Il mondo dell’arte contemporanea vive di sfaccettature mutevoli e di nomi che cercano la propria affermazione con stili alternativi e, talvolta, dissacranti. Non sempre apprezzati, o, talvolta, estremamente osannati, gli artisti della neo-contemporaneità vogliono, con una sempre più pressante volontà, approcciarsi al mondo odierno, alle tematiche sociali e prestarsi come mezzo sussidiario affinché tematiche di forte pregnanza socio-culturale assumano risonanza e rilevanza. È quello che nel non troppo lontano 2002 ha iniziato a fare Banksy e che, sotto la sua influenza, hanno deciso di fare molti altri artisti, anonimi e non. Questo è proprio il caso di Laika.
L’artista ha scelto nel corso nei propri interventi di interpretare la realtà coeva, fornendo un personale punto di vista su personalità quali Matteo Salvini, Fidel Castro, Greta Thunberg, Silvio Berlusconi, Patrick Zaki. La sua indole ai limiti dell’oscuro e dell’inquietante, con parrucca rossa, voce alterata e maschera bianca, ha attirato l’attenzione dei media nazionali ed internazionali, scrivendo una nuova pagina della storia della street art. Molti la definiscono controversa, pericolosa e dedita agli atti vandali. Tutti echi già sentiti e riconosciuti nell’arte graffiante di Banksy.
Tra le citazioni delle sue opere d’arte urbana non può mancare quella, in chiave di aperta denuncia e di profonda riflessione, che vede protagonisti Giulio Regeni e Patrick Zaki stretti in un abbraccio colmo di pathos e dolore. In chiave più estemporanea e satirica è l’«Estate Italiana», titolo attribuito ad un poster esposto su un muro di Roma che vede La Russa cestinare una scarpetta rossa, simbolo delle rivendicazioni e proteste reiterate degli anni dall’emisfero femminile contro i tanti soprusi e maltrattamenti, con a fianco la ministra Santanchè prendere il sole con chiara indifferenza. Le opere graffianti e riflessive di Laika sono destinate a segnare un panorama multiforme della storia dell’arte, pronto a rivolgere le proprie attenzioni al perfetto connubio che può, e deve, porsi tra arte e società, arte e denuncia sociale, divenendo così non un mezzo politico, ma un microfono che dà voce anche ai reietti, a chi, benché sia marginale, voglia far sentire la propria voce e il proprio grido di aiuto.
Marika Inzerillo
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