21 febbraio 2023

Chi comanda a Hollywood?


Al termine del processo Manny uscì dall’aula del tribunale piuttosto perplesso fissando con sguardo smarrito la moglie. Poi in cerca di un conforto chiese all’avvocato quando avrebbe potuto rivederla, ma l’avvocato con voce decisa gli rispose che ciò sarebbe avvenuto solo in carcere.
Questa è una scena del film Il ladro di Alfred Hitchcock, dove il protagonista veniva accusato di una serie di furti a causa di uno scambio di persona. Manny così finisce in prigione ingiustamente in attesa che la faccenda giunga a chiarimento. Stiamo parlando di una pellicola del 1956 che mostra tutti i connotati dei film retrò: oltre al bianco e nero si evince il modo di vestire del protagonista in giacca, cravatta e cappello. E persino l’atteggiamento dei detenuti è dignitoso, privo della spavalderia dei film d’oggi. Quanto è cambiata la società e il linguaggio cinematografico in neanche trent’anni! Guardando infatti questi film sorge inevitabilmente una cupa nostalgia per una società che faceva del garbo e dell’eleganza il tratto distintivo di ogni famiglia e individuo. I film di allora non ostentavano la violenza, la sessualità, la bestemmia, ma anzi apportavano un messaggio morale fortemente positivo. Così viene spontaneo chiedersi, come si è potuti passare da un cinema e una televisione composta e sempliciotta, a un involgarimento e una pochezza di contenuti così vistosa? Questa domanda se la posero già negli anni Ottanta due studiosi americani che approfondendo la questione giunsero a delle conclusioni interessanti.    

Woody Allen in una delle sue argute battute ha affermato: “È assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla televisione.” Le due cose vanno in effetti distinte perché il cinema andrebbe considerato come una forma d’arte, mentre la televisione è indubbiamente puro intrattenimento e informazione. Ma si sa che il cinema americano rispetto a quello europeo ha sempre avuto una propensione maggiore al business piuttosto che alla veste di “settima arte”. Tornando quindi al cinema, Terry Christensen autore di Reel politics afferma come la presenza di tematiche critiche nei confronti della società americana, che emergeva soprattutto nelle produzioni degli anni Sessanta e Settanta, siano semplicemente scomparse durante la presidenza Reagan (1981-1989). Vi ricordate ad esempio film come Indovina chi viene a cena? Si tratta di un film del 1967 in cui si affrontava la tematica dei pregiudizi della società multirazziale. Oppure il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick sul rischio atomico del 1964. Film di valore e di indubbio contenuto.

Negli anni Ottanta il cinema è già diventato un’altra cosa, si affaccia la tematica del patriottismo in film come Rambo (1982), inoltre il ruolo dei ricchi e della ricchezza cambia totalmente. Se in precedenza essa veniva vista come un privilegio, a un certo punto diventa un aspetto importante e persino un’esaltazione. Ne Il Padrino del 1972 si esaltava l’arricchimento in stile mafioso e la vita di personaggi corrotti e spavaldi la fanno sempre più da padrone. I film acquisiscono un incremento della violenza, esaltando l’uso delle armi e tutti i caratteri tipici dei film di oggi. Inoltre emerge una tendenza indiretta di attacco alle norme tradizionali della società, alle convenzioni religiose e a tutto ciò che impedisce ogni prospettiva di emancipazione. Le vecchie convenzioni quindi vengono descritte come superate e repressive, e Hollywood (e la TV) sembrano aver istituzionalizzato tale caratteristica.

Per comprendere meglio le ragioni di tale mutamento è utile prendere a riferimento la ricerca di Rothman e Lichter pubblicata nel 1986 che prende in esame proprio l’industria cinematografica di Hollywood. Da ciò emerge che:

  • il 99% dei creatori di programmi e film erano bianchi (contro l’84% della popolazione degli USA) 
  • il 98% erano di sesso maschile (contro il 49% della popolazione)
  • il 63% guadagnava oltre 200.000 dollari l’anno e il 25% sopra i 500.000 dollari l’anno (il reddito medio di un americano era di circa 24.000 dollari l’anno)
  • il 7% degli intervistati frequentava regolarmente un Chiesa (contro il 47% della popolazione)
  • il 97% era favorevole all’aborto (contro il 59% della popolazione)
  • il 20% pensava che l’omosessualità fosse una cosa negativa (contro il 76% della popolazione)
  • il 49% pensava che l’adulterio fosse un male (contro l’85% della popolazione)

Questi dati seppur non recenti fanno comprendere come coloro che indirizzavano i media americani fossero sostanzialmente un’élite liberal-progressista con idee polarizzate. La persistenza di queste idee ha inevitabilmente modificato i gusti del pubblico. E a tutt’oggi Hollywood sembra ricalcare questa impronta nel cinema e nei programmi televisivi.

Nel nostro paese il cinema è molto diverso rispetto a quello americano ed è difficile darne una connotazione precisa. Ben diverso è il discorso legato ai media che, soprattutto negli ultimi tempi, mostrano anch’essi un’impronta liberal-progressista. La sensazione che produttori e registi mainstream siano incasellati in questo modo di pensare è divenuta palese negli ultimi anni passando attraverso le diverse tematiche di tendenza. Come accaduto durante il periodo della pandemia e oggi con la guerra in Ucraina, i media hanno un’unico schieramento, anche se ciò che affermano è un punto di vista di minoranza, come per l’invio di armi all’Ucraina. Ma la cosa più allarmante, che apre un capitolo diverso, è rappresentato da fatto che coloro che pubblicamente si allontanano da questa direzione divengono oggetto di riprovazione se non di denigrazione. 

L’importanza dello studio su accennato evidenzia come sia una élite a stabilire quali argomenti andranno trattati, quali enfatizzati e quali esclusi. Un’élite non di persone comuni, con i problemi di tutti i giorni, ma benestanti appartenenti a una minoranza che non rappresenta propriamente i gusti della gente. Così, forse è per questa ragione per cui le rivendicazioni delle classi disagiate e i valori tradizionali sono spariti dagli argomenti principali, sostituiti dalle lotte delle comunità gay e trangender, dal femminismo e dal perenne rischio fascismo. Tutte questioni legittime, ma che soverchiano molte altre tematiche cogenti.

Davide Mauro

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