Ogni donna la sua fortuna ce l’ha fra le gambe
Honoré de Balzac
Esther Pauline Lachman, detta la Paìva fu una delle più famose cortigiane d’alto bordo di Parigi, particolarmente attiva nel periodo del Secondo Impero, sotto il regno dell’imperatore Napoleone III. Della sua vita non si hanno molte notizie, perché cercò sistematicamente di dissimulare le origini della sua famiglia, stendendo un velo di mistero sugli eventi di cui fu protagonista in gioventù, per una sorta di pudore o di vergogna. Si sa che era un’ebrea russa o polacca, di umili origini, nata a Mosca, nell’impero russo in cui, all’epoca, gli ebrei erano sottoposti a molte restrizioni e divieti, che rendevano la loro esistenza difficile e agra.
Nel 1838/39 decise di partire alla volta di Parigi, di cui aveva sentito parlare come di una città ricca e gaudente, animata da una esclusiva joie de vivre, dove esisteva la concreta possibilità di elevare la propria condizione sociale. Senza alcun rimpianto abbandonò figlio e marito, animata dalla consapevolezza di poter raggiungere la tanto agognata mèta della felicità. Giunta, dopo un lungo ed estenuante viaggio, nella Ville Lumière, all’epoca sotto il governo della monarchia borghese di Luigi Filippo, povera e senza molte prospettive per il futuro, Esther, giovane, graziosa e di bel portamento, iniziò a lavorare in una maison de tolerance nei pressi della chiesa di Notre Dame de Lorette, nel IX arrondissement, le cui collaboratrici, donne eleganti e piacenti, risolute e disponibili ad intrattenersi con una facoltosa clientela, prettamente maschile, erano chiamate lorettes per distinguerle dalle luride meretrici peripatetiche straccione e miserabili, (denominate grisette) abbandonate a se stesse e non sottoposte ai controlli sanitari, che circolavano soprattutto nei sobborghi di place Pigalle. Esther si abituerà facilmente a quella vita avventurosa e stimolante, decidendo di cambiare il suo nome in Thérèse, più seducente, raffinato e di maggiore richiamo erotico.
Questa prima esperienza libertina rappresenterà comunque una fase preliminare e transitoria per la giovane neòfita, e avrà una breve durata; la sua ambizione infatti la spingeva a salire nella graduatoria delle cortigiane, vagheggiando un rapporto esclusivo con un uomo facoltoso e tollerante, al fine di sfruttarne i favori e, in particolare, il patrimonio. Risparmiati un po’ di soldi, pungolata da una irrefrenabile libidine, decise di tentare la fortuna e nel 1841 si trasferì nella cittadina prussiana di Ems, nella regione della Renania-Palatinato, sul fiume Lahn, affluente del Reno, un rigoglioso centro turistico dove, all’epoca, esisteva una delle salus per aquam più famose d’Europa, frequentata dall’aristocrazia internazionale e dall’alta borghesia industriale. Si trattò di una mossa che può definirsi senz’altro azzardata ma indubbiamente molto astuta; a Thérèse piaceva rischiare e, nonostante la giovane età, era consapevole che, per raggiungere un obiettivo ambizioso, era necessario mettersi in gioco, senza troppi scrupoli e con una buona dose di follia. In lei di fatto, convivevano pragmatismo, razionalità e spirito di avventura. L’anno seguente, infatti, le fu propizio, in quanto avvenne l’incontro fatale con il trentottenne, pianista e compositore austriaco Henri Herz, rampollo di una ricca famiglia viennese, che si innamorò perdutamente di questa ragazza di appena ventidue anni piacente, non eccessivamente bella ma ricca di fascino esotico. Si racconta che per conquistarlo l’astuta fanciulla finse di svenire durante uno dei suoi concerti, e l’ingenuo Henri, commosso da tanta sensibilità, venne travolto dalla passione. Tra i due colombi, diventati immediatamente amanti, nacque una relazione ufficiale e stabile, more uxorio, e la coppia, senza troppi indugi, decise di andare a vivere a Parigi, dove Henri, professore di pianoforte al Conservatorio, gestiva insieme al fratello Jacques, una prestigiosa sala di concerti in rue de la Victoire; la salle Herz, utilizzata durante le esibizioni di grandi maestri della musica, tra cui Hector Berlioz, Jacques Offenbach, Richard Wagner, Hans von Bulow, e una fabbrica di pianoforti dalle alterne fortune.
