Quel malessere era tornato. Un malessere durante il quale guardando l’altare gli era capitato di provare la dannazione dei metafisici, l’inferno di quelli senza Dio. Quando lo prendeva non riusciva a pregare, le preghiere gli sembravano una cosa falsa, priva di significato. Poi cominciava a tremare. Gli pareva che quella paura e quel tremolio fossero una specie di purgatorio, come un anticipo dell’inferno reale che sarebbe arrivato, l’inferno in cui non avrebbe provato nessun sentimento, il nulla, il vuoto.
La vicenda è ambientata nell’isola di Muck, una sperduta località a largo della costa irlandese, un luogo sospeso nel tempo, isolato dal mondo, sferzato da piogge improvvise e venti impetuosi. In questa terra dimenticata da Dio, una piccola congregazione di monaci continua a professare l’antico rito tridentino in opposizione alle nuove direttive introdotte dal Concilio Vaticano II (via la messa in latino, abolizione delle confessioni pubbliche, apertura verso un graduale sincretismo religioso).
Per evitare lo scandalo, la Santa Sede decide d’inviare sul posto un proprio delegato, padre James Kinsella, un giovane sacerdote imbevuto di retorica rivoluzionaria il cui compito sarà convincere l’abate di Muck ad adeguarsi al processo di secolarizzazione e scongiurare il rischio di una controrivoluzione in seno alla comunità cattolica.
Fin dal momento del suo arrivo sull’isola però, Padre Kinsella si accorge che la missione affidatagli è tutt’altro che semplice: l’abate è un uomo astuto, decisamente pragmatico, più simile al dirigente di un’azienda che al capo di una pia conventicola di religiosi. La sua resistenza non ha motivi teologici ma pratici e risponde ad un preciso senso di responsabilità nei confronti della sua gente.
Quando la nuova messa è arrivata qui da noi, ci abbiamo provato, abbiamo fatto quello che ci fu detto di fare, solo che gli uomini portavano le famiglie a Cahirciveen, ma restavano fuori della Chiesa, fumando e chiacchierando… Pensavo fosse un brutto segno. Dissi a me stesso: forse la gente di qui è diversa, forse non accetta questo cambiamento. Non sono un santo, ma proprio perché non lo sono ho capito che era mio dovere non turbare la fede che ha questa gente. È così sono tornato al vecchio rito.
Prendendo le mosse da questo rifiuto, Moore espande il piano di osservazione catturando con occhio clinico il conflitto tra due opposti modi d’intendere la missione evangelica. Emblematico, a tal proposito, è il diverso significato che la funzione liturgica assume agli occhi dei due grandi poli narrativi del romanzo: se per Padre Kinsella la Messa è un fatto puramente simbolico, momento comunitario nel quale celebrare il Dio-negli-altri, per i monaci di Muck essa rappresenta, al contrario
il miracolo per il quale Gesù Cristo viene di nuovo tra noi, il corpo e il sangue sottoforma del pane e del vino, là, sull’altare.
La frattura appare insanabile e toccherà all’abate tentare di ricomporla attraverso un atto di sottomissione che è tanto più paradossale quanto più privo di un reale senso di appartenenza religiosa. Figura di enorme fascino e complessità, raccordo dialettico tra due mondi impossibili da conciliare, l’abate si muove su un piano ontologico completamente diverso da quello degli altri personaggi: lui è il cercatore inquieto, la pecorella smarrita, colui che, escludendo l’immanenza della realtà divina, non riesce a vedere nient’altro che la pura materialità dei fatti. In un simile condizione, anche la preghiera diventa fonte di angoscia perché implica la possibilità di un’assenza, l’affaccio su un vuoto che ci restituisce come in uno specchio la forma più autenticamente vera di una paura che accompagna l’uomo fin dalla notte dei tempi, quella del silenzio di Dio.
Scritto nel 1972, a dieci anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, Cattolici pone al centro della scena una domanda che risuona profetica per la sua disarmante attualità: cosa succede se una religione muta al mutare dei tempi? Se tradisce la sua vocazione adattandosi alle esigenze del momento? Se una Chiesa, qualunque Chiesa, smette di parlare a Dio e comincia a rivolgersi agli uomini?
Per Moore la risposta è chiara: se il Credo è il luogo delle verità rivelate, esso non può ridursi ad un banale accordo tra parti contraenti. È infatti proprio nell’autorità del dogma, nella sacralità del rito, nell’accettazione del Mistero in tutta la sua inaccessibile profondità, che la dimensione spirituale dell’uomo può trovare compimento. Rinunciare questo, secondo Moore, significherebbe rinunciare all’idea stessa di fede, perché la fede non è solo un dono, ma anche uno sforzo, tensione dell’anima verso ciò che, mirando all’assoluto, si sottrae ad ogni logica di compromesso: «Con la fedeltà si guadagna la fede», avrebbe detto Thoreau, un principio che l’abate di Muck pare quasi incarnare nelle battute finali del libro con un gesto la cui forza evocatrice ha davvero pochi eguali nella letteratura contemporanea.
A metà tra pamphlet polemico, saggio teologico e una specie di whodunit alla Ellis Peters, Cattolici è un romanzo dalla struttura polifonica, difficilmente incasellabile all’interno di un genere specifico. Con una prosa ricca di battute fulminanti, priva d’imbellettature stilistiche, Brian Moore immagina una Chiesa che abdica alla sua missione pastorale in nome di un facile proselitismo, una Chiesa che nella schizofrenica ricerca di consenso stravolge continuamente la propria natura, facendo della «ortodossia di ieri l’eresia di oggi». Ma Cattolici è molto di più di questo: è soprattutto un’apologia del dubbio, un dialogo sul senso delle cose immutabili e sull’importanza della resa come viatico imprescindibile verso la ricerca di sé.
Perché spesso le risposte che cerchiamo arrivano quando abbiamo il coraggio di entrare nel vuoto che abitiamo; quando smettiamo di pensare e incominciamo a sentire.
E perché a volte per ottenere un risultato occorre scommettere la nostra vita su cose così, cose di cui nulla sappiamo.
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