DMT, Molecola dello spirito, Freebase, Businessman’s trip, Dimitri, Fantasia Stradale… Sono molti e spesso assai creativi i nomi della Dimetiltriptamina (o per i feticisti della nomenclatura IUPAC 2, (1H-indol-3-il)-N,N-dimetiletanammina), alcaloide endogeno ad azione psicotropa strutturalmente simile al neurotrasmettitore serotonina e all’ormone melatonina, che ha recentemente catturato l’interesse della comunità scientifica per le sue potenziali implicazioni nel trattamento dei disturbi psichiatrici e delle malattie neurodegenerative.
La DMT ha una storia affascinante, le cui radici affondano nella notte dei tempi: nel 2010, un team di ricerca capitanato da
José Capriles antropologo della Penn State University, ha pubblicato un articolo relativo alla scoperta di una sacca in pelle di animale databile a circa 1000 anni fa rinvenuta nell’altipiano di Lìvaz, in Bolivia. Tale reperto, composto da tre musi di volpe cuciti insieme, era parte di un più ampio corredo contenente al suo interno tracce di DMT, cocaina, armina e bufotenina. Secondo l’autore, la presenza di queste sostanze costituirebbe la prima prova archeologicamente documentabile relativa al consumo di enteogeni a scopo ritualistico.
Un’altra testimonianza relativa al consumo di DMT – anche questa piuttosto antica – risale alla fine del ‘500. Durante la seconda spedizione nelle Americhe, infatti, un frate missionario alle dipendenze di Colombo osservò che durante i loro rituali, gli sciamani Taino dell’isola Hispaniola erano soliti inalare una potente polvere da loro chiamata kohhobba, "così forte che chi la assumeva perdeva coscienza". La scoperta della DMT come prodotto di sintesi si deve invece al chimico tedesco
Richard H.F. Manske, che nel 1931 riuscì a produrre in laboratorio DMT e suoi derivati purificandoli da molecole di calicantina, un alcaloide tossico che agisce sul sistema nervoso centrale provocando convulsioni, paralisi e arresto cardiocircolatorio. Manske si limitò ad analizzare la struttura chimica del DMT senza indagarne le potenziali implicazioni cliniche e bisognerà aspettare oltre un quarto di secolo prima che Stephen Szára, allora a capo del settore biomedico nel settore di ricerca del National Institute of Drug Abuse, ne specificasse i suoi effetti sulla psiche umana. Con gli anni, la DMT si fece rapidamente largo nel mercato nero come sostanza ricreativa e droga d’abuso, riscuotendo un certo successo nei circoli undergound e tra i rappresentanti del movimento psichedelico:
Timothy Leary,
Ralph Metzner e
Richard Alpert riportarono le loro esperienze psichedeliche indotte dalla DMT in numerose pubblicazioni, e lo stesso
William Burroughs, esponente della
beat generation e da sempre in prima linea nella sperimentazione di nuove droghe, ammise di aver fatto uso di DMT durante un suo viaggio in Perù:
Come ho detto, è come nient'altro. Questo non è l'effetto chimico della C (ndr. cocaina), la stasi asessuata, orribilmente sana, della spazzatura, l’incubo vegetale del peyote, o la stupidità umoristica dell’erba. Questo è uno stupro istantaneo e travolgente dei sensi.
In seguito, la DMT fu posta sotto il controllo federale negli USA e messa al bando dalla Controlled Substance Act del 1971. Anche in altri paesi come la Francia, il Canada e l’Australia la DMT è classificata come sostanza proibita e quindi illegale, mentre in Brasile, Perù e Costa Rica il suo [uso] è consentito per scopi religiosi. Attualmente, In Italia, la DMT è stata inserita nella tabella I delle sostanze stupefacenti e psicotrope (sostanze con potere tossicomanigeno, oggetto di abuso e come tali non commercializzabili nelle farmacie). Per la coltivazione, l’estrazione dei principi attivi, la cessione o la detenzione non per uso personale sono previsti dai 6 ai 20 anni di reclusione.
