Antoine de Saint-Exupéry, autore del libro, muore in circostanze sorprendentemente poco chiare, un grand mystère, che si perde tra la Francia, la Sardegna e la Corsica, dove aveva volato con un F-5, prima di inabissarsi nel mare in circostanze mai del tutto chiarite, all’età di 44 anni, un mese e due giorni. Il successivo ritrovamento del velivolo, tra incongruenze, un braccialetto ritrovato e nessun corpo recuperato, decreta l’inizio di una serie di leggende e racconti dal sapore esotico di cui lo scrittore diventa protagonista e forse, col senno di poi, anche vittima. La leggenda assume i tratti intriganti del mito per quell’incredibile corrispondenza tra la vita dello scrittore-pilota ed il suo alter ego letterario, che ritrova se stesso nell’amicizia con il piccolo principe, dopo essere precipitato nel deserto… proprio così… Quando la realtà supera l’immaginazione. C’è una terra, una zona franca, dove incanto e stupore si confondono nelle labili certezze del mondo reale e la cortina di nebbia si assottiglia pericolosamente, sbeffeggiando la ragione, insinuando il dubbio… E se quel cappello non fosse davvero un cappello? È in questo mondo sospeso che comincia la nostra storia… E sarà la storia di un personaggio letterario che, nella sua sbilenca saggezza, mette a nudo le debolezze dei paradigmi di codificazione e decodificazione degli adulti, evidenziandone con stupefacente freschezza le più velate contraddizioni.
Prima deduzione assiomatica: un libro per bambini? Assolutamente no. È innanzitutto un libro che si ammanta di singolari parallelismi nella sua stessa stesura. Antoine de Saint-Exupéry ha solo sei anni quando muore suo padre e impara, con la triste urgenza del bisogno, il gusto della solitudine. Le due figure, quelle dello strano Piccolo Principe e dello scrittore si sovrappongono per scardinare con forza e tenacia le regole, le leggi e le logiche deduzioni del mondo degli adulti, che sembrano, nell’ironia del paradosso – ma nemmeno tanto – non centrare mai il punto. La dedica è all’amico Leone Werth, quando era un bambino; l’invito è non dimenticare che tutti i grandi sono stati bambini. E qui comincia la riflessione. Immediata, visibile, autentica. E la narrazione, stilisticamente semplice e poggiata solidamente su fondamenta paratattiche che ne rendono diretto l’impatto, nasconde un gioco di specchi, dove l’immagine vera è quella riflessa, rovesciata. Da destra a sinistra e non da sinistra a destra. Mi spiego. E’ un libricino illustrato, brevissimo, da leggere nel tempo di una coda dal dottore, se non è molto lunga… E poi? La prima lettura genera un senso di pace e di ritrovata armonia con il “fanciullino”, di pascoliana memoria (ma il mio è un azzardo…), sopito nel nostro animo. Apre il cuore, induce al sorriso e la vita sembra d’improvviso più calda. Poi si ripiomba nella routine, dove non esistono rose e strani principi, né volpi e deserti e dove la contabilità conta più della magia e il potere più della fantasia. Mi è successo. Esattamente così. La prima volta che ho letto il libro è stato qualche anno fa, da adulta quindi, e mi ritengo fortunata… Mi vorticava intorno, affascinante e sfuggente, nella cassetta delle cose da leggere ed io ho sempre posticipato. Eppure, un senso di insoddisfazione malcelava la gioia dell’incontro. L’ho letto. Tutto d’un fiato, in macchina, con Andrea. E poi il silenzio. Qualche commento a caldo. Bellissimo. Ma perché farlo leggere ai bambini? Il Piccolo Principe, nella sua disarmante ma apparente semplicità, ha il potere incredibile di sprigionare una forza demistificatrice che toglie alla ordinaria percezione del mondo la sua patina di superficiale verità, per approdare su lidi di tale intensità e profondità che possono essere vissuti solo attraverso la sua lezione: l’invisibilità dell’essenziale. Una rinnovata e inedita tensione alla vita induce a meditare su paradigmi concreti, scontati.
E siamo alla seconda deduzione assiomatica: lo sguardo di un adulto sul mondo e sull’esistenza non è inequivocabilmente giusto, né l’unico possibile. L’età adulta è considerata – e non a caso- l’età della ragione… Quella in cui il gioco e l’immaginazione esauriscono la loro dimensione, approdando alla stagione nella quale è necessario osservare con gli occhi “dei grandi”, che si alimentano di abilità analitiche, raziocinanti, relegando nel cantuccio delle cose inutili il potere immaginifico dello sguardo dei bambini. Il monito del Piccolo Principe, bianco di collera di fronte all’ “uomo serio” che non si interessa al dramma di vedere mangiato il suo fiore – di cui è innamorato – da una pecora, è il motivo per il quale interrogarsi sul più comune modo di concepire la vita… E’ davvero giusto abbandonare, quasi dimenticare, i nostri slanci emotivi per un microcosmo che impone una rigida tassonomia di ciò che è importante e che ci vuole prestanti, performanti, resilienti? E se, travalicati i confini degli acronimi manageriali, delle sagome da metropolitana e delle nervose e frenetiche valigette da lavoro, si dischiudesse un orizzonte di senso fatto di fiori e pecore e serpenti che mangiano elefanti? Non sempre… Non completamente… Ma qualche volta. Proprio come il pirandelliano impiegato Belluca che scappa dai suoi doveri di computisteria e dalla trappola di un divanaccio sgangherato, rapito dal fascino inatteso del fischio del treno: nel silenzio della notte, comprende che la vita, quella autentica, è sepolta sotto un voluminoso roteare di numeri, mansioni, impiegati, capouffici e vecchie cieche e bisbetiche con cui dover condividere il tetto. La vita non è quella giustamente imposta, ma quella autenticamente ritrovata. È straordinario constatare come l’autore conduca il gioco della narrazione lungo i bordi sottili e fragili del non-sense: le veloci linee della scrittura snella, semplice, immediata si divertono ad inseguire una trama che irride la dimensione del logico, del razionale e del possibile per approdare all’improbabile, sulla cortina di nuvole del paradosso e dell’innocenza fantasiosa e fanciullesca.
