Nel 1980 il cantautore Giorgio Gaber scrisse uno dei suoi singoli più controversi ed acidi; un cupo J’accuse pieno di livore e di disgusto scagliato con forza verso la corrotta società italiana degli anni Settanta
Si sono da poco conclusi gli anni Settanta; un decennio confuso, violento e per certi versi oscuro perché ancora oggi alcuni tristi episodi che più lo hanno caratterizzato - tra i tanti basti citare il sequestro e l’assassinio del democristiano AldoMoro – non hanno avuto una spiegazione convincente. Si può dire tranquillamente che di quegli anni si sa ancora molto poco. In quel particolarissimo decennio cominciò a consumarsi la grande tragedia del malcostume italiano che ha saputo resistere allo scorrere del tempo tanto da arrivare, assieme alla sua dirompente vitalità, ai giorni nostri. Ecco perché il brano di Giorgio Gaber, Io se fossi Dio, risulta più attuale che mai.
In mezzo alla
confusione di quegli anni si leva alta la voce del cantautore milanese.
Io se fossi Dio
(e io potrei anche esserlo, sennò non vedo chi!)
Io se fossi Dio,
non mi farei fregare dai modi furbetti della gente:
non sarei mica un dilettante!
Sarei sempre presente.
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
o, meglio ancora, a criticare, appunto...
cosa fa la gente.
Data l’assenza di Dio,
indifferente ai tristi eventi che stanno sconvolgendo l’Italia degli anni
Settanta, Gaber decide di prendere il Suo posto per dare inizio ad un impietoso giudizio universale. Il dio
interpretato dal cantautore non è benevolo, non è interessato a parlare di
misericordia e di pace; è furioso, arrabbiato e soprattutto violento.
perché Dio è violento!
E gli schiaffi di Dio
appiccicano al muro tutti!
Per il dio di Giorgio Gaber non è più il tempo della grazia e dell’amore, l’umanità è tanto corrotta e malvagia che bisogna affrettare il giudizio e la condanna. Parafrasando un’acre battuta tratta dalle Voci di dentro di Eduardo De Filippo si può dire che l’umanità è fatta molto male; non è altro che un’errata creazione di Dio perché con molta facilità compie azioni spregevoli ed immorali.
Infatti non è mica normale che un comune mortale
per le cazzate tipo compassione e fame in India,
c'ha tanto amore di riserva che neanche se lo sogna!
Che viene da dire:
Ma dopo come fa a essere così carogna?
Il dito del dio disgustato di Giorgio Gaber indica
l’ipocrisia dell’essere umano,
sempre pronto a mostrarsi pubblicamente misericordioso e filantropo ma che,
allo stesso tempo, nel proprio intimo, non esita a coltivare pensieri e
sentimenti malefici. «Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e
insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?», afferma con sgomento il biblico Geremia.
Per esempio il piccolo borghese, com'è noioso!
Non commette mai peccati grossi!
Non è mai intensamente peccaminoso!
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
e pur sapendo che Dio è più esatto di una Sweda
lui pensa che l'errore piccolino non lo conti o non lo veda.
La seconda accusa è
mossa contro il grigiore e lo squallore della classe borghese,
sempre più indifferente e
accondiscendente al degrado che minaccia.
Per questo io se fossi Dio,
preferirei il secolo passato,
se fossi Dio rimpiangerei il furore antico,
dove si odiava, e poi si amava,
e si ammazzava il nemico!
In questi versi Giorgio
Gaber sembra richiamare i pensieri di Michele
Ardengo, personaggio del romanzo Gli indifferenti di Alberto Moravia, perché anch’egli
rimpiange la sincerità e la passione del mondo antico. Il mondo del piccolo borghese è sempre più limitato, più falso, più monotono. La
classe alla quale appartiene è sempre più addormentata,
sempre più abile a non guardare in faccia i problemi del Paese, sempre pronta a scrollarsi di dosso le
proprie responsabilità.
E a te ragazza che mi dici che non è vero
che il piccolo borghese è solo un po' coglione,
che quell'uomo è proprio un delinquente, un mascalzone,
un porco in tutti i sensi, una canaglia
e che ha tentato pure di violentare sua figlia...
Il piccolo borghese allo stesso tempo è capace, secondo il cantautore, di azioni orripilanti. Come il famelico Leo Merumeci, altro personaggio del romanzo sopracitato di Moravia.
La terza accusa è
indirizzata ai giornalisti, ai quali
il dio di Gaber toglierebbe volentieri la «libertà di scrivere,/e di
fotografare» perché hanno da tempo abbandonato
l’esercizio della «libertà di pensare».
Immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questa Italia piena di sgomento
come siete coraggiosi, voi che vi buttate
senza tremare un momento!
Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti,
e si direbbe proprio compiaciuti!
Voi vi buttate sul disastro umano
col gusto della lacrima in primo piano!
Sono «cannibali»,
«necrofili» perché senza alcun rispetto della deontologia professionale approfittano del dolore umano e di situazioni scabrose per fare ascolto, per essere letti, per
vendere. Come accade al giorno d’oggi quando alcune testate giornalistiche
pubblicano video o informazioni che, per rispetto e per buon gusto, sarebbe
buono tacere. Inoltre i giornalisti sono «deamicisiani», amanti del patetico e
della lacrima facile e per questo tramutano
la sofferenza in spettacolo. Ai tempi odierni questo uso ancora sopravvive
grazie alla televisione.
perché la politica è schifosa e fa male alla pelle!
E tutti quelli che fanno questo gioco,
che poi è un gioco di forze, ributtante e contagioso
come la lebbra e il tifo...
E tutti quelli che fanno questo gioco
c'hanno certe facce che a vederle fanno schifo
Il dio di Gaber è disgustato dalla politica, non guarda con favore ad alcun partito, disprezza gli «untuosi democristiani» e i «grigi compagni del piccì», il «compagno radicale» e i «compagni socialisti». Il politicante, per Giorgio Gaber, è egoista perché si affanna ed agisce solo per un proprio tornaconto; si interessa solo a conservare il potere che possiede e, si sa, «il potere logora». Il politicante ha messo in ultimo piano il bene della comunità. Per questo il dio di Gaber non vorrebbe nel Regno dei Cieli né «ministri» né «gente di partito».
La seconda parte del brano è sicuramente quella più controversa, tanto che costò a Giorgio Gaber la censura.
o addirittura, come dice chi ha paura, gli innominabili!
Ma come uomo, come sono e fui,
ho parlato di noi, comuni mortali:
quegli altri non li capisco, mi spavento,
non mi sembrano uguali.
Le trombe del giudizio squillano anche per le Brigate Rosse, «gli innominabili» secondo l’opinione pubblica. Il dio di Gaber rimane attonito davanti alla violenza degli attentati perpetrati dai brigatisti. Perché proprio sgomento? Nonostante i loro ideali di condanna verso lo Stato, lo stesso che il dio di Gaber detesta, nonostante il loro condivisibile sogno di voler abbattere un sistema marcio e corrotto, non possono però essere giustificate le loro azioni sempre più crudeli e sanguinarie. Infatti il dio di Gaber dichiara: «è una porcheria,/che i brigatisti militanti siano arrivati dritti alla pazzia!» Un’incoerenza di fondo quella che agita le Brigate Rosse perché gli attentati stanno portando ad effetti contrari: infatti il popolo arriva a simpatizzare verso quello Stato corrotto che i brigatisti militanti vogliono rovesciare.
Parlando delle BR
inevitabilmente il dio di Gaber dice la sua anche sul rapimento e assassinio di
Aldo Moro, evento che sconvolse l’Italia intera nel 1978.
Io se fossi Dio,
quel Dio di cui ho bisogno come di un miraggio,
c'avrei ancora il coraggio di continuare a dire
che Aldo Moro insieme a tutta la Democrazia Cristiana
è il responsabile maggiore di trent'anni di cancrena italiana.
Parole coraggiose
quelle del cantautore contro Aldo Moro. Nonostante questi sia stato
barbaramente ucciso, il dio di Gaber non cambia idea sul democratico cristiano.
Dopo il suo assassinio tutta la classe politica dichiarò che Moro fosse stato il più importante statista dalla Seconda
Guerra Mondiale in poi. A due anni dalla sua morte una voce fuori dal coro
ha il coraggio di affermare che Aldo Moro è stato un pessimo politico, opportunista e causa di «trent’anni di
cancrena italiana».
Io se fossi Dio,
un Dio incosciente enormemente saggio,
avrei anche il coraggio di andare dritto in galera,
ma vorrei dire che Aldo Moro resta ancora
quella faccia che era!
Alla fine di questo
personalissimo giudizio universale il dio di Gaber vede come unica possibile soluzione quella di
lasciare l’Italia allo sfacelo, disinteressandosi completamente di tutto il
male che la sta uccidendo poco a poco («gli attentati, i rapimenti, i giovani
drogati/e [...] le bombe»). L’Italia per
Giorgio Gaber è insalvabile.
E allora va a finire che se fossi Dio,
io mi ritirerei in campagna
come ho fatto io...
Tanti anni sono passati dall’uscita di questo singolo eppure quella stessa mediocrità che denunciò il cantautore milanese continua ancora oggi ad appestare un’Italia sempre più allo sbando.
Anche populista come si usa dire oggi....
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