A Parigi Thérèse si rifece nuovamente il trucco, cambiando il nome in Blanche, spacciandosi per la moglie di Herz e dichiarando ai conoscenti di essere una discendente del principe russo Costantin Paulovich. Esther-Thérese-Blanche, creatasi così una nuova immagine sociale di grande fascino, iniziò a frequentare, con il compagno Henri, gli ambienti parigini più esclusivi, non facendosi scrupolo comunque di tradirlo, quando se ne presentava l’occasione, con diversi ricchi amanti. La coppia avrà anche una figlia, Henriette, di cui la madre si disinteresserà completamente, demandando ogni incombenza inerente il suo mantenimento e la sua educazione alla famiglia Herz, che presto deciderà di mandarla in un collegio Svizzero; la sfortunata ragazzina morirà alla tenera età di dodici anni. Per poter mantenere l’alto tenore di vita a cui Blanche pretendeva di avere diritto, Henri intraprese una serie di tournée in tutta Europa, soggiornando spesso a Londra, sempre accompagnato dalla viziosa amante che si era incaricata di gestire gli introiti della sua attività, dilapidandone la maggior parte, per soddisfare i suoi capricci di femmina pretenziosa e perennemente insoddisfatta. Nel corso di questi numerosi viaggi (di intenso lavoro per il frastornato Henri e di spensierato piacere per la irrequieta Blance) la coppia conobbe molti illustri personaggi del mondo della cultura, come Théophile Gautier, l’autore del Capitan Fracassa (molto stimato sia da Charles Baudelaire che da Oscar Wilde), con cui Blanche instaurerà una intensa e durevole amicizia, Richard Wagner, il politico francese Léon Gambetta, i fratelli de Goncourt. Nel 1846 Henri Herz venne invitato a esibirsi in una serie di concerti oltreoceano, pianificando una tournée della durata di sei mesi, in realtà rimarrà lontano da Parigi per qualche anno (nel 1866 scriverà un libro sulle sue esperienze all’estero intitolato: Mes voyages en Amérique). L’uomo approfittò della provvidenziale occasione per chiudere, senza scandalo né strascichi legali, una relazione che, ormai esaurita l’iniziale passione erotica, stava rivelandosi scomoda, inopportuna ed economicamente insostenibile, considerando i numerosi tradimenti di Blanche e soprattutto la sua insaziabile voracità finanziaria che ormai la faceva apparire, ai suoi occhi, più che un’amante, un’indegna sanguisuga, essendo riuscita a dilapidare buona parte del patrimonio dell’ingenuo pianista-compositore, umanamente e psicologicamente fragile nonché tragicamente succube della giovane maliarda. Per non destare sospetti Henri, in accordo con la famiglia, lasciò la gestione della casa a Blanche e affidò i suoi affari al più accorto e determinato fratello Jacques Simon, anch’egli pianista e insegnante di musica. Dopo la partenza di Henri, Jacques, essendo stato nominato amministratore dei beni del fratello, non ebbe scrupoli a congedare in malo modo la donna, allontanandola dalla famiglia, ben consapevole dell’inesistenza di un contratto matrimoniale a cui la fedifraga potesse appellarsi, e invocare la tutela dei propri diritti. Blanche, repentinamente, si trovò sul lastrico e in completa solitudine ad affrontare una situazione oltremodo gravosa, chiudendo così il primo capitolo della saga (mundus transit et concupiscentia eius).
