Quentin Tarantino è il regista che negli ultimi trent’anni ha avuto forse il maggior successo. Diversi suoi film sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo e, soprattutto a partire da Pulp Fiction, hanno inaugurato un nuovo modo di intendere il cinema. Con Tarantino infatti nasce in maniera definitiva il film slegato da fonti esterne, in cui fa da padrone la brillantezza della trama in sé, i dialoghi e gli omaggi ad altre pellicole d’autore. È metacinema, è linguaggio indipendente da fonti narrativo-letterarie.
Ciò vale anche per Tarantino, che nella sua carriera ha utilizzato l’arte dei suoni in maniera molto innovativa: è proprio con lui che si può parlare di musica straniante. Innanzitutto, è opportuno chiarire il fatto che, nonostante si sia avvalso di importanti compositori, in primis Morricone, il regista del Tennessee nei suoi film abbia inserito serie di brani, non collegati tra loro, già famosi perché scritti per altre produzioni cinematografiche o perché pezzi cult. Si pensi al celeberrimo episodio del ballo tra John Travolta e Uma Thurman in Pulp Fiction: la canzone su cui danzano è You never can tell di Chuck Berry, del '64;
in una della scene iniziali di Kill Bill (volume 1), c’è Elle Driver che fischietta una melodia scritta da Bernard Herrmann per Twisted nerve, un thriller uscito nel 1968.
La filmografia tarantiniana è piena di esempi simili, che mirano a suscitare nel pubblico dei richiami cinematografici molto precisi, che fanno parte sia del suo immaginario sia dell’immaginario del regista. Notare, in un film, riferimenti ad altre pellicole non crea nello spettatore acuto il classico immergersi nella narrazione, ma un “risveglio” della sua coscienza. In definitiva, genera uno straniamento in quanto gli stimoli che raggiungono il pubblico non sono presenti soltanto nelle proiezioni che stanno vedendo, ma che hanno già visto.
D’altro canto, la tecnica straniante usata in misura maggiore da Tarantino riguarda la musica applicata fuori-contesto. Già ne Le Iene, il suo primo film, si assistono a simili episodi: quando Mr Blonde tortura il poliziotto tagliandogli l’orecchio, alla radio che ha acceso in precedenza trasmettono Stuck in the middle with you (1973), dei Stealers Wheel. A prescindere dal testo, che nel film, vista la situazione, suona molto ironico, la musica è molto calma, quasi da “figli dei fiori”. Si provi ad immaginare la stessa musica, lo stesso contesto, stavolta in un horror: la canzone degli Stealers funzionerebbe?
In Kill Bill volume 1, durante il truce duello tra la Sposa e O-Ren Ishii, Tarantino ha inserito Don’t Let Me Be Misunderstood (1978) dei Santa Esmeralda. Più che parlare di straniamento, in questo caso sarebbe più opportuno parlare di sublimazione del contenuto. I due film di Kill Bill sono sotto certi aspetti i più assurdi di Tarantino, che porta all’apice le violenze catartiche e ironiche. La scena del duello arriva dopo tanti momenti assurdamente brutali, e perde un po’ l’effetto stordente. Diventa sublime nel momento in cui si considerano tutte le dinamiche in gioco: è la rivincita della Sposa nei confronti di una delle sue vessatrici e il regista, attraverso un brano energico e movimentato, vuole esprimere il gusto per una vendetta giusta, ma soprattutto il piacere di un duello leggendario di per sé. È esaltazione pura delle capacità linguistiche del cinema, mediate anche dalla musica.
A partire da Bastardi senza gloria, gli esempi di straniamento musicale si riducono, forse anche a causa della illustre partecipazione di Ennio Morricone, ma non scompaiono del tutto. Proprio nel film che valse un Oscar a Christoph Waltz il pubblico assiste alla preparazione di Shosanna per il massacro dei nazisti, che avviene sotto le note di Cat People (Putting Out Fire) di David Bowie, scritta nel 1982 per un altro film, Il bacio della pantera.
In tutti i brani non originali dei pellicole analizzate è palese l’impronta personale ed autobiografica del regista americano. Molte canzoni infatti sono state prodotte negli anni ’60 e ’70, durante l’infanzia e l’adolescenza di Tarantino, che sembra quasi voler rievocare quei periodi e soprattutto il loro spirito. C’era una volta a… Hollywood (2019), che copre un arco di tempo di circa dieci anni, dalla fine degli anni Cinquanta al 1969, diventa quindi l’occasione perfetta per inserire tali musiche, stavolta coerenti con il periodo storico; viene però ad annullarsi il potere straniante che aveva contraddistinto altri film.
Studiare le colonne sonore tarantiniane, finora forse troppo sottovalutate, può essere per la critica una nuova occasione per scoprire ulteriori meccanismi utilizzati dal regista di Pulp Fiction. Di certo, Tarantino è riuscito a “piegare” anche la musica alla sua volontà di divertire e stupire il pubblico. Pubblico ormai abituato, sebbene non sazio, agli stimoli offerti dal suo cinema.
L'articolo è esauriente e documentato, tuttavia tralascia l'argomento musica originale dei film, sulla quale il regista ha lavorato insieme a compositori (spesso della scena hip hop) alla maniera di un'opera d'arte totale.
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