Di Pier Paolo Pasolini si è detto e scritto tanto. Figura tanto emblematica quanto controversa all’interno del panorama culturale italiano, Pasolini si è distinto per la sua personalità complessa, le sue idee e anche per le sue vicende private. Scrittore, poeta e regista, ma non solo. C’è, infatti, un aspetto della sua vita forse poco conosciuto ai più, ma senza dubbio degno di essere posto sotto la lente di ingrandimento: il suo rapporto con il calcio.
Pasolini, nato a Bologna nel 1922, inizia sin da giovane ad interessarsi allo sport più seguito e popolare del Paese. Questa sua passione si manifesta attraverso il tifo, da lui definito come «una malattia giovanile che dura tutta la vita», la sua attività di ala destra e quella di cronista.
Del Bologna, Pasolini, capitano della squadra universitaria della facoltà di Lettere, dice:
Io sono tifoso del Bologna. Non tanto perché sono nato a Bologna, quanto perché a Bologna (dopo lunghi soggiorni, epici o epico-lirici, nella valle padana) sono ritornato a quattordici anni, e ho cominciato a giocare a pallone dopo aver tanto disprezzato tale gioco – io che amavo giocare solo alla guerra. I pomeriggi che ho passato a giocare sui Prati di Caprara (giocavo anche sei, sette ore di seguito ininterrottamente come ala destra. Allora i miei amici qualche anno dopo mi avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco).
Secondo diverse testimonianze, Pasolini è un buon giocatore, tanto veloce da essere soprannominato “Stukas”, in riferimento agli aerei da combattimento in picchiata tedeschi del Secondo Conflitto Mondiale.
Durante questo periodo bellico e fino al 1949, il giovane Pier Paolo vive a Casarsa della Delizia, in Friuli Venezia Giulia, luogo d’origine della madre. Questo paese ha un ruolo chiave per ciò che concerne il suo rapporto con il calcio, infatti gioca nel Casarsa Foot Ball Club prima e diventa uno dei fondatori della Società Artistico Sportiva Juniors Casarsa dopo. Negli anni Sessanta, invece, prende parte alla squadra Attori, Artisti e Cantanti, insieme a personaggi molto popolari del mondo dello spettacolo, come Gianni Morandi, Ninetto Davoli e Little Tony.
Ma l’artista, oltre a giocare in prima persona, scrive di calcio, e più in generale di sport. Di seguito una concreta testimonianza di Pasolini giovane cronista di calcio, ovvero un pezzo pubblicato il 17 novembre 1947 su «Il Friuli sportivo» per raccontare la partita Casarsa - Zoppola:
Casarsa Zoppola 5-1
La vittoria del Casarsa era immaginabile: non era immaginabile tale abbondanza di reti, e quel che più conta, un gioco in cui la forza non fosse più potenziale, allo stato latente (come ebbimo a osservare in altra occasione) ma si esplicano (sic) invece in azioni sempre vibranti, spesso nitide. Questa nuova vittoria pone il Casarsa senza più dubbi nella rosa dei candidati. Un’osservazione: la squadra ha funzionato nel primo tempo perché ha giocato col sistema, pregevolmente imperniato sul chiaro Munizzo. Lo Zoppola è una squadra giovane, tutt’altro che pigra. Ha avuto il suo momento alla fine della prima ripresa.
Arbitraggio buono, ma un po' ricercato.
P.P.P.
