28 marzo 2022

Le famose cortigiane del secondo impero: la Valtesse (seconda parte)

A poco più di 30 anni la Valtesse è una delle cortigiane più apprezzate di Parigi, gli uomini di potere se la contendono, gli artisti e i letterati la omaggiano; è nello stesso tempo un' appassionata e costosa amante e una musa ispiratrice. La Grande Horizontale è sbocciata in tutto il suo fulgore e sfida senza soggezione la Ville Lumière.

La Valtesse il tre giugno del 1882, si premurò di richiedere al tribunale civile di Lisieux, capoluogo della regione Pays d’Auge in Normandia, paese natale della madre Victoire, di rettificare il suo cognome originario Delabigne in de la Bigne, contestualmente a quello della stessa madre e del nonno, per darsi un velleitario connotato aristocratico; la richiesta venne accettata, come risulta nell’atto del giudice delegato, che precisa: 

Par jugement sur requete en date du 3 Juin 1822, le Tribunal civil de Lisieux a décidé que le nom patronymique Delabigne écrit en un sol mot dans l’acte ci-contre, devoir s’écrire en trois mots “de la Bigne” tant pour la demoiselle Victoire Emilie de la Bigne que pur le nome de son père figurant audit acte et a ordonné une sur identification de l’acte de naissance de la Delle Victoire Emilie de la Bigne dressée à Orbec le 2 Juillet  1820. Pour mention, à Lisieux le 9 Juin 1882

Pare inoltre che nel 1870 ottenesse il titolo di “comtesse” direttamente dall’Imperatore Napoleone III; forse si trattò dell’ultimo atto, alquanto frivolo, di un triste e malato monarca sul viale del tramonto, naturalmente al prezzo di una furente e indimenticabile notte di torrida passione. Si mormorò anche (ma sono solo voci di corridoio) di un non ben precisato incontro con il principe di Galles, Edoardo VII, futuro re di Gran Bretagna e Irlanda. Tra i suoi amici la Valtesse (ora comtesse) de la Bigne, annoverava numerosi illustri personaggi politici; da Léon Gambetta, già citato, ministro e presidente del consiglio, di cui fu anche l’amante, a Pierre-Joseph-Louis-Numa Baragnon, sottosegretario di stato e si compiaceva di frequentare, con sincero entusiasmo, letterati, scrittori, poeti, tra cui Octave Mibeau, scrittore e critico d’arte, autore della commedia  satirica Les affaires sont les affaires, Arsène Houssaye, proprietario de La Gazette de Paris e della Revue de Paris et de Saint-Pétersbourg, Pierre Louys, poeta simbolista e saffico, Théophile Gautier, immancabile Capitan Fracassa e dulcis in fundo il “suo tesoro” Edmond de Goncourt. Ma in particolare amava i pittori come Edouard Manet, Henri Gerveux, Edouard Detaille, Gustave Courbet, Eugène Boudin, Alphonse de Neuville “gli uomini sono ladri, traditori, talvolta artisti” diceva, facendo, ironicamente, un esplicito distinguo tra uomini e artisti, due realtà e due razze, per lei, totalmente diverse. Di alcuni divenne la musa e anche l’amante, tanto da essere  soprannominata, con ironia: “L’union des peintres”. Il grande Manet nel 1879 realizzò, a pastello, uno splendido ritratto mezzobusto della Valtesse, conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York City, molto apprezzato dalla vanitosa signora che, dopo averlo visto, gli scrisse una lettera piena di entusiasmo e gratitudine, ritenendosi lusingata e fiera di aver posato per un artista così prestigioso. Un altro ritratto, a figura intera, venne realizzato da Henri Gerveux nel 1889; un olio su tela in stile impressionista, dai colori luminosi, oggi in bella mostra al Musée d’Orsay di Parigi. Per Gerveux la Valtesse  aveva già posato nel 1881, per il dipinto pubblico intitolato Matrimonio civile, realizzato nella sala del municipio del XIX arrondissement di Parigi, tutt’ora visibile. L’eroina del sesso e della lussuria era ormai diventata una “grande horizontale”, annoverata nella famosa guida ufficiale “Pretty women of Paris”, destinata ai ricchi gentiluomini in visita nella capitale francese, in cui erano elencate le migliori cortigiane parigine, contestualmente alle loro specialità erotico-sessuali affinché i clienti potessero scegliere consapevolmente, con una inequivocabile cognizione di causa. La Valtesse, altezzosamente, girava i boulevard cittadini nella sua carrozza privata, accompagnata da due bellissimi levrieri: Mimile e Loti, come un’aristocratica anglosassone, assaporando il gusto del suo trionfo. Dopo le tristi vicende della guerra franco-prussiana e i successivi tragici avvenimenti della Comune, desiderosa di novità, la comtesse abbandonò il vecchio Offenbach, diventando l’amante capricciosa e incontentabile del principe polacco Lubomirski, che, generosamente, le fece dono di un lussuoso appartamento in rue Saint-Georges, prima di essere ridotto sul lastrico dalla vorace ape regina e prontamente sostituito dal principe Sagan, famoso e facoltoso dandy che tra il 1873 e il 1876 farà costruire per lei, dall’architetto Pierre-Victor Barthélemy un Hotel particulier al numero novantotto del boulevard Malesherbes, all’angolo di rue La Terrasse, per poi finire anch’egli in miseria, grazie alle folli pretese dell’amante vorace e distruttiva, che, per queste incredibili performances, verrà soprannominata “altesse de la guigne” (altezza della sventura). Sebbene fosse una donna spregiudicata, la Valtesse aveva un animo sensibile ed era infastidita dalla volgarità, come si evince da un episodio accaduto nel 1875, quando venne rappresentata la commedia Al petalo di rosa, casa turca scritta dal drammaturgo Guy de Maupassant, suo amico, che si era premurato di invitarla alla prima. La donna, appena si accorse che si trattava di un’opera goliardicamente oscena, ambientata in una casa chiusa, con un sorriso irritato abbandonò il teatro, mentre Flaubert, seduto accanto, rideva di gusto.