Con diplomazia la giovane donna accettò la sconfitta, manifestando una signorile discrezione e, sommessamente, lasciò Parigi per trasferirsi a Londra dove, sebbene priva di mezzi materiali (ma non di brillanti intuizioni) seppe escogitare una nuova strategia, iniziando a frequentare il lussuoso Covent Garden, presentandosi alle soirée teatrali agghindata con toilettes eleganti e vaporose, affittate per l’occasione presso qualche sartoria londinese di Savile Row a Mayfair, nel centro cittadino e ben presto, grazie al suo irresistibile fascino, riuscì ad instaurare una serie di relazioni di livello, assai profittevoli per le sue finanze (annoverando fra i suoi estimatori-amanti anche lord Derby, primo ministro inglese) che le consentirono di accumulare un discreto patrimonio. La sua attività di cortigiana di alto bordo, nella compassata e austera metropoli londinese, soddisfò solo parzialmente il narcisismo e la bramosia di ricchezza e di lusso smodato che la corrodevano nell’animo. Questa grande horizontale era alla ricerca di un’affermazione sociale, nutriva un bisogno fisiologico di legarsi a un protettore autorevole, dai mezzi illimitati. La sua necessità era impellente e d’istinto considerò che solo Parigi, città del vizio e della depravazione, potesse offrirle tale agognata opportunità. Nel 1848, al suo rientro trionfale nella capitale francese, prese in affitto un appartamento in un elegante palazzo gotico, al numero 30 di place Saint Georges. In quel periodo in Francia il clima socio- politico, era ricco di fermenti e rinnovate speranze; la seconda repubblica aveva scalzato la monarchia di luglio e Napoleone III era stato eletto presidente, nella capitale si respirava aria di rinnovamento e di grandi opportunità. La donna, confidando nel futuro, gratificata da un benevolo destino, dopo alcuni mesi, fatalmente, conobbe il ricchissimo e prodigo gentiluomo cattolico portoghese Albino Francesco de Aràujo de Paìva, un sedicente marchese lusitano (in realtà un avventuriero senza titolo e senza scrupoli) arricchitosi commerciando grandi quantitativi di oppio in tutta Europa. Nel frattempo (era il 1849) venne raggiunta dal disgraziato e implorante marito Antoine che, desideroso di riconquistarla, aveva lasciato la Russia illudendosi di poter riallacciare il legame con la donna amata, ma lei lo respinse con freddezza e l’uomo, affranto, si uccise.
Albino Francesco |
Blanche, divenuta vedova, finalmente libera di potersi risposare e consapevole dell’opportunità offertale nuovamente dal destino, su un piatto d’argento, la colse al volo, coltivando intensamente e sfacciatamente il rapporto con il ricco Paìva, ma senza troppa fatica, in quanto l’uomo, essendosi già invaghito della misteriosa e seducente cortigiana, non oppose alcuna resistenza, abbandonandosi alla passione. Nel 1851 i due amanti convolarono a nozze e il finto marchese le offrì, come cadeau matrimoniale, un appartamento in rue Rossini, accompagnato da un appannaggio annuo di quarantamila sterline, puntualmente indicato e sottoscritto nel contratto di coniugio. L’idillio fu comunque di breve durata (giusto un paio d’anni) d’altronde la donna, provetta arrampicatrice, ambiva solamente ad ottenere il riconoscimento sociale e il titolo di marchesa e, sebbene quest’ultimo risultasse fasullo, da quel momento la vanitosa signora verrà conosciuta e celebrata dal suo entourage come la marchesa de Paìva. Frattanto il sedicente marchese aveva ormai perso ogni interesse agli occhi della sua volubile consorte, anche a causa della ludopatìa congenita che lo aveva portato a dilapidare, nei casinò europei, buona parte del suo ingente patrimonio. Venne perciò allontanato dal talamo coniugale e indotto a tornare immantinente in Portogallo. L’uomo, benché umiliato, obbedì senza indugio. Nel 1871 la Paìva otterrà l’annullamento dell’infausto matrimonio e l’anno successivo il decaduto marchese, ormai in bancarotta, si suicidò, suggellando con la sua morte il secondo capitolo della saga della belle dame sans merci. (requiescat in pace)
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