Usi, costumi, tradizioni sono elementi che caratterizzano capillarmente le comunità e le terre che le ospitano. Entrano così nella storia, o meglio, si fanno storia e per questo meritano di essere raccontate. Dare dignità al passato e ai ricordi è fondamentale e le diverse forme artistiche ci aiutano a tenere viva la memoria di ciò che è stato. Uno dei personaggi che con i suoi lavori cinematografici ha tramandato e tratteggiato le tradizioni delle comunità italiane dopo la prima metà del Novecento è Luigi Di Gianni.
Nel corso di un’intervista rilasciata a Onda Cinema, Di Gianni afferma: «Per me il documentario è un nobile pretesto per fare del cinema. A me non interessa molto il rapporto diretto con la realtà, mi interessa un rapporto costruito e con una realtà da me scelta, a me congeniale». E poi ancora: «Il mio modo di fare cinema documentario è un po' stilizzato, un po' costruito, come dire, ricreo le atmosfere in cui mi sento a mio agio. Non posso fare una cosa che mi è estranea, se non sento un soggetto è meglio che non me ne occupi […]».
Il suo esordio nel cinema documentario arriva nel 1958 con Magia Lucana, girato ad Albano, un piccolo paese a trenta chilometri da Potenza. Con questo primo lavoro, che parla di alcune usanze magiche del tempo sentite in quel territorio, Di Gianni vince il premio per il Miglior documentario al Festival di Venezia del 1958. Il regista definisce questo come un «documentario di ispirazione antropologica [...] costruito il più possibile, come se fosse finzione, curando soprattutto certe atmosfere cupe, magiche, negative, che a me sono congeniali». In occasione della realizzazione di questo lavoro Di Gianni inizia una amicizia e una proficua collaborazione con l’antropologo Ernesto De Martino.
Arrivano poi altre produzioni come Frana in Lucania del 1960, L’Annunziata del 1961, Vajont del 1963, Un paese che frana del 1964. Quest’ultimo lavoro, girato a Succiso, racconta di una zona dell’Appennino emiliano sotto la minaccia delle frane, dove vive gente in abitazioni diroccate in attesa di un’altra sistemazione o che, in altri casi, spera di non dover abbandonare la casa e la zona in cui erano nati e cresciuti.
Fra i documentari più interessanti realizzati da Di Gianni si ricorda anche Grazia e numeri del 1962, girato a Napoli, che racconta dell’importanza assunta dai numeri del lotto e dalle preghiere nella risoluzione dei problemi fondamentali dell’esistenza. In particolare, vengono rappresentati sullo schermo persone intente a chiedere ai defunti grazie attraverso formule e preghiere di carattere magico.
Altro documentario degno di nota è, senza dubbio, Il culto delle pietre del 1967 che racconta dell’usanza dello “strofinamento magico”, che coinvolge persone di tutte le età che si addentrano nella cripta-grotta sottostante la chiesa di San Venanzio e chiedono grazie strofinandosi nelle pietre, che prendono su di sé il male, liberando così l’uomo. Qui si ricorda, inoltre, che in date fisse, in occasione delle festività, le donne dormono per terra in chiesa per stare a contatto con la divinità.
Di Gianni non è stato solo un grande cineasta e maestro del documentario etnografico, ma anche docente per un lungo periodo. Infatti, dal 1977 al 1997 insegna Regia-Cinema Documentario presso il Centro Sperimentale di Cinematografia (dove da ragazzo era stato allievo), in seguito è docente a contratto di Tecniche e Metodologie degli Audiovisivi applicati alle Scienze Antropologiche presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Palermo. Insegna poi anche Istituzioni di regia presso il Dams dell’Università della Calabria e Antropologia visuale e Laboratorio cinematografico presso la Facoltà di Beni culturali dell’Università di Lecce. Inoltre, nel 2006, Di Gianni riceve la laurea honoris causa in Filosofia per meriti nel campo del cinema di ispirazione antropologica dall’Università di Tubinga in Germania.
Luigi Di Gianni muore a Roma nel 2019 a 92 anni. I suoi documentari etnografici sono entrati di diritto nella storia del cinema e della cultura ed hanno spinto il pubblico verso la conoscenza di molte interessanti tradizioni del passato, purtroppo spesso troppo poco note soprattutto nella società contemporanea.
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