La neo contessa, ormai ricca e all’apice del suo successo mondano, ma sempre alla ricerca di onori e prebende, (affamata di celebrità oltreché di denaro), in una sorta di auto apologia, decise di soprannominarsi Rayon d’or (raggio d’oro), accentuando ulteriormente il suo patologico narcisismo, inoltre adottò il colore blu come segno distintivo, in omaggio alla tonalità cerulea dei suoi splendidi occhi a cui la maggior parte degli uomini non sapeva, non voleva o non poteva resistere. Consapevole di aver maturato un significativo carisma sulla fauna maschile, non si fece scrupolo di inasprire il sussiego, la iattanza e l’albagia del suo carattere, avendo l’ardire di rispondere, con arroganza, alle timide avances di Alexandre Dumas figlio, che aspirava a ottenere qualche ora d’intimità in sua compagnia: “Caro Signore non è nelle vostre possibilità”, siglando così uno smacco storico che lo scrittore de: La signora delle camelie non dimenticherà facilmente. Femmina senz’altro lungimirante e previdente, la Valtesse, pensando al suo futuro, decise di acquistare un’elegante villa a Ville-d’Avray, nel dipartimento Hauts-de-Seine, regione dell’Ile-de-France, (forse in omaggio al suo prediletto pittore paesaggista Jean-Baptiste Camille Corot, per il quale aveva posato da ragazzina, che vi soggiornava spesso, possedendovi una casa di campagna) avendo cura di arredarla con gusto e di arricchirla con le decorazioni del pittore e amico Edouard Detaille, a cui commissionerà inoltre una serie di ritratti di presunti avi della rinominata (ma non rinomata) famiglia de la Bigne, da lei puntualmente elencati. Nobili antenati immaginari, frutto della sua fervida fantasia, che, per molti anni, fecero bella mostra di sé nel grande salone di rappresentanza, con cui l’insaziabile matrona, ormai priva di scrupoli e di razionalità, desiderava dare maggiore concretezza e un tocco di verità alla sua inesistente casata. Negli anni della maturità si concesse anche dei momenti di gratificante riposo nel sud della Francia, godendosi la dolcezza carezzevole della costa Azzurra, nella sua Villa des Aigles , (che si era fatta costruire nei pressi di Montecarlo), in compagnia di Edouard Detaille, suo pittore di fiducia ma soprattutto servo e schiavo fedele, che si nutriva dei suoi avanzi di attenzione, come un cane da compagnia, e che rimarrà al suo fianco fino alla morte. La sua megalomania non aveva ormai più alcuna remora e nel 1875 raggiunse un livello parossistico quando la Valtesse decise di regalarsi un cosiddetto letto da preda (per incatenarvi i ricchi amanti), commissionandone la realizzazione all’ebanista-incisore Edouard Lièvre. Il letto, in base alla sua precisa richiesta, avrebbe dovuto avere la forma di un trono, in stile rinascimentale, sul modello dei talami cerimoniali utilizzati da personaggi eminenti del passato; l’opera, venne costruita in legno di faggio con inserti in bronzo dorato, era alta quattro metri e circondata da una balaustra, con due colonne che sostenevano un ampio baldacchino rettangolare, decorato con vasi dorati e intricate fantasie floreali a traliccio, con le lettere V (di Valtesse) posizionate a intervalli regolari e, sopra la testiera, un grande fregio anch’esso dorato. Il costo complessivo del manufatto fu di cinquantamila franchi, una cifra esorbitante per l’epoca, considerando che rappresentava un terzo del prezzo richiesto per l’acquisto di una villa a Parigi. Questo capolavoro di vanità, decisamente pacchiana, sopravvissuto alla sua proprietaria, è oggi conservato nel Musée des Arts Décoratifs della capitale francese, nella sala denominata Valtesse de la Bigne. Perennemente insoddisfatta del suo status e desiderando dare sfogo alle sue velleità e aspirazioni letterarie, stimolata dalla frequentazione di famosi scrittori e poeti, la Valtesse nel 1876 pubblicò un romanzo autobiografico dal titolo Isola con l’editore Henri-Justin-Edouard Dentu, la cui tipografia-libreria aveva sede nella Galleria Orléans al Palais-Royal. Il romanzo, di cui si sono perse le tracce, non ebbe alcun successo, trattandosi di una storia annacquata e patetica (in cui emergeva il malanimo  moraleggiante  e vendicativo della donna verso la società contemporanea) scritta  nel tentativo di giustificare ed emendare la sua vita, aspetto tutt’altro che stimolante, che non suscitò l’interesse nel pubblico, maggiormente coinvolto dalle situazioni torbide, dissolute e perverse.

