7 giugno 2022

«Revolver» il lato tetro (e maturo) dei Beatles

Revolver

Nel 1966, dopo l’uscita di Rubber Soul, i Beatles registrarono Revolver, acclamato dalla critica come il loro lavoro più maturo e collocato al terzo posto nella classifica dei 500 migliori album di sempre stilata dalla rivista Rolling Stone nel 2003

Già dal precedente album i quattro ragazzi di Liverpool, all’apice del successo, si trovarono davanti ad una scelta rischiosa: continuare a produrre lo stesso tipo di musica che tanto piaceva agli adolescenti, sapendo che prima o poi altre band li avrebbero scalzati, oppure fermare quegli estenuanti tour per concentrarsi solo ed esclusivamente sulla propria crescita artistica. Revolver è il frutto di quella importante decisione. I brani sono eccentrici, bizzarri, riflettono in qualche modo il carattere anticonformista e la geniale inventiva dei Beatles; la complessità degli arrangiamenti, gli innovativi effetti sonori creati in studio (si pensi a quelli che arricchiscono il brano finale Tomorrow Never Knows) e le sperimentali tecniche di registrazione resero le canzoni impossibili da suonare in un eventuale tour. I Beatles avevano imboccato, con successo, una strada del tutto nuova che riscrisse il modo di fare musica.

La maturità dell’album è testimoniata anche dai testi ricchi di immagini e di significati inediti nell’allora produzione beatlesiana. 


Eleanor Rigby è un insolito brano pop eseguito da strumenti appartenenti alla tradizione classica, un ottetto di archi che crea un’atmosfera greve, coerente coi temi trattati. Paul McCartney all’inizio esclama: «Ah, look at all the lonely people», poi passa a descrivere la solitudine di due personaggi: Eleanor Rigby, che aspetta alla finestra, e padre McKenzie, che scrive sermoni che nessuno mai ascolterà. Non è una canzone che invita all’amore, al divertimento, al godersi la vita, Eleanor Rigby parla di alienazione, una condizione che per McCartney affligge il genere umano. In ultimo c’è la morte.         

Eleanor Rigby
died in the church and was buried along with her name
nobody came

Eleanor muore senza poter vedere la propria vita cambiare e la solitudine la perseguiterà fino alla fine: nessuno, infatti, partecipa al funerale. La chiusura della canzone è ancora più cupa.

 No one was saved

Cosa significa? Nessuno può salvarsi dalla solitudine? Oppure Dio non accettò nel Suo regno sia Eleanor sia padre McKenzie? Se si accettasse l’ultima ipotesi, in Eleanor Rigby Paul dichiara amaramente che l’uomo non può sperare nemmeno nella salvezza divina


I’m Only Sleeping descrive i problemi di insonnia e l’indole pigra di John Lennon. La canzone è malinconica, sonnacchiosa, anticipa quel sound tipico del genere Britpop che spopolerà decenni dopo. George Harrison imparò e registrò l’assolo all’incontrario in modo tale che, invertito il nastro, la chitarra sarebbe stata riprodotta correttamente ma il suono distorto avrebbe ricordato uno sbadiglio.         

Everybody seems to think I’m lazy
I don’t mind, I think they’re crazy
running everywhere at such a speed
till they find there’s no need

In questo stupendo brano psichedelico Lennon deride quanti si affannano nel corso della propria esistenza perché non serve a nulla «correre ovunque» e «velocemente». Per quale motivo? Forse perché la vita non ha uno scopo, tutto si riduce inevitabilmente alla morte e alla dissoluzione, quindi è inutile preoccuparsi tentando di arrivare chissà dove. Bisogna prendere la vita con leggerezza. Sarà stata questa l’intenzione di John Lennon mentre scriveva questi versi? 


Love You To riflette l’interesse per la musica orientale, in particolare quella indiana, di George Harrison. Protagonista assoluto è il sitar che in quegli anni Harrison stava imparando. La canzone, sulle prime, è di difficile ascolto, non cattura subito l’attenzione perché è lontana dal sound pop tipico dei Beatles; eppure, nonostante ciò, si rivela essere un lavoro davvero notevole e all’avanguardia.           

Love me while you can
before I’m a dead old man

Strano fare una dichiarazione d’amore e nel frattempo parlare della morte. George Harrison invita la donna a concedersi del tutto a lui prima che sia troppo tardi, prima che lui muoia; ancora una volta fa capolino la minaccia della morte ed il terrore che essa suscita. Questa paranoia ossessionava molto Harrison.           

There’s people standing round
who’ll screw you in the ground
they’ll fill you in with all their sins, you’ll see

Anche in questo caso la chiusura non è positiva: Harrison rammenta che ci sono persone pronte a fare del male e a scaricare sugli altri i propri peccati. Un’insolita canzone d’amore che riflette sull’incombenza della morte e sulla malvagità di un’umanità corrotta dal peccato. L’amore, questo sentimento così nobile, purtroppo è costretto a convivere con entità negative che vogliono distruggerlo: la morte ed il male. 


Altro riferimento alla morte lo si ritrova nella psichedelica She Said She Said, scritta da John Lennon ricordando una festa, a base di LSD, dove l’attore Peter Fonda raccontò, per consolare George Harrison sempre più paranoico, di aver avuto un’esperienza di morte quando era un bambino perché si sparò accidentalmente allo stomaco. In questo lavoro Lennon riversò tutta la sua frustrazione nel sentire questo discorso, infatti trattò in malo modo Peter per farlo tacere.         

She said, “I know what it’s like to be dead
I know what it is to be sad”
And she’s making me feel like I’ve never been born

I Want to Tell You è un'altra traccia scritta da George Harrison, più “occidentale” rispetto a Love You To, sebbene nel finale McCartney si esibisca in un melisma.           

I want to tell you
my head is filled with things to say
when you’re here
all those words, they seem to slip away

Un’altra condanna tormenta gli animi: l’impossibilità di poter spiegare i propri pensieri ed emozioni; ciò causa l’impossibilità di conoscere gli altri bene e, soprattutto, la difficoltà di poter vivere insieme serenamente.          

Sometimes I wish I knew you well
then I could speak my mind and tell you
maybe you’d understand

Un muro di incomprensioni divide le persone; ecco di nuovo, come in Eleanor Rigby, l’atroce minaccia dell’abbandono che sembra non lasciare scampo e, il brano, che chiude dissolvendosi, rimarca l’impossibilità di riuscire a trovare una soluzione al problema. 


Revolver segnò una rivoluzione in ambito musicale. I Beatles rivelarono di essere qualcosa in più di una boy band che sfornava brani di consumo che tanto piacevano ai giovani, dimostrarono il proprio talento “elevando” brani pop in opere d’arte – grazie anche al contributo del genio di George Martin. Sebbene l’album presenti degli alti e bassi - è il primo passo verso l’eccentrico e più riuscito Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band - i quattro ragazzi di Liverpool mostrarono piena maturità nel sound ricercato e nei testi, alcuni di questi, come si è notato, diversi dalla loro precedente produzione.

In ultimo Revolver è anche specchio degli effervescenti e sfaccettati anni Sessanta. La reinvenzione della tradizione, la ricerca ossessiva della novità, la rottura con il passato, il consumo di sostanze psicotrope per espandere il proprio universo interiore (Tomorrow Never Knows descrive un’esperienza in acido fatta da John Lennon) e soprattutto gli umori tenebrosi, macabri e paranoici che resero quel decennio magico ed inquietante.

            Emmanuele Antonio Serio 

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