24 giugno 2024

Quel fantascientifico di Primo Levi

Primo Levi

Primo Levi è conosciuto al grande pubblico per essere lo scrittore di Se questo è un uomo e il reduce di Auschwitz, ma è stato anche molto altro. All’interno della sua produzione letteraria troviamo, infatti, due raccolte di racconti, Storie naturali e Vizio di forma, che possono essere accostate ai grandi nomi della letteratura fantascientifica. Sono racconti che parlano di tecnologie futuristiche, di creature fantastiche, di distopie quotidiane e, soprattutto, che narrano di vite comuni dalla quali però emergono, come smagliature nella trama, momenti di crisi nel rapporto tra l’essere umano, la natura e la tecnologia. 

Primo Levi pubblica il suo primo libro, Se questo è un uomo, nel 1947 presso un piccolo editore, pochi anni dopo essere tornato dalla tremenda esperienza concentrazionaria. Il libro non suscita molto interesse, anche perché in quegli anni si sta cercando di lasciarsi la guerra alle spalle. La vera fama arriva nel 1958, quando Einaudi, che in un primo momento aveva rifiutato il libro, decide di pubblicarlo nella sua collana «I saggi». Inizia così per Levi un periodo di successo, di interviste e di incontri nelle scuole, e nel 1963 arriva anche la pubblicazione de La tregua, sorta di continuazione del libro precedente. Ma Levi si sente addosso un ruolo troppo stretto, ovvero quello del testimone-scrittore, di colui che deve essere quello per cui è conosciuto; e così, nel 1966, pubblica la sua prima raccolta di racconti, Storie naturali, un’opera di fantascienza.

Si tratta di una raccolta di quindici racconti; l’intenzione è quella di unire la propria cultura scientifica (la laurea in Chimica) con quella umanistica. Levi, infatti, scrive di fantascienza in uno stile alto, classico, e allo stesso tempo limