Parlando di musica classica, i compositori più noti al grande pubblico sono senza dubbio Mozart e Beethoven. Tutti hanno ascoltato almeno una volta l’Inno alla Gioia o la Marcia alla turca. Pochi conoscono però il precursore di questi due grandi musicisti, Franz Joseph Haydn (1732-1809). La sua importanza nella storia della musica è capitale: ha infatti definito modelli compositivi con cui gli autori successivi si sono dovuti confrontare. Pare strambo quindi che sia quasi del tutto ignoto all’immaginario collettivo, perlomeno italiano. Molto forse ha influito la biografia dell’artista, priva degli eccessi di Mozart e del dolore di Beethoven. La sua vita è stata infatti ricca di allegria.
Haydn è considerato, assieme a Mozart e Beethoven, il maggiore esponente del Classicismo viennese, sviluppatosi tra il 1770 e il 1820. Senza entrare nel dettaglio, tale periodo ha portato alla nascita di innovazioni quale la forma-sonata (particolare struttura compositivo-narrativa estranea a fonti extramusicali) e a due generi ancora oggi eseguiti: i quartetti e le sinfonie. Sebbene fossero almeno da un secolo già in embrione, Haydn è stato il primo a standardizzare, secondo schemi ben precisi, questi tipi di brani. In particolare è considerato il maestro della sinfonia. Tale termine, che in origine indicava la consonanza dei suoni, opposta alla loro dissonanza, nel Cinquecento passa ad indicare un componimento vocale sorretto da un accompagnamento strumentale. Soltanto due secoli dopo avrebbe assunto il significato attuale, ovvero di composizione che coinvolge tutti gli strumenti dell’orchestra. Divisa dapprima in tre movimenti, poi diventati quattro (Allegro, Tema con variazioni, Minuetto e Trio, Rondò), la sinfonia è stato il genere d’elezione per moltissimi musicisti: Mozart ne compose quarantuno, Beethoven nove, Mahler dieci e così via. Haydn ne scrisse più di cento. Già dal punto di vista quantitativo appare chiaro quanto il vecchio Kapellmeister abbia contribuito alla celebrità del genere. Nessuno dopo di lui ha composto così tante sinfonie.
Nonostante risentano ancora di qualche tratto barocco, le sinfonie haydniane sono inconfondibili. La caratteristica che le accomuna tutte è un’energia espressiva, data soprattutto dagli staccati degli archi e dall’interazione dei fiati. Molte sinfonie hanno carattere descrittivo. La sinfonia n. 6, detta Le Matin, composta nel 1761, nell’Adagio iniziale dovrebbe ricordare il sorgere dell’alba. Il successivo Allegro parte con l’intervento in piano del flauto, seguito da quello dell’oboe, mentre gli archi ribattono le stesse note, creando un volume sonoro che cresce e diventa più vivace con lo scorrere del tempo. Tutto il movimento gioca sul contrasto tra momenti energici e altri calmi ma comunque privi di lotte, a differenza delle sinfonie di Beethoven. I vari strumenti riprendono spesso la medesima melodia.
L’ultimo movimento della sinfonia n. 8 Le Soir, sempre del 1761, cerca di imitare lo scoppio di una tempesta. L’ascoltatore odierno può rimanere un po’ spiazzato davanti a questo brano, perché lo sviluppo della bufera non è caotico né tragico, come invece ci si potrebbe aspettare. Rispetto alla sensibilità contemporanea suona molto schematico e tranquillo. Inizia il movimento l’intervento del primo violino, che non suona una melodia bensì una sorta di tremolo, volto a dare la sensazione di instabilità e incipienza della tempesta. Le stesse note vengono ribadite dai secondi violini; nel frattempo, con note brevi si aggiungono anche i fiati. Infine interviene il flauto con un piccolo inciso melodico che non si sviluppa in un vero e proprio canto ma viene ripreso e “rielaborato” per il resto del brano da tutti gli altri strumenti.
Tra l’altro, tale capacità, tipica di Haydn, di sviluppare un’intera composizione da un embrione di melodia trovò un allievo appassionato in Beethoven. Un esempio lampante è dato dal celeberrimo incipit della Quinta Sinfonia, che sarà sviluppato per tutta la sua durata. A titolo esemplificativo ecco il primo movimento del brano. L’inciso iniziale viene ripetuto, sebbene variato, fino alla conclusione.
La Sinfonia degli addii è la sinfonia più conosciuta di Haydn. Ha una storia molto particolare. Nel 1772, il principe Nikolaus Esterhazy decide di prolungare il soggiorno nella sua residenza estiva, Ezterhaza. Ciò provoca il malcontento dei musicisti, che hanno le famiglie nel palazzo principale ad Eisenstadt. Se ne lamentano allora con il loro Kapellmeister. Il quale componendo questa sinfonia decide di inserire come ultimo movimento un insolito Adagio, in cui secondo la partitura è previsto che i musicisti, ad uno ad uno, abbandonino la scena. Rimangono infine soltanto due violini. Era un modo per dire agli Esterhazy che i membri dell’orchestra volevano tornare dai loro cari. Insomma, una protesta sindacale ante litteram. Si narra che il principe, avendo subito capito il messaggio dei dipendenti, divertito avesse subito ordinato il rientro ad Eisenstadt. La simpatica scena dell’Adagio viene ogni volta replicata anche nelle odierne esecuzioni.
Nota come Il miracolo è la sinfonia n. 96, composta a Londra nel 1791. Pare che, nel 1794, durante l’esecuzione di un’altra sinfonia, la n. 102, alla fine del concerto il pubblico si fosse diretto in massa verso l’orchestra, acclamando Haydn. In quel momento cadde l’enorme lampadario della sala, per fortuna non facendo vittime perché la platea era appunto vuota. Non si sa ancora bene il motivo, ma da allora la sinfonia n. 96 cominciò ad essere chiamata Il miracolo, in riferimento a quanto avvenuto per la n. 102. Il primo movimento, un Adagio-Allegro, contiene diversi tempi di fanfara, molto amati dagli inglesi. Il ritmo incalzante la rende una delle più riuscite e dinamiche sinfonie di Haydn. Sempre nel primo movimento, sul finale c’è un cupo guizzo in re minore, subito annullato dal rientro del brano nella tonalità di re maggiore.
Appare chiaro come non si possa parlare di Mozart e Beethoven senza conoscere Haydn. Tale maestro però meriterebbe comunque maggiore pubblicità presso il grande pubblico a prescindere dalle sue influenze sui compositori successivi. La sua musica infatti riesce ancora a parlare per via dell’insito ottimismo e il carisma dialettico. Haydn fa danzare i suoni, in armonia con lo spettatore e la natura.
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