DMT: caratteristiche generali, modalità di assunzione ed effetti
La DMT è una sostanza largamente diffusa in natura: la si ritrova in numerose varietà di piante (soprattutto graminacee e leguminose) e funghi, e nella pelle di alcuni anfibi e rospi del genere Bufo. È presente anche nell’uomo, dove viene sintetizzata nella mucosa gastrointestinale da particolari cellule neuroendocrine dette enterocromaffini, le quali svolgono un ruolo cruciale nel controllo della motilità e della secrezione intestinale. Una quota minoritaria viene poi prodotta a livello del sistema nervoso centrale dalla ghiandola pineale o epifisi, una piccola struttura a forma di pigna localizzata a livello diencefalico che ha tra gli altri compiti quello di regolare l’alternanza del ritmo sonno-veglia tramite la produzione di melatonina. Studiando il comportamento di questa ghiandola in condizioni di forte stress emotivo e durante le fasi di sonno REM, Richard Strassman, psichiatra statunitense e pioniere nel campo della psicofarmacologia, ha suggerito la possibilità che essa si attivi stimolando la secrezione di variabili quantità di DMT. Le evidenze raccolte da Strassman lascerebbero supporre che la DMT sia implicata nei circuiti mentali alla base delle produzioni immaginative tipiche degli stati onirici più profondi e di certe esperienze estatiche particolarmente intense.
Nella sua forma pura, la DMT si presenta come una polvere cristallina biancastra inodore che può essere inalata, fumata o iniettata per via intramuscolare. È possibile anche ingerirla sottoforma di preparati liquidi, ma è necessario in questo caso associarla ad un inibitore dell’enzima monoaminaossidasi (MAO) perché possa esplicare i suoi effetti. I MAO costituiscono una classe di enzimi responsabile del metabolismo di numerosi neurotrasmettitori responsabili della regolazione del tono dell’umore e la loro inibizione impedisce che la DMT venga degradata a livello periferico, permettendone un aumento della sua concentrazione a livello centrale. Questo principio è alla base del funzionamento di molti antidepressivi ed è sfruttato ancora oggi nella produzione della
ayahuasca, una potente bevanda allucinogena utilizzata a scopi iniziatici in alcune popolazioni indigene del Sud America.
Una volta somministrata, la DMT ha una cinetica d’azione estremamente rapida: inalata o iniettata, comincia ad attivarsi già dopo pochissimi secondi e i suoi effetti durano in media dai 10 ai 30 minuti, fino ad un massimo di 3 ore nelle preparazioni orali. Durante il “viaggio”, i soggetti riferiscono una fase semi-cosciente caratterizzata dalla comparsa di allucinazioni visive e uditive in cui i colori appaiono estremamente nitidi e brillanti e si avverte la presenza di un ronzio o fischio ad alte frequenze. Superata questa fase, si entra in uno stato di quiete in cui compaiono figure geometriche coloratissime simili a mandala o a frattali che si ripetono in loop. Il tempo appare rallentato e si ha una profonda alterazione della sfera interocettiva, intesa come estrema consapevolezza del modo in cui si “sente” il proprio corpo. Molto comune tra gli psiconauti è l’incontro con entità non umane e il cosiddetto fenomeno dell’ego death, uno stato d’illuminazione in cui si ha la sensazione di essere in armonia e comunicazione con l’universo (in rete sono disponibili numerose piattaforme on-line che offrono un’esperienza virtuale immersiva di un trip da DMT). Per questi motivi, Richard Strassman sostiene che la DMT fornirebbe un accesso affidabile e sicuro verso altri piani di esistenza, funzionando come una sorta di portale biochimico verso universi paralleli altrimenti non esperibili.
Con il passare del tempo gli effetti della DMT tendono a recedere: le allucinazioni perdono di nitore, i suoni si fanno meno intensi, con un primo ritorno alla fase semi-cosciente e una piena restitutio ad integrum nel giro di 15-30 di minuti.
