28 febbraio 2023

I Black Code, Heavy Metal Band

I Black Code Heavy Metal Band sono una band di Oristano. Come si può ben capire dal nome, non vanno per il sottile. Il 20 maggio 2022 è uscito il loro omonimo album, Black Code, edito da Wanikiya Record. Chi scrive l’ha scoperto soltanto adesso, e con piacere. Infatti la band, che è alla prima pubblicazione di un lavoro così organico, è già abbastanza matura: buona l’intesa tra i vari membri del gruppo, e discreta musica. Il rock cui si ispira è quello degli anni ’70 e ’80: Iron Maiden, Judas Priest, Black Sabbath e forse anche un po’ di Anthrax. L’album, che si trova su Spotify e in CD, consta di nove brani. Immortals, che apre la raccolta, è senza dubbio uno dei più incisivi e rappresentativi della band. 

L’alternanza tra la voce di Marco Ricci e la chitarra del virtuoso Claudio Carta, che si completano a vicenda (sembra che la voce suoni e la chitarra canti), fornisce al brano un ritmo incalzante. Un’atmosfera Iron Maiden, molto viva e combattuta. 

Ricci però raggiunge il meglio nella seconda canzone, Under Attack: sempre graffiante, sempre al limite, senza mai superarlo. E che dire di Giorgio Flo, il batterista? Il suo contributo a questo e agli altri brani è determinante. Parlando di musica, bisognerebbe iniziare ad utilizzare di più il termine umiltà: c’è il vizio, a volte, di impelagarsi in virtuosismi senza alcun senso, che cercano di mettere in luce il singolo rispetto al gruppo. Ebbene, Flo è un batterista umile, e sa farsi notare in positivo fornendo ai Black Code un sicuro supporto ritmico e – perché no? – anche espressivo. Infatti il suo connubio con la chitarra è molto efficace. Allo stesso modo di Flo, Maurizio Mura, che come ogni bassista ha il compito non facile di far cantare il proprio strumento in mezzo ad altri più potenti, fa il suo dovere senza limitare il basso, e anzi fornendogli un tocco interessante. Tornando alle canzoni, degne di nota sono Lovemanimal, Lord of Cemetery e The Wrath of God, cui il gruppo dà non solo spunti energici, ma anche più riflessivi.  

Non si capisce però, perché inserirvi anche Agony, unica pecca dell’album. Più che canzone dovrebbe essere infatti definita intermezzo, vista la brevità: lo spunto fornito in quei quaranta secondi di musica è notevole, e se sviluppato bene avrebbe potuto portare a un brano altrettanto intenso. Peccato. 

A parte questo, il giudizio su Black Code dell’omonima band è molto positivo. Nonostante sia già maturo, ci sono molte potenzialità ancora inespresse che il gruppo può e deve sfruttare. È infatti nelle loro corde fornire a nuovi brani una ancora maggiore espressività e piglio che, ricordiamo, non viene dato soltanto dalla velocità ma anche da una ricerca timbrica estesa a tutti gli strumenti. Non resta che complimentarsi con i Black Code, sperando continuino a suonare come e meglio di ora, con la loro energia ed espressività. 

Il sound engineer di questo disco è Ignazio Marcia. L’assistant sound engineer è Paolo Carta. 

Riccardo Rosas

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