Ero piccola e debole, sono caduta! La gente mi ha condannato subito, irrevocabilmente. Bene mi sono detta, non mi impedirete di salire fino a voi oppure scenderete fino a me. Voi ci mostrate a dito… Bene, io mi prenderò, a mio piacere, i vostri mariti e i vostri fratelli, i vostri figli e i vostri amanti. Con il vostro denaro mi comprerò una famiglia, dei genitori, degli amici, la società, se ne avrò voglia. Il mio corpo mi ha disonorato e deve arricchirmi per farmi recuperare almeno l’apparenza dell’onore. 

La Valtesse si firmò con lo pseudonimo Ego (il suo motto) in cui si ravvisava un’altra manifestazione psicanalitica, legata alla costante ricerca di elogi e adulazioni al fine di soddisfare (velleitariamente)  l’inesauribile bisogno di attenzione che le tormentava l’anima “L’ego è un’isola nell’oceano dell’inferno. Si vuole eliminare l’inferno ma non ci si vuole sbarazzare dell’isola”. Fu il romanziere Emile Zola a donarle una certa notorietà letteraria, traendo ispirazione dalla sua vita avventurosa per definire la protagonista del suo romanzo Nana, pubblicato nel 1880. Lo scrittore si documentò avvalendosi delle confidenze di Ludovic Halévy, librettista di Offenbach, autore di operette e commedie leggere, che la conosceva intimamente. Inoltre, grazie ai buoni uffici dell’amico Léon Hennique, scrittore e drammaturgo, fondatore dell’Accadémie Goucourt, ottenne il consenso della cortigiana di visitare il suo Hotel particulier e la riservatissima alcova dai segreti piaceri. La Valtesse però si offese profondamente per le ironiche descrizioni della sua camera da letto fatte dallo scrittore, in particolare per la frase sibillina: “Alcune tracce di tenera stoltezza e sfarzoso splendore” e ne rimase così contrariata che definì il personaggio di Nana “una puttana volgare” e lo scrittore uno stupido, maleducato; sarà Gustave Flaubert a nobilitarne la memoria,  stemperando il suo severo giudizio: “Nana si trasforma in un mito senza cessare di essere donna”. Nel 1897 lo scrittore francese Georges Grassal de Choffat, in arte Hugues Rebell, considerato un autore erotico, talvolta pornografico (poco noto al grande pubblico) diede alle stampe il romanzo La Nichina, la cui protagonista era una bella cortigiana veneziana, vissuta nel periodo rinascimentale (in cui si riconosce la figura della Valtesse).Descritta come una donna dal talento erotico ineguagliabile che “Avrebbe potuto sedurre il demonio se lo avesse desiderato”, indulgendo, senza pudore, nelle pratiche più vili e degradanti della sessualità, per il puro piacere di trasgredire. A questa  femmina immorale l’autore, profondamente materialista, anticlericale e detrattore del falso puritanesimo borghese, rendeva un ossequioso omaggio. Come sosteneva il letterato britannico John MiltonMeglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso”.

