27 giugno 2024

L'arte del quotidiano

Giorgio Morandi, Natura morta, 1955

Alcune volte sembra che le opere che si trovano nei musei o nelle gallerie siano talmente distanti dallo spettatore, che non riguardano la vita di tutti i giorni con i suoi pensieri e le sue preoccupazioni. In questo articolo si parlerà di quattro artisti contemporanei che non solo hanno raccontato, ognuno con le proprie diversità, ciò che si considera abituale ma ne hanno fatto una cifra stilistica della loro dimensione creativa dando così vita a una vera e propria arte del quotidiano.

Negli scavi archeologici uno dei resti che più di frequente si può trovare è la ceramica. Infatti i frammenti di brocche o coppette sono tra le prime cose che un giovane archeologo deve saper riconoscere, che sia il suo sito alle pendici del monte Palatino a Roma o nelle coste del Sud Italia tra i resti della cultura greca. Dopo aver ritrovato il reperto ceramico, si comincia una prima catalogazione, poiché nel mondo antico ne esistono molti tipi. L’analisi più approfondita sarà svolta successivamente nei laboratori degli atenei o negli enti di ricerca che hanno la direzione sullo scavo. Così un piccolo frammento di utensile il cui merito è di essere sopravvissuto allo scorrere del tempo, si trova al centro dell’attenzione d’esperti per far sì che racconti la sua storia e la vita che racchiude. Giorgio Morandi, celebre pittore ed artista bolognese, dipinse per la maggior parte della sua carriera oggetti di uso comune, come vasi, bottiglie o ciotole. I luoghi dei suoi quadri non sono mai ben definiti sebbene se ne percepisce un senso di familiarità, come se appartenessero già allo spettatore prima che il suo sguardo si soffermi. Questi soggetti possono ricordare i resti che si trovano nella terra, quando vengono riportati alla luce dopo secoli in cui sono stati sepolti. Entrambi nascono per essere usati nelle case dove dovrebbero trascorrere tutto il loro tempo ma alla fine è proprio la dimensione temporale che sconfiggono riuscendo ad arrivare a un pubblico più vasto. Per riprendere le parole di una conferenza tenuta da Massimo Recalcati al museo Maxxi di Roma riguardo Claudio Parmiggiani:

La nascita di un’opera non è una creazione di un’immagine mai prodotta ma una ripetizione di un’immagine originaria che si cerca di afferrare. 

Sebbene questa frase sia riferita nel discorso di Recalcati a un altro artista, la ripetizione come quotidianità, quindi il fatto che il soggetto non sia ritratto in un momento unico ed irripetibile della sua vita, può essere attinente anche alle opere di Giorgio Morandi. L’unico e l’irripetibile sono concetti fuori dal lessico di Morandi, i suoi quadri sottolineano quanto la dimensione più intima della nostra vita, come la casa ed i suoi oggetti, possa contenere un ponte per un altrove dove alcune risposte possono essere trovate.

Claudio Parmiggiani, Senza titolo, 2023

Come è stato detto in precedenza, Claudio Parmiggiani è stato fortemente influenzato da Giorgio Morandi, il loro incontro fu decisivo per la carriera del giovane artista. Tuttavia Parmiggiani si discostò dal suo maestro rielaborando una forma d’arte tra la luce e l’ombra, tra lo spazio della casa e della famiglia e lo sguardo verso una fine, una morte portata dal tempo. Parmiggiani, in particolare con le sue Delocazioni, dove l’arte è il segno di alcuni oggetti o mobili che hanno lasciato alle pareti, fissa come concetto della sua arte l’assenza. Se nei quadri del Caravaggio il gioco di luce costruito intorno ai soggetti rappresentati andava a sottolineare sempre di più le loro figure, le impronte delle Delocazioni all’opposto rievocano non chi possedeva quegli oggetti ma il fatto che ora non ci siano più. Parmiggiani usa la quotidianità e la memoria come principi delle sue composizioni, ogni resto suscita un’emozione che difficilmente è esprimibile a parole poiché tocca corde troppo profonde della nostra interiorità, ogni traccia segna un percorso tra i luoghi dell’artista e dello spettatore verso un viaggio di fragilità e timida consapevolezza. Sebbene sia importante sottolineare come la nostalgia non sia propriamente l’emozione che più si addice alle opere dell’artista di Luzzara, per quanto sia presente nella dimensione della memoria. Parmiggiani vorrebbe sfidare il tempo e riportare la sua casa d’infanzia, che è andata persa a causa di un incendio, ma sa che non è possibile. Quindi il suo obiettivo non è far rivivere la sua casa, piuttosto di mantenere, preservare e curare le impronte che ha lasciato. Per Claudio Parmiggiani l’arte è un eterno ritorno, un viaggio tra il passato e presente, dove la realtà chiusa della nostalgia non rientra poiché le porte tra i sentimenti che trasmette sono sempre aperte. 