Per quel che riguarda gli effetti avversi, la DMT è ritenuta dagli esperti una sostanza relativamente sicura, con un ottimo profilo di tollerabilità. Tra le possibili reazioni avverse si segnalano un aumento del battito cardiaco e della pressione arteriosa, nausea, vomito, tremori, cefalea, vertigini e temporanei disturbi del movimento. Non sono segnalati fenomeni di dipendenza, tuttavia alcuni autori ritengono che un’assunzione continuativa possa produrre psicosi e altre disfunzioni psichiche secondarie perlopiù ad uno scorretto utilizzo.
Un importante sviluppo del ruolo della DMT come potenziale agente terapeutico nel trattamento dei disturbi psichiatrici e delle malattie neurodegenerative ci viene offerto dallo studio delle sue interazioni recettoriali. È noto che la maggior parte degli effetti della DMT siano mediati dalla sua azione di ligando con il recettore 2A della serotonina, tuttavia recentemente è stato dimostrato come la DMT eserciti anche un importante ruolo come agonista endogeno del recettore sigma-1 (Sig1R). Secondo uno studio condotto da Szabo e colleghi, l’attivazione di questo recettore da parte di DMT determinerebbe la produzione di proteine antinfiammatorie in risposta ad ipossia e stress ossidativo, permettendo ai neuroni in coltura di resistere per più tempo al danno da deprivazione di ossigeno. Un ulteriore ruolo di Sig1R sarebbe poi quello di modulare la neurogenesi e la plasticità sinaptica attraverso la produzione del brain-derived neurotrophic factor (BDNF), svolgendo quindi un’azione protettiva in patologie caratterizzate da disturbi cognitivi e della memoria e nella rielaborazione di ricordi traumatici.
Ma le potenziali applicazioni terapeutiche della DMT non si fermano qui. Una nuova frontiera di ricerca si è occupata di analizzare le analogie esistenti tra gli effetti dovuti ad un trip di DMT con le cosiddette NDE-Near Death Experience. Le NDE possono essere definite come episodi esperienziali complessi che si verificano in associazione con la morte o con la percezione della sua imminenza. Esse includono sentimenti di pace interiore, esperienze extracorporee, visioni di una luce brillante e la comunicazione con esseri “ultraterreni”, tutti fenomeni sovrapponibili all’assunzione di DMT. In questo scenario, numerosi studi hanno evidenziato come le NDE siano associati cambiamenti positivi a lungo termine: più specificamente, i soggetti che sperimentano una NDE tendono a sviluppare nel tempo una maggiore propensione a preoccuparsi per gli altri, una riduzione dell'angoscia associata alla prospettiva di morire, un maggiore apprezzamento per la natura, un ridotto interesse per lo status sociale, nonché una maggiore autostima.
Nonostante le promettenti prospettive, allo stato attuale delle nostre conoscenze molti punti sono ancora da chiarire. Per prima cosa, nessuno studio è stato in grado di quantificare l’effettiva concentrazione di DMT nell’epifisi o nelle strutture cerebrali limitrofe. In secondo luogo, sebbene vi siano numerose corrispondenze, al momento non esiste alcuna reale evidenza in grado di correlare invariabilmente l’assunzione di DMT ad una NDE.
Per quanto sia ormai acclarata la sua natura di psicotropo endogeno, resta da stabilire quale sia con esattezza il ruolo fisiologico svolto dalla DMT. A fronte di un’ampia e documentata letteratura relativa ai suoi effetti esogeni, infatti, i meccanismi molecolari che ne regolano l’attività e produzione a livello dell’organismo umano restano ad oggi alquanto elusivi. Sotto questo profilo, soltanto una ricerca guidata da ipotesi e suffragata da fatti determinerà quanta parte della narrazione intorno alla DMT è reale e quanta, al contrario, è da ascrivere al mito.
L’ultima parola, ancora una volta, alla scienza.
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