Quello che caratterizza questo scritto è certamente lo stile inconfondibile di Pasolini: alto, garbato, sofisticato, lontano da quello degli articoli sportivi talvolta monocorde che siamo soliti leggere. Chi si è trovato fra le mani qualche testo di Pasolini, indubbiamente riconoscerà anche qui la sua eleganza linguistica. È importante sottolineare la questione legata alle parole da lui utilizzate anche perché oggi vi è grande attenzione rivolta alla lingua del calcio e, più in generale, a quella dello sport. Infatti, come afferma Enrico Paradisi in un testo all’interno di una rubrica curata dall’Accademia della Crusca, vi è il suddetto interesse perché:
ne è coinvolto un numero considerevole di italiani: lo sport rappresenta uno dei consumi culturali più estesi e costanti (attraverso ben tre grandi quotidiani sportivi, fatto unico nel mondo occidentale, riviste, radio e tv locali e nazionali). Poi c’è l’interesse per il suo specifico carattere linguistico: i termini, le figure retoriche e espressive, tranne rari casi (ricordo G. Brera), non sono molto originali e creativi, ma possono sentirsi sulla bocca di persone che mai nella quotidianità (al di là di certi ruoli professionali) si esprimerebbero con tanta ricercatezza terminologica e con tanto slancio espressivo.
Non si può, inoltre, non ricordare uno dei contributi sul calcio più celebri di Pasolini, ovvero quello pubblicato su «Il Giorno» il 3 gennaio 1971:
Il football è un sistema di segni, cioè un linguaggio. Esso ha tutte le caratteristiche fondamentali del linguaggio per eccellenza, quello che noi ci poniamo subito come termine di confronto, ossia il linguaggio scritto-parlato. Infatti le “parole” del linguaggio del calcio si formano esattamente come le parole del linguaggio scritto-parlato. Ora, come si formano queste ultime? Esse si formano attraverso la cosiddetta “doppia articolazione” ossia attraverso le infinite combinazioni dei “fonemi”: che sono, in italiano, le 21 lettere dell’alfabeto.I “fonemi” sono dunque le “unità minime” della lingua scritto-parlata. Vogliamo divertirci a definire l’unità minima della lingua del calcio? Ecco: “Un uomo che usa i piedi per calciare un pallone è tale unità minima: tale “podema” (se vogliamo continuare a divertirci). Le infinite possibilità di combinazione dei “podemi” formano le “parole calcistiche”: e l’insieme delle “parole calcistiche” forma un discorso, regolato da vere e proprie norme sintattiche.I “podemi” sono ventidue (circa, dunque, come i fonemi): le “parole calcistiche” sono potenzialmente infinite, perché infinite sono le possibilità di combinazione dei “podemi” (ossia, in pratica, dei passaggi del pallone tra giocatore e giocatore); la sintassi si esprime nella “partita”, che è un vero e proprio discorso drammatico.I cifratori di questo linguaggio sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori: in comune dunque possediamo un codice.Chi non conosce il codice del calcio non capisce il “significato” delle sue parole (i passaggi) né il senso del suo discorso (un insieme di passaggi).
Questo testo, che unisce linguistica e sport, è un modo di “leggere” il calcio in maniera indubbiamente originale, con l’obiettivo di divertire sé stesso e i lettori.
Il calcio è, inoltre, “entrato” in uno dei suoi lavori da regista più popolari. Infatti, nel 1963 Pasolini realizza un documentario intitolato Comizi d’amore, una sorta di film-inchiesta in cui, con sguardo da antropologo, racconta la cultura e le contraddizioni sociali italiane viaggiando da Nord a Sud. Fra i vari intervistati, oltre a personalità illustri come Alberto Moravia, Pasolini conversa con Giacomo Bulgarelli e altri giocatori della squadra del Bologna.
Il rapporto fra Pasolini e il calcio è stato oggetto di in un testo del giornalista della «Gazzetta dello sport» Valerio Piccioni intitolato Quando giocava Pasolini. Calci, corse e parole di un poeta, pubblicato nel 1996.
Giacomo Bulgarelli |
Aprire una finestra su un aspetto non sempre in primo piano della biografia di un artista che ha segnato la storia culturale del nostro Paese è attività tanto interessante quanto necessaria. Nel caso specifico, inoltre, in un’epoca in cui l’attaccamento a una maglia e l’amore per il “pallone” spesso si esprimono attraverso azioni e atteggiamenti poco etici e fuori controllo, Pasolini costituisce una manifestazione di una passione duratura, sana e pulita per il calcio, rappresentativa dell’incontro, fisico e mentale, fra arte e sport.
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