Terza deduzione assiomatica: “Il Piccolo Principe” è un manuale di ideali, che confuta con incredibile bellezza le attuali certezze antipedagogiche dei dis-valori imperanti. È inequivocabile la sua valenza didascalica. Mi guardo intorno. Il treno scorre rasentando le onde lente del mare, che spunta a intermittenza tra case e gallerie. La primavera sfiora timidamente i vagoni affollati di persone con il capo chino su smartphone e pc e l’idea è che nessuno entrerà nel mondo dell’altro. Ci si guarda con indifferenza; nel migliore dei casi con diffidenza. E siamo soli. Pandemia o no. Inconfutabilmente soli. La metafora del deserto è, per ovvie motivazioni, da sempre assimilata alla solitudine e all’isolamento. Eppure, nel deserto, che rappresenta la principale location della narrazione, si realizzano le storie più belle del libro e si creano delicate sinergie amicali che reggono l’intera impalcatura del racconto. Gli incontri non sono mai furtivi, non incombe su di essi la premura della fuga, non si dileguano nell’indifferenza dei vagoni di primavera. Si interrogano. L’uno sull’altro, con il curioso desiderio di scoprire la forma delle rispettive vite e di subire l’incanto velato di un caso fortuito. Il Piccolo Principe va subito al sodo… Vuole che il pilota gli disegni una pecora. Ne nasce una pecora di carta protetta da una cassetta. Ma noi grandi queste cose non siamo in grado di capirle e per noi una pecora è…una pecora. Punto. Poco dopo arriva la prima riflessione. L’asteroide B 612 cela in sé – ben oltre il dramma della sua scarsa visibilità astronomica – la verità dell’astronomo turco che lo aveva scoperto e che, la prima volta che ne volle presentare le caratteristiche, non fu preso sul serio a causa del suo abbigliamento… Dietro le parole in apparenza lineari e semplici dello scrittore, si snodano, su un palcoscenico nascosto, emozioni e sentimenti che diventano personaggi dell’altra narrazione, quella in cui il Piccolo Principe ha paura che il suo fiore, teneramente accudito, possa essere mangiato; quella in cui il signor Chermisi crede di essere un uomo serio, solo perché fare addizioni è la sua unica occupazione e perdipiù un’occupazione da adulti; quella in cui, nel misterioso paese delle lacrime, l’aviatore si prende cura e consola il suo amico triste. I “tipi umani” passati in rassegna dal protagonista durante il suo viaggio di conoscenza dei mondi sono uomini bramosi di potere, vanitosi, ubriaconi che annegano nell’alcol la vergogna del loro stesso bere, uomini d’affari che contano per il gusto del possesso. Universi traslati e inconciliabili si sfiorano senza mai toccarsi lungo i binari lucidi e immaginifici del racconto del piccolo principe, che osserva, ma spesso non comprende i meccanismi che governano i ragionamenti adulti. Sembra quasi che questa recherche irretita nel non-sense rechi in sé – ma ad un latente livello di consapevole comprensione – il punto focale dell’intera vicenda: l’incontro con la volpe. L’amicizia viene rivelata dall’autore come un’improvvisa epifania, che tuttavia richiede un lavoro lento e costante di “addomesticamento”. Il lettore scopre inedite dinamiche che pervadono con persuasione il sentimento dell’amicizia:
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
E lungo i sentieri pedagogici del libro arriva sperata la scoperta della saggezza della piccola volpe:
“Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se vuoi un amico addomesticami!”
Fino alla rivelazione finale:
Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
È una lezione preziosa, che sposta lo sguardo sull’ultima pagina. Il Piccolo Principe è tornato a casa. L’aviatore è triste ed il paesaggio, senza il suo amico, è decisamente cambiato. Nel deserto, una stella grigia può diventare d’oro. La recherche si è conclusa. L’incanto de Il Piccolo Principe continua ben oltre gli stretti confini della lettura estemporanea. È una rivelazione che si spande per le strade, fa innamorare i bambini, ma soprattutto fa riflettere i grandi, che spesso dimenticano di cercare l’essenziale.
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