La convivenza è qualcosa che si impara. E questo è possibile solo nel rispetto reciproco.
Nella prima settimana di aprile inizia il mese del digiuno per milioni di fedeli musulmani di tutto il mondo, ma cosa è l’Islam? E perché è così importante parlarne? In un’intensa chiacchierata con sua figlia di dieci anni, il poeta e scrittore franco marocchino Tahar Ben Jelloun, racconta l’essenza e le fondamenta della sua religione dopo gli accaduti dell’undici settembre.
Sì, come i tuoi genitori.E sono anche araba?Sì, sei araba, anche se non parli questa lingua.Ma hai visto anche tu la televisione: i musulmani sono cattivi, hanno ucciso molte persone; io non voglio essere musulmana.E allora? cosa pensi di fare?D’ora in poi, a scuola, non rifiuterò più la carne di maiale in mensa.Se preferisci, ma prima che tu rinunci a essere musulmana, devo dirti che i cattivi di cui parli non sono dei veri musulmani; ci sono persone cattive dappertutto.
Così inizia il suo libro Tahar Ben Jelloun, partendo da un momento che ha sconvolto le vite di tutte le persone al mondo, musulmani e non. Affronta con garbo le perplessità di sua figlia, la lascia libera di esprimere i suoi sentimenti forse, guidati da un senso di sofferenza ma anche di estraneità rispetto ai suoi compagni di scuola, risultati di ingenuità e di trasparenza. Durante l’evoluzione della chiacchierata, l’autore, cerca di spiegare alla bambina i ruoli degli attori in causa: “Allah, come il Dio degli ebrei e dei cristiani, vieta di uccidere gli altri…” usa le parole del Corano, cita la Sunna e la storia, mettendo pezzetti al puzzle che delinea la veridicità di questa religione.
Il racconto prende una svolta quando la figlia chiede di spiegare perché lei è musulmana e cosa significa credere in questa fede iniziando dai primordi narrando la nascita del profeta Muhammad, la sua crescita, la sua tenacia, il suo amore per khadija, la sua rivelazione, la sua innalzata verso l’alto come capo di una comunità emergente.
Il linguaggio di Jelloun, è un lessico semplice, fluido, gentile, sensibile ma anche profondamente cosciente, usa parole elementari tipico di chi si esprime con i bambini. Sua figlia pone numerose domande: chi è Dio, perché non parla in inglese, cosa significa beduino, da dove viene la parola calamo, perché esistono tante religioni, da dove viene la parola crociata, cosa hanno fatto i nostri antenati […] per tutte le pagine del libro parla tête-à-tête con il padre cercando di risolvere enigmi e di concretizzare ogni sua curiosità affidandosi interamente alla cultura e sapienza del suo papà.
Il libro è diviso in nove capitoli che equivalgono a nove giorni, ogni giorno la bambina si siede con il padre e gli chiede spiegazioni riguardo all’Islam, ai musulmani e al perché c’è stato l’attentato alle torri gemelle e da dove ha avuto origine il terrorismo. Nove giornate ha impiegato lo scrittore in qualità di padre a comunicare e a trasmettere alla figlia i valori e la realtà delle sue radici; nell’ultimo giorno le sue argomentazioni sono basate sul numero crescente di fedeli al mondo dai primordi ad oggi citando il termine jihad e di come nei secoli ha mutato il suo significato diventando simbolo degli integralisti “tornare ai principi fondamentali dell’Islam, come se il mondo non si fosse evoluto.” Queste le sue parole, cercando di far comprendere che esistono varianti, molteplici pensieri, che nessuno è uguale all’altro e che la sua fede in quanto tale, non è né violenta e né tremenda come i media stavano cercando di far passare. La sua conversazione si chiude dicendo alla figlia che l’unica maniera che esiste per evitare odio e razzismo è partire dalle scuole, educare studenti e bambini alla tolleranza e all’integrazione, insegnare loro che siamo un unico popolo diviso da culture e lingue che però sono simili tra loro e per farglielo capire, usa una lista di cose, parole, strumenti che derivano dalla lingua araba ma che nessuno lo sa come le parole: albicocca, satin, benzina, droga, zafferano […]
L’originalità di questo autore è incentrata sulla modalità che sceglie di affrontare temi così importanti in un periodo particolare per la sua religione e per i paesi arabi-musulmani, la sua arma è sua figlia, la sua forza è la bambina che a sua volta attira bambini, come se parlare ai bambini fosse più semplice che con gli adulti e la sfida più importante è proprio arrivare indirettamente a quest’ultimi che dovranno spiegarlo poi ai loro figli.
Dall’undici settembre ai giorni nostri, le parole di Tahar Ben Jelloun sono profondamente moderne ed estremamente attuali ed importanti a causa di una lotta continua per sconfiggere l’odio per lo straniero e spingere alla costruzione di ponti e non di muri.
Alessandra Pia Ferrara
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