Esistono luoghi che, nel bene e nel male, forgiano le radici e l’identità della persona. Per qualcuno può essere la spiaggia spettatrice di nottate con gli amici; per altri, una casa dove si sono vissuti momenti particolarmente belli. Per chi scrive, un paese, anzi due: Terralba e Arborea. Situate vicino a Oristano, in Sardegna, circa un secolo fa queste cittadine hanno vissuto il miracolo della bonifica. Credetemi, non è per eccesso di campanilismo o melanconia che parlo di miracolo: lo è stato davvero, per l’impatto che ha avuto sul territorio e i suoi abitanti. Perché questa bonifica, prefascista ma presto sfruttata dal regime, è il frutto del lavoro di tante persone, non solo sarde. Perché ha avuto una madre, Terralba, e una figlia: Arborea appunto. Ma riavvolgiamo il nastro…
Vi sono paesi dove ogni anno il libro del parroco vi sussurra all’orecchio questa tremenda notizia che il becchino è chiamato più spesso della levatrice […] in molti paesi anche i sani che passeggiano per le vie hanno dipinta sul volto la febbre sofferta
così scriveva nel 1869 il deputato Paolo Mantegazza (1831-1910) descrivendo la situazione di molti paesi dell’Isola. Parlava della febbre malarica, allora diffusa perlopiù nella provincia di Oristano, ricca di paludi. In esse la zanzara anofele trovava il posto ideale per riprodursi e colpire gli abitanti della zona. Non solo: alla malaria, per gli abitanti di Terralba, si univa il pericolo rappresentato dal Rio Mogoro, che ad ogni pioggia esondava, allagando i campi e le abitazioni. La situazione era disastrosa. Sempre il Mantegazza, continuando la sua relazione, scriveva:
[…] La Sardegna non guarirà dalla sua febbre finché l’agricoltura non abbia trasformato in succo per le radici il miasma della palude; finché non abbia con una chimica sapiente e quasi miracolosa cambiato il veleno in pane. Il piccolo drenaggio della zappa e dell’aratro, il gran drenaggio di larghe e profonde fosse devono asciugare i terreni; di lì a vent’anni, qualcuno si sarebbe preso l’onere di iniziare queste opere.
Felice Porcella |
E qui arriviamo al primo protagonista della storia, Felice Porcella. Nato a Terralba nel 1860, avvocato con un occhio di riguardo verso i poveri (forniva loro prestazioni gratuite), alla fine dell’Ottocento diventa sindaco del suo paese, che sotto il suo mandato si trasforma: viene ultimato l’acquedotto comunale (uno dei primi in Sardegna) che rifornisce i terralbesi di acqua potabile; nascono la scuola elementare e il lavatoio pubblico; viene inoltre prosciugata una piccola palude vicina al paese. Porcella non si ferma, e nel 1913 è eletto deputato in Parlamento con il Partito Socialista Riformista di Bissolati. In quegli anni il suo lavoro per la bonifica integrale (cioè sanitaria, idraulica e agraria) del Terralbese, cui pensava già da tempo, sfocia in innumerevoli sollecitazioni ai vari ministri dell’Agricoltura e delle Opere pubbliche, affinché intervengano sulla questione. E insieme al direttore della cassa Ademprivile di Cagliari, Antonio Pierazzuoli, prepara un progetto sul risanamento della piana di Terralba. I due collaborano a stretto giro, e decidono di coinvolgere nella realizzazione del piano il vicentino Giulio Dolcetta (1880-1943), allora uomo vicino alla Comit (Banca Commerciale Italiana) in Sardegna.
Giulio Dolcetta |
Nel 1918, nasce a Milano la Società Bonifiche Sarde (SBS), che si occuperà di iniziare i lavori nel Terralbese. Porcella a quel punto deve sobbarcarsi un difficile compito: convincere il Comune e alcuni privati a cedere i loro terreni alla SBS. Dopo un lungo lavoro diplomatico, l’amministrazione e i possidenti lasciano alla Società di Dolcetta le terre in enfiteusi: dovranno cioè tornare a loro dopo qualche tempo. Superato questo complicato scoglio, finalmente i tanto attesi lavori iniziano. Alle elezioni del 1919, Porcella non si ricandida e smetterà di seguire la causa della bonifica, trasferendosi a Oristano. Perché abbandonare il progetto che l’aveva impegnato per anni? Pare che l’avvocato terralbese, dal bel noto caratteraccio, avesse perso l’appoggio dei suoi sostenitori. Qualcuno, più romanticamente, sostiene abbia considerato concluso il suo compito con l’inizio dei lavori della SBS. A prescindere da queste ipotesi, rimane lo spessore morale di un uomo che per la sua terra ha dato tutto, come testimonia questo suo scritto:
[…] per la felicità e la fortuna di questo popolo non basta curare soltanto la malaria del corpo, ma bisogna fugare anche quella dell’anima, che è l’ignoranza. Un popolo tanto più vale e può quanto più sa, perché l’ignoranza è compagna inseparabile dell’ignavia e della miseria.
Morirà a Oristano nel 1931, a bonifica quasi ultimata.
Piana di Terralba prima della nascita di Arborea |
Ancora pochi minuti e Virgilio arriverà a lavoro: è partito un’oretta prima con la sua bicicletta da Arcidano, piccolo paese vicino a Terralba. Ogni santo giorno, che ci sia il sole o la pioggia, si alza prima dell’alba per andare a lavorare nello stagno del Sassu. È la palude più estesa della zona: da anni gli operai cercano di prosciugarla, ma è un’impresa immensa. Soprattutto d’inverno, il nostro arcidanese e i suoi compagni lavorano immersi nell’acqua e nel fango fino a oltre il ginocchio. Spesso sono scalzi, e si feriscono facilmente i piedi. Virgilio è cresciuto con la bonifica: quand’era ancora un bambino, era diventato portatore d’acqua. In seguito, aveva iniziato a scavare i canali irrigui, altra impresa disperata.
Infatti, come se non bastassero la malaria e il fango, un altro grande nemico dell’uomo è il vento, che in Sardegna soffia forte. Basta una nottata di maestrale, che trasporta la sabbia del mare, per far scomparire un canale appena concluso: gli operai ritornano la mattina successiva e devono ri-iniziare a scavarlo daccapo. Per questo motivo viene ideato un sistema di alberi frangivento (pini ed eucaliptus), volto a contrastare le correnti e a ridurre la quantità di sedimenti che conducono. Tutti i lavoratori della bonifica sono sardi, la maggior parte provengono dal circondario: oltre a Terralba e Arcidano, da Marrubiu e Uras. Spesso vengono retribuiti a cottimo: ad esempio, bisogna rimuovere una duna di sabbia? Si lavora ad oltranza fino a quando non viene eliminata. Sono attività fortemente debilitanti, ma questi operai non hanno scelta: vengono quasi tutti da famiglie contadine, poverissime. Per cui non solo si spaccano la schiena tutta la settimana per poche lire, ma la domenica lavorano anche i piccoli terreni che possiedono. Riguardo invece l’aspetto sanitario, per la lotta alla malaria si sceglie di impiegare i pipistrelli. Di giorno “alloggiano” in gabbiette di legno, di notte vengono liberati e vanno a caccia di zanzare anofele. In seguito verrà sparso per tutti i canali e gli stagni il verde di Parigi, composto chimico a base di arsenico, per distruggere anche i nidi delle portatrici della malattia.
Il lavoro di bonifica non conosce tregua, e già nel 1926 iniziano ad arrivare i primi coloni che abiteranno le nuove terre tolte all’acqua. Ma questo lo vedremo nella seconda parte…
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