Bertina Lopes, Am I dreaming. Is this the city?, 1958-60

Bertina Lopes è un artista del Mozambico che nelle sue opere ridefinì il termine di quotidiano come ombra tra i terrori della storia e la vita degli individui che ne hanno fatto parte. I colori dei suoi quadri sono lucenti, forti e non si tirano indietro davanti alle forme simili a maschere tribali che la pittrice ritrae. Si viene così a creare un’unione tra forma e colore senza che nessuno dei due elementi si mescoli all’altro. Nell’arte della Lopes non vi è conciliazione tra i vari componenti del quadro, non si cerca un’armonia che guidi l’immagine complessiva dell’opera. Ciò andrebbe in contrasto con la sfida dell’animo dell’artista, la quale ha riunito nel suo studio di Roma la comunità mozambicana, lottando per denunciare la terribile guerra civile che affliggeva il suo paese. I suoi quadri contengono proprio questa lotta, la denuncia di una guerra e la necessità di una pace, ma il vero protagonista della sua arte è lo sforzo di migliorare la situazione nel quale si vive, mostrando la verità dei fatti o le emozioni delle persone. Perché solo così una pace è possibile e solo così anche il pennello può trovare la sua armonia. Questo però è un processo che va seguito, mano nella mano, ogni giorno. Bertina Lopes racconta infatti di una quotidianità del lottare, dove ogni singolo individuo si impegna a fare la sua parte per raggiungere quella comunione di suoni che la terra del Mozambico ha, dopo molto tempo, raggiunto. 

Julianos Kattinis

Per accingersi verso la conclusione manca un ultimo artista, infatti sarà la storia e l’arte di Julianos Kattinis a terminare quest’articolo. Kattinis è nato in Grecia ma ha vissuto per la maggior parte della sua vita in giro per il mondo, tra la Siria, l’Afghanistan e Roma, città a cui tenne particolarmente. La sua quotidianità poliforme e multietnica si nota tutta mentre si osservano i suoi quadro. Infatti i colori delle terre che ha visitato si uniscono ai loro miti d’origine producendo dei quadri dove l’arcaico viene dipinto con un'altra prospettiva. L’arcaico quindi non è dipinto per insegnare delle nozioni, non c’è assolutamente un intento storico e documentativo, il pittore ha invece la necessità di mostrare le terre degli uomini e le loro storie attraverso le forme più diverse che la tradizione locale gli ha ispirato. Kattinis però guarda anche al presente come la fine di un percorso dove queste forme sono ancore vive e parte dell’immaginario comune. Il colore si adatta e segue ogni via che i soggetti tracciano con le loro deformazioni, così facendo lo spettatore si trova davanti delle opere il cui impatto viene addolcito dal mito che li circonda.

Mito, dolore, semplicità, memoria, guerra, pace. Nei vari artisti narrati tutti questi ingredienti hanno portato a formare opere di grande rilievo con cui l’arte contemporanea ha trovato nuova linfa per poter proseguire. Seppur nella loro diversità sono riusciti a conciliare aspetti universali come la lotta tra il privato e i nostri pensieri ed il mondo esterno. Forse però la lezione più importante è una. I loro quadri, le loro composizioni, mostrano la necessità di vivere l’arte giorno dopo giorno, nella quotidianità della nostra vita e non solo in fugaci momenti, rubati tra un impegno ed un altro. 

Leonardo Chiaventi

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