Guy de Maupassant annovera tra le sue produzioni letterarie una notevole quantità di racconti brevi.
Il racconto breve permette in poche righe di definire una storia nei suoi tratti peculiari e di dimostrare come non sia necessaria una notevole quantità di pagine per rendere efficace e indimenticabile uno scritto.
La sua sintesi si sposa perfettamente con il contemporaneo, con i ritmi frenetici dell’oggi. Può essere letto in breve tempo, durante un viaggio in treno, in tram, oppure seduti al bar. Nello specifico, se la lettura fosse del testo che andremo ad analizzare, il lettore verrebbe accompagnato in una riflessione sulla sua condizione umana, il suo pensiero si tradurrebbe in un interrogativo: chissà?
Chissà? è il titolo del racconto scritto da Guy de Maupassant all’età di quarant’anni, nel pieno della sua maturità artistica.
L’autore mette in scena il personaggio principale, un antieroe che vive in una villa alla periferia di Parigi e lo ritrae come una persona schiva e solitaria.
La
solitudine viene considerata fonte di grande serenità, di appagamento, un esercizio di libertà e fantasia che soddisfa. Al contrario la frequentazione assidua del genere umano provoca stanchezza e fastidio.
Francesco Petrarca in De vita solitaria elogia il piacere della solitudine che genera libertà intesa come:
Vivere come vuoi, andare dove vuoi. In ogni stagione essere padrone di te, e, dovunque ti trovi, vivere con te stesso, lontano dai mali, lontano dall'esempio dei cattivi. Solamente chi ha sperimentato tale condizione equivalente a stare in un posto di vedetta, osservando ai tuoi piedi le vicende e gli affanni degli uomini, ne comprenderà la straordinaria forza.
Per meglio comprendere l’allergia verso il genere umano di cui è affetto il protagonista, si potrebbe citare Sera sul viale Karl Jordan di Edvard Munch. Ma dando al dipinto un’interpretazione opposta all’intenzione dell’artista.
Se per Munch un individuo che cammina affianco a numerosi passanti, che vanno tutti in una direzione contraria alla sua, è fonte di alienazione. Per il nostro antieroe camminare in altra direzione è motivo di gioia, e più la distanza con gli altri aumenta, più è felice. Fin dalle prime righe viene spiegato il motivo di tale intolleranza:
Perché sono così? Forse la causa è molto semplice: mi stanco molto presto di tutto ciò che non avviene dentro di me.
Con queste parole, per niente rassegnate ma anzi portatrici di un certo divertissement, l’autore descrive il suo uomo, a cui non vuole dare un nome e un cognome. Ma fermarsi qui non sarebbe sufficiente, perché ognuno di noi deve avere dei punti di riferimento e affezionarsi a qualcosa. Ecco che Maupassant ci svela l’anima del protagonista che si esplicita provando affetto per gli oggetti.
I mobili contenuti nella sua casa sono per lui creature viventi a cui è legato indissolubilmente. Si pronuncia in questi termini:
Avevo adornato la mia casa di oggetti e dentro ad essa mi sentivo contento, soddisfatto, felice come tra le braccia di un’amabile donna.
Ma la sua certezza crolla improvvisamente perché una sera, proprio i suoi amati arredi, decidono di andarsene. Assiste impotente alla sfilata di tavoli, scrivanie, sedie che scappano come una donna capricciosa e lo abbandonano senza spiegazioni.
Esilarante la descrizione di tale accadimento, dove lo scrittore lascia attonito il lettore che non si aspetta un colpo di scena di tale portata e ne rimane affascinato, continuando voracemente la lettura per comprendere se tale accadimento è fantasia, follia o forse realtà:
Il pianoforte passò al galoppo come un cavallo sfrenato, sulla soglia della porta vidi una poltrona che se ne usciva e dondolandosi se ne andò per il giardino.
Ma tutto ciò non è banale se pensiamo che in ogni epoca storica è esistito un rapporto tra l’uomo e l’oggetto. La loro produzione mette in rilievo l’importanza che le cose hanno nella società. Le nostre vite sono piene di prodotti che influiscono sul quotidiano, entrando a far parte della nostra identità.
Ogni uomo è uomo più cose, è uomo in quanto si riconosce in un numero di cose, il sé stesso che ha preso forma di cose.
Da il Fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello scrive:
Nell’oggetto amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo; l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi.
Bertolt Brecht ha una visione poetica:
Fra tutti gli oggetti, i più cari sono per me quelli usati. Storti agli orli e ammaccati, i recipienti di rame, i coltelli e le forchette che hanno di legno i manici, lucidi per tante mani: simili forme mi paiono fra tutte le più nobili.
Dopo la fuga dei mobili il protagonista si rifugia in albergo e, non potendo raccontare quello che ha visto, ne denuncia la sparizione come furto. Una mattina riceve una missiva in cui le viene comunicato che tutto il mobilio è ritornato nella sua dimora, ma lui, spaventato per l’accaduto, non vuole rientrare in casa:
Ah! No! Quella vita non era più possibile. E io non riuscivo più a custodire il segreto di quello che avevo veduto. Non potevo continuare a vivere normalmente, col timore che situazioni del genere avessero a ripetersi.
Quindi decide di raccontare la sua verità ad un medico che lo inviata a soggiornare in una casa di salute. Per niente dispiaciuto, anzi quasi sollevato, rimarrà ricoverato in una clinica per malati di mente, dichiarando di non voler ricevere nessuna visita.
E’ interessante rilevare il periodo in cui l’autore scrive questo testo annoverato tra i racconti della pazzia.
Chissà? viene pubblicato nel 1890 un anno dopo il ricovero in manicomio del fratello di Maupassant. In questo periodo lo scrittore è malato di sifilide e ha problemi psichici, nel 1892 viene ricoverato in clinica.
La storia è narrata in prima persona dal protagonista che racconta, come in una confessione, la sua vicenda, interagendo brevemente con personaggi poco rilevanti ai fini della trama, ma che fungono da contorno alle sue vicissitudini.
Lo scrittore riesce a mantenere alto l’interesse utilizzando un linguaggio chirurgico e descrivendo con lessico asciutto: persone, circostanze e luoghi. Grande modernità, nel dare rilevanza all’oggetto che sostituisce i rapporti interpersonali. Pensiamo alla simbiosi che esiste oggi tra uomo e cellulare, o allo status sociale rappresentato dal possesso di auto, vestiti, scarpe, eccetera.
Volendo andare oltre, e cercando di dare al racconto un’interpretazione più estesa, potremmo affermare che se fossimo in ambito teatrale, il testo potrebbe diventare uno spaccato di teatro dell’assurdo.
In ogni modo, la follia dell’individuo è l’interpretazione naturale a cui ci conduce l’autore.
Ma alcune considerazioni sono indispensabili: è veramente follia? o solo paura di tornare a una realtà che non riconosce più. Considerando che la perdita degli affetti, siano essi rappresentati da persone o cose, è perdita di sé, il tradimento degli oggetti amati può portare l’individuo alla fuga dalla vita per rifugiarsi in un luogo che per lui non ha passato e non avrà futuro.
Lo stesso titolo del racconto rappresenta un dubbio e non una certezza. Maupassant lascia la risposta al lettore che ha la facoltà di decidere se approcciare il testo in maniera oggettiva, oppure preferire una visione più poetica, onirica, metaforica, senza dare giudizi sulla pazzia del protagonista senza nome, che potrebbe avere il nome di ognuno di noi, se ci trovassimo nella medesima circostanza.
Catia Mattiuzzo
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