Alle soglie dei suoi cinquant’anni, quando il XIX secolo volgeva al termine, la Belle Epoque stava iniziando a segnare il passo e i venti di guerra si addensavano sull’orizzonte europeo. La saggia Valtesse si rese conto che era giunto il momento di ritirarsi dalla scena e di abbandonare, con eleganza, il palcoscenico da grande mattatrice, in quanto la sua proverbiale bellezza stava iniziando a sfiorire e il suo sex appeal, inesorabilmente, perdeva colpi. Vendette l’Hotel particulier di boulevard Malesherbes, la villa di Les Aigles a Montecarlo e, da ricca pensionata,  si ritirò nella sua splendida magione di Ville-d’Avray, dove negli anni aveva raccolto una collezione di opere d’arte e di antiquariato di notevole pregio, dimostrando di possedere un gusto raffinato. Dopo la sua morte la collezione venne venduta presso la casa d’aste Hotel Drouot, in rue Drouot, nel periodo compreso tra il due e il sette Giugno del 1912, invece il faraonico “letto da parata” lasciato in eredità allo Stato Francese. L’attempata Valtesse, per non annoiarsi, intraprese una proficua attività didattica nella materia in cui si era forgiata con anni di esperienza e intensa pratica sul campo; istruendo e addestrando le giovani, potenziali cortigiane, desiderose di fare carriera in quel mondo complesso e articolato, molteplice e multiforme, tragico e meraviglioso della prostituzione d’alto bordo. Tra le sue allieve più illustri, spicca senz’altro il nome di Liane de Pougy, pseudonimo di Anne-Marie-Olympe Chassaigne, suggeritole dalla stessa Valtesse, con la raccomandazione di avere cura di inserire la particella “de” per dargli lustro e autorevolezza. La de Pougy  seguì scrupolosamente i suggerimenti della sua mentore e le due donne diventarono amiche molto intime, instaurando una relazione saffica piuttosto scandalosa (d’altronde la Valtesse non nutriva inibizioni sessuali e la de Pougy era più lesbica che bisessuale), che verrà celebrata e consegnata alla storia, nel romanzo Idylle Saphique, pubblicato dalla de Pougy a Parigi nel 1901, in cui tra le varie protagoniste il personaggio di “Altesse” era chiaramente ispirato alla Valtesse, che l’autrice descrisse così:

Aveva una bocca finemente arcuata da un’ironia piena di spirito, che faceva pensare alla Gioconda, un viso pensoso e deciso, una bellezza fredda e regale. 

Si trattò di una brillante e lussuriosa testimonianza del periodo decadente della Belle Epoque, in cui il piacere della trasgressione e la soddisfazione carnale rappresentavano l’essenza stessa della vita e la sessualità era vissuta con smodata e intransigente golosità e passione. L’opera, che grondava lussuria da ogni pagina, ebbe un notevole successo e la de Pougy venne considerata, per molti anni, l’ambasciatrice dell’omosessualità femminile, salvo poi convertirsi in tarda età (alle soglie degli ottant’anni) alla preghiera e all’espiazione, entrando  come novizia, nel 1945, nel Terzo ordine di San Domenico, con il nome di Anne - Marie Madeleine de la Pénitence; dedicando i suoi ultimi anni alla cura dei malati di mente dell’Asilo Saint-Agnès di Saint-Martin-le-Vinoux, nei pressi di Grenoble, nel più totale pentimento per la sua vita dissoluta e riprovevole, per poi morire, mondata da ogni peccato, a ottantadue anni, nel 1950,  in “odore di santità” secondo l’opinione (opinabile) del suo confessore, il padre domenicano Alex - Ceslas Rzewuski. Il drammaturgo, saggista e anche “homme du monde” francese André de Fouquières, dopo la sua morte, sopraffatto da una esaltazione apologetica scrisse di lei: 

Morì a ottantadue anni, mantenendo sul viso e nello sguardo ammirevole i segni ancora visibili della bellezza passata. Desiderava morire in una notte di Natale, e la Divina Provvidenza ha esaudito le sue preghiere. Aveva desiderato che niente seguisse le spoglie di colei che non voleva essere nient'altro che Anna Maria Maddalena della Penitenza. E queste spoglie tanto amate, tanto vantate, se ne andarono da sole. Liane de Pougy era morta davvero.

L’impenitente Valtesse, con maggiore coerenza, non si convertì e non volle cerimonie religiose “Non mi aspetto niente, non spero in niente! Nego l’eternità”. Venne colta da morte improvvisa nel 1910, all’età di sessantadue anni, a causa di un aneurisma cerebrale, ma la visita della nera mietitrice non fu abbastanza tempestiva da non permetterle di lasciare ai posteri un commiato autografo, che divenne il suo epitaffio: 

Bisogna amare un po’ o molto, seguendo la natura ma velocemente, in un istante, come si ama un canto degli uccelli, che parla alla propria anima e che si dimentica con la sua ultima nota. Come uno ama i colori crèmisi del sole nel momento in cui scompare sotto l’orizzonte. 

                                                                            Giuseppe Filippo Vietti


prima parte

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