Ma qui, invece, si vuole ricordare di quel giovane Antonioni, studente di Economia e commercio a Bologna (poi laureatosi con una tesi sui problemi di politica economica ne I Promessi sposi) che si avvicina al mondo della settima arte attraverso l’attività di critico. Nel 1936 inizia, infatti, a collaborare con il quotidiano ferrarese «Corriere Padano», curando la rubrica di critica cinematografica intitolata Impressioni del critico e prosegue poi con altre importanti riviste come «Cinema», «Bianco e Nero», «Lo schermo», «Cosmopolita». Risulta breve, invece, la collaborazione con «Italia libera», rivista del Partito d’Azione. Antonioni scrive tanto, circa 200 pezzi in 13 anni, e parla di alcuni tra i film nazionali ed internazionali che hanno fatto la storia del grande schermo e che, ancora oggi, vengono ricordati dal pubblico. Tra le più importanti pellicole italiane recensite dal cineasta, si ricorda Roma città aperta di Roberto Rossellini del 1945, esempio di cinema neorealista, con un articolo su «Film d’oggi» intitolato Film di tutto il mondo a Roma.
Della celebre pellicola La terra trema di Luchino Visconti, ferocemente attaccato dalla critica e strenuamente difeso dalla scrittrice Elsa Morante all’interno della sua rubrica radiofonica sul cinema, il regista dice:
In Visconti la tecnica è davvero al servizio della poesia. […] Bisogna cercare di scoprire il segreto della sua poesia in quello che muove in noi, bisogna cogliere le vibrazioni in superficie, quanto insomma di istintivo, illogico, inconsapevole esso rispecchia.
Qui si sottolinea la poesia che alberga nel film di Visconti, non necessariamente comprensibile da un punto di vista razionale, ma che trasmette vibrazioni agli spettatori.
Fotogramma de La terra trema |
Spostandoci sul fronte cinematografico estero, nel giugno 1936, Antonioni recensisce sul «Corriere Padano» la pellicola Notturno del ceco Gustav Machatý, scrivendo:
Accenniamo infine a musiche suonate alla visione di cieli nuvolosi, di strade sfuggenti, di acque scroscianti, di foglie morte sopra specchi d’acqua immota, che servono a creare nello spettatore lo spirito necessario a scene successive, ad ambientarlo. Ogni cosa è presentata dietro il velo della sensazione. Tutto Notturno anzi, è sensazione. Nessun particolare è molto chiaro, nessun protagonista lo si vede bene in viso, la fotografia stessa è scura, ma si ha l’esatta sensazione vissuta dai personaggi.
Da queste parole emerge la particolare attenzione del cineasta nei confronti degli spettatori e del loro sguardo dinanzi all’esperienza filmica, ma anche un acuto spirito di osservazione rispetto ad alcuni elementi tecnico-formali, come la fotografia.
Invece, in un articolo del novembre 1940 sulla rivista «Cinema» intitolato Vita impossibile del signor Clark Costa, Antonioni esprime la sua opinione fortemente negativa rispetto alla pratica del doppiaggio, ancora oggi spesso oggetto di numerose polemiche da parte di critici e attori. Nel suddetto articolo, infatti, il regista ferrarese fa riferimento ad una figura particolare, ibrida, con il volto del celebre attore statunitense Clark Gable e la voce dell’italiano Romolo Costa e propone un referendum per comprendere chi fosse a favore o meno di questa pratica.
Clark Gable | Romolo Costa |
Oltre alla fotografia e al doppiaggio, il critico Antonioni sottolinea l’importanza di un altro elemento tecnico fondamentale del linguaggio filmico: il colore. Su «Cinema», infatti, nel 1942 scrive un articolo dal titolo Suggerimenti di Hegel, da cui si evince la sua idea sul colore:
Quando Hegel parla del colore come di una eco, è molto facile giungere con la mente al cinematografo, dove il perdersi di una tinta, il suo fondersi con un’altra diverrà un fatto normale. Si pensi al passaggio di una nube su una prateria sconfinata, tipo esterni Ombre rosse, all’ombra della nube che passa: tutto un giuoco di colori talmente potente da rimpiazzare qualsiasi componente musicale.
Da queste parole emerge l’attenzione e la sensibilità artistica di Antonioni pittore, oltre che critico e futuro cineasta di alto livello.
Questa attività critica del regista ferrarese, compiuta fra gli anni Trenta e Quaranta, ha indubbiamente contribuito alla creazione del suo personale gusto estetico e alla formazione della sua idea di cinema, anche grazie all’incontro con molti intellettuali e uomini di cultura impegnati a collaborare con le suddette riviste. Tra questi, si ricordano Cesare Zavattini e Umberto Barbaro.
Antonioni ama il cinema e lo conosce bene sin da giovane e ciò è dimostrato dal fatto che l’iniziale mestiere di critico costituisce una vera e propria premessa al successivo mestiere di cineasta. E così, tra la critica a Ivan il terribile di Ejzenstein e quella a Enrico V di Olivier, il giovane Michelangelo imbraccia la macchina da presa, realizza dei cortometraggi e, dal 1950, inizia a dirigere i suoi primi lungometraggi, entrando a far parte della schiera dai registi che contano.
Da qui l’esigenza di una scelta, di una presa di posizione rispetto al cinema, o meglio al rapporto fra il suo cinema e quello degli altri. Si pone una questione etica, o forse solo di buon senso, e Antonioni riflette sul suo sguardo, che non è più quello di un giovare ragazzo appassionato di cinema come tanti, ma è quello di chi è esso stesso cinema. È un salto quantico importante di cui non si può non tener conto. Così, nel 1957, su «Bianco e Nero» appare un pezzo su Orizzonti di gloria di Stanley Kubric, in cui il regista ferrarese espone a chiare lettere la sua scelta di fare un passo indietro, o meglio a lato, rispetto all’attività di critica:
Per alcuni anni ho fatto il critico cinematografico, bene o male non so. Quello che so è che oggi non potrei più farlo. Sono sulla barricata come regista ed è difficile esprimere giudizi obiettivi sul lavoro dei propri colleghi. Vado al cinema spesso, molto spesso. Mi diverto, al cinema. Mi emoziono. Credo di capire tutto, ormai, del cinema. Ma se mi chiedono un giudizio su un film, sento di non essere più libero di esprimerlo: quelle immagini hanno urtato oppure si sono fuse con altre che erano dentro di me ed è solo nella misura in cui avviene questo incontro, o questo scontro, che posso parlare.
Queste le parole coscienziose di Antonioni, che richiamano due concetti importanti, ovvero l’onestà intellettuale e la libertà, ed è giusto che il pubblico le conosca. Perché nessuno è solo una parte, un solo colore, una sola nota, neanche Michelangelo Antonioni.
Grazie per questo interessante e ben documentato articolo su l'attività di critico di mio zio Michelangelo Antonioni. Elisabetta Antonioni
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