Il controverso rapporto tra disturbi psichici e creatività
È consuetudine del nostro tempo, e della cultura occidentale in generale, associare la genialità alla follia, o ad una più generica capacità di pensare fuori dagli schemi, di cogliere quanto sfugge all’occhio comune e tradurlo in arte ed intuizione. Secondo la psicanalista statunitense Nancy McWilliams il prototipo del genio creativo è quasi sempre affetto da tratti della personalità di carattere schizoide, tratti che si manifestano con una serie di sintomi riconoscibili sin dall’infanzia, quali ad esempio la tendenza all’isolamento, la difficoltà nell’adattamento al contesto sociale, la spiccata sensibilità e la predisposizione ad un frequente ritiro nel mondo dell’immaginazione. Secondo l’analista, docente presso la Rutgers University, sono proprio questi tratti schizoidi ad alimentare la genialità creativa, nella misura in cui consentono al soggetto in questione di emanciparsi dalle convenzioni sociali ed esprimere la propria innovativa, spesso rivoluzionaria, prospettiva sulla realtà. L’unicità che alberga in una personalità non perfettamente allineata alle norme e convenzioni sociali sarebbe dunque la cifra di quell’originalità creativa che definisce la genialità.
Il disturbo bipolare, o maniaco depressivo, è un disturbo contraddistinto da pericolose alterazioni dell’umore: il soggetto che ne soffre oscilla costantemente tra periodi di grande entusiasmo ed estrema energia, definiti maniacali o ipomaniacali, e periodi di cupa infelicità a carattere depressivo. A dispetto del luogo comune i mutamenti nell’umore non sono frequenti né repentini, sia la fase maniacale che quella depressiva possono prolungarsi per settimane lasciando il soggetto in balia del proprio umore alterato. Data l’estrema energia creativa che accompagna la fase maniacale del disturbo, e che si traduce spesso in una necessità impellente di convertire in creazione artistica il marasma di immagini, parole e stimoli che contraddistinguono questo stadio del bipolarismo, sono numerosi gli artisti che rifiutano le cure, o che comunque le accettano con riluttanza poiché portati ad associare il proprio estro creativo al disturbo stesso. La poetessa Alda Merini che soffrì in prima persona di disturbo bipolare, come peraltro numerosi dei suoi colleghi da Hemingway a Virginia Woolf, definì la follia come una maggiore acutezza dei sensi. In linea con questa dichiarazione appaiono dei versi del brano Yikes nei quali il rapper statunitense Kanye West, vittima della medesima patologia, rapporta il bipolarismo ad un superpotere, superpotere del quale si alimenta il genio creativo che gli garantisce lo statuto di “supereroe”.
Viene a questo punto spontaneo domandarsi se questi artisti abbiano effettive ragioni di ritenere la propria creatività direttamente correlata alla fase maniacale del disturbo bipolare o se sia un falso mito del quale liberarsi al più presto affinché questi soggetti possano affidarsi al più presto alle cure di cui necessitano. Volendo esplorare la prospettiva neurobiologica ciò che sappiamo è che la creatività si fonda sul neuromediatore dopamina, collocato nella zona meso-limbica del cervello umano anche definita “circuito della gratificazione”. La dopamina infatti è responsabile della creazione degli stati d’animo positivi, ma al qual tempo genera anche tutto ciò che concerne la maniacalità, che come già sottolineato numerose volte costituisce la fase particolarmente energica e sovraeccitata del disturbo bipolare. Le persone durante la fase maniacale sono dunque più creative? Da una certa prospettiva, sì: durante questa fase il soggetto versa infatti in uno stato di costante euforia, si nutre di stimoli positivi, è iperattivo e i pensieri si affollano ed accavallano nella sua mente senza sosta. Tuttavia è bene sottolineare l’estrema delicatezza di questa patologia, che resta pericolosa a dispetto della tendenza più o meno diffusa nei soggetti malati a vedervi un’opportunità, se non addirittura un vantaggio. A dispetto delle fasi maniacali infatti, che presentano a loro volta delle insidie, i soggetti bipolari sono periodicamente colpiti da cupe fasi depressive nelle quali si sentono sopraffatti dalla vacuità dell’esistenza. Periodi che, se non curati e trattati farmacologicamente, possono anche condurre al tragico risvolto del suicidio. Un ulteriore approfondimento delle relazioni tra creatività e disturbi psichici, sempre ad opera del sopraccitato studio svedese, ci rivela peraltro che se le arti figurative sono alimentate dallo stato d’animo euforico e dall’energia creativa che contraddistinguono la fase maniacale, la scrittura sembra invece proliferare durante gli episodi depressivi. La connessione tra produzione letteraria e nuclei depressivi, d’altra parte, è cosa ben nota in letteratura, tanto che sono numerose le prospettive che guardano alla creazione letteraria come ad una ri-creazione di uno stato d’equilibrio perduto, un espediente per colmare problematiche dell’esistenza in una realtà fittizia in cui l’io ferito si riorganizza.
Alla luce dei dati raccolti saremmo portati a credere che la “follia”, intesta come insieme di patologie psichiatriche delle quali il disturbo bipolare è solo uno dei numerosi esempi, giochi un ruolo fondamentale nel processo creativo che conduce alla produzione della grande arte. In verità, come già accennato in apertura, le opinioni in merito sono ancora piuttosto discordanti, tant’è che lo stesso Freud -nel citare il nutrito gruppo di celebri personaggi affetti da psicopatologie- si guardava bene dall’associare con certezza tali patologie alla genialità dei personaggi in questione, sottolinenando in ultima analisi come decine di geni si potessero facilmente rintracciare anche tra fila delle così dette persone “normali”. La follia non è dunque presupposto indispensabile alla genialità, per quanto in diverse occasioni possa esserne stata nutrimento o ispirazione, e un io solido è comunque necessario affinché la produzione artistica possa essere comprensibile al grande pubblico e non scivoli nell’indecifrabile. È tuttavia un’esperienza molto affascinante il lasciarsi trasportare dalla produzione artistica dei così detti “geni folli”, e calarsi in una realtà alternativa preclusa agli occhi di noi spettatori comuni, che ci porta inevitabilmente a interrogarci sulla reale natura della follia. Costoro, dominati da una psiche alterata e stigmatizzati come folli dal proprio tempo, hanno realmente le visioni oppure sono dei visionari? Come in molti ambiti della vita, e nell’arte in particolare, ai posteri l’ardua sentenza.
2 commenti:
Articolo interessante, stimolante, sorprendente e istruttivo!
Il caso di Kanye West dimostra come queste persone devono essere aiutate, anche se in molti casi il loro disturbo contribuisce alla loro produzione artistica
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