La ricostruzione delle società del passato prende forma attraverso libri, fotografie, pellicole. Questi prodotti culturali ci consentono di sopperire, almeno parzialmente, alla nostra assenza e di poter sentire l’odore e il sapore di qualcosa che non abbiamo mai vissuto e che non potremo vivere mai. Così, per “entrare” nel mondo della Francia degli anni Trenta, è possibile, per esempio, lasciarsi guidare dai film di un artista del cinema che, purtroppo, ci ha lasciati troppo presto: Jean Vigo.
La sua prima pellicola risale al 1930 e si intitola À propos de Nice (A proposito di Nizza). Per la sceneggiatura, la fotografia e il montaggio di questo lavoro, Vigo si avvale della collaborazione di Boris Kaufman, fratello del celebre regista e teorico del cinema sovietico Dziga Vertov. In un contributo del 14 giugno 1930 intitolato Verso un cinema sociale, Vigo, riferendosi alla sua opera prima, dichiara:
In questo film – interprete una città le cui manifestazioni sono significative – si assiste al processo di un certo mondo. In realtà, non appena indicate l’atmosfera di Nizza e lo spirito della vita che vi si conduce (e che si conduce anche altrove, purtroppo!), il film muove alla generalizzazione degli insulsi divertimenti, messi sotto l’insegna del grottesco, della carne e della morte, ultimi bruschi trasalimenti d’una società che si abbandona, fino a darvi la nausea e a farvi complici di una soluzione rivoluzionaria.
L’obiettivo del giovane regista francese è, quindi, quello di infastidire e disgustare il pubblico spettatore attraverso varie immagini che raccontano la quotidianità della città di Nizza: dal tennis alla gara di macchine, dalle sale da ballo al Carnevale.
Seconda opera di Vigo è La natation par Jean Taris, Champion de France (Il nuoto per Jean Taris, Campione di Francia) del 1931. Il corto, commissionato dalla regista francese Germaine Dulac, vede Vigo firmare soggetto, sceneggiatura e montaggio, mentre la direzione della fotografia è del già citato Boris Kaufman. Come suggerisce il titolo, protagonista della pellicola è il nuoto, o meglio un nuotatore, Jean Taris, che durante i campionati di Francia del 1929 batte il record olimpico nella sua specialità, lo stile libero. Qui vengono mostrati tutti i movimenti dell’atleta e, per farlo, la macchina da presa finisce in acqua. La conclusione dell’opera vede Taris vestito che saluta e si allontana.
Terzo lavoro del regista è Zéro de conduite (Zero in condotta) del 1933, mediometraggio con dei forti riferimenti autobiografici, relativi alla sua infanzia. Infatti, il 17 ottobre 1933, in occasione della prima proiezione del film in Belgio, al Club de l’Écran di Bruxelles, Vigo, nel presentare questo lavoro, afferma:
L’infanzia. Dei fanciulli che vengono abbandonati una sera di ottobre alla riapertura delle scuole nel cortile d’onore da qualche parte in provincia sotto una bandiera qualunque, ma sempre lontano da Casa, dove si spera nell’affetto di una madre, nell’amicizia di un padre, se non è già morto. Ed allora, mi sento stretto dall’angoscia. State per vedere Zero in condotta, io sto per rivederlo con voi. L’ho visto crescere. Come mi sembrava gracile! Neppure convalescente, come un mio stesso figlio, non è più la mia infanzia. È invano che spalanco gli occhi. Il mio ricordo si ritrova male in lui. È dunque già così lontano? Come ho potuto osare, diventato grande, percorrere tutto solo, senza i compagni di gioco e di studio, i sentieri del Gran Meaulnes? Senza dubbio, ritrovo nello scompartimento che allontana le vacanze i due amici del ritorno a scuola. Sicuramente va là, con i suoi 30 letti identici, il dormitorio dei miei otto anni d’internato, e vedo anche Huguet che noi amavamo tanto e il suo collega, il sorvegliante Pète-Sec, e questo sorvegliante generale muto dai passi leggeri di un fantasma. Alla luce della lampada a gas abbassata per la notte, il piccolo sonnambulo ossessionerà ancora il mio sogno questa notte? E forse lo rivedrò ai piedi del mio letto come ci si trovava la vigilia di quel giorno in cui la febbre spagnola lo portava via nel 1919.
La pellicola, bloccata dalla censura fino al 1945, racconta la vita di ragazzini che vivono in un collegio, dando vita a gesti di pura ribellione nei confronti degli adulti che rappresentano l’autorità.
Quarta ed ultima opera di Vigo è L’Atalante del 1934, famosa in Italia anche e soprattutto per la scena del tuffo in acqua dello sposo, scelta da Enrico Ghezzi per la sigla della popolare trasmissione notturna Fuori orario. Concluse le riprese di questo lungometraggio, Vigo muore a 29 anni di tubercolosi e, per questa ragione, il montaggio finale ha subìto importanti modifiche per mano di altri ed è stata poi presentata negli anni in diverse versioni. La sceneggiatura e i dialoghi sono di Vigo insieme a Albert Riéra, il soggetto è di i Jean Guinée, mentre, anche in questo caso, direttore della fotografia è Kaufman. Volendo usare le parole del celebre cineasta francese François Truffaut, L’Atalante:
affronta in realtà un grande tema, raramente trattato dal cinema, l’esordio nella vita di una giovane coppia, le difficoltà di adattarsi l’uno all’altra, con all’inizio l’euforia dell’accoppiamento (ciò che Maupassant chiama “il brutale appetito fisico ben presto spento”), poi i primi scontri, la rivolta, la fuga, la riconciliazione, e finalmente l’accettazione dell’uno da parte dell’altra.
La suddetta scena del tuffo, omaggiata da Ghezzi e che ricorda anche il precedente Taris, è entrata di diritto nella storia del cinema: una ripresa subacquea in cui Jean, marito e protagonista maschile della storia, dopo essersi tuffato, guarda in macchina in attesa dell’apparizione di Juliette, moglie e protagonista femminile.
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