrebbe altrimenti vanificato il nostro immane sforzo di quel giorno. Due di noi cinque caddero vinti dal drago-femmina, ma Messer Merlino allora ci rimase accanto spostandosi calmo sul terreno spazzato dalla coda di Qeurig.
Ed ecco infine l’apparizione di una creatura considerata una tra le più temute presente in ogni bestiario medievale, il drago-femmina Querig, già citata dalle vedove nella prima fantasticheria, è in realtà frutto di una magia di Merlino al fine di esaudire il volere di Artù, arrivando così al finale della storia, che merita di non essere svelato: a questo punto della narrazione diventa palese il motivo per cui Messer Galvano non sia mai stato capace di portare a termine la sua eroica impresa ordinatagli precedentemente dal suo amato re, elemento che ci fa capire per quale motivo Messer Galvano viene presentato, all’apparenza, come un uomo inetto. La raffigurazione del drago nei bestiari medievali veniva spesso associato a figure demoniache, come ad esempio il basilisco; oppure con ali di uccelli rapaci o la lingua biforcuta. Nella storia di Ishiguro, invece, viene reinterpretata da come una bestia “così emaciata da assomigliare più a una sorta di rettile vermiforme” e anche questa versione patetica ha un suo perché che verrà svelato solo nel finale.
Per concludere il nostro viaggio in un’Inghilterra sospesa tra passato leggendario e passato reinterpretato possiamo dire che l’autore, ambientando il suo romanzo nel periodo post-arturiano, rende nota la sua idea di Inghilterra vista come un luogo mitico con il fine di rivalutare la coscienza del passato nazionale, dato che ha sempre avuto un intenso interesse patriottico nei confronti della sua patria acquisita, la terra di Artù. Di fatto, la predilezione dell’autore per i contenuti metaforici ha dato vita ad un suo teatro ideale di una terra mitica contesa tra Sassoni e Britanni, e proprio grazie alla sua strategia simbolica possiamo comprendere a pieno le sue intenzioni rivolte al tempo presente, anche se non in apparenza, come manifestazione patriottica d’identità nazionale.
Anna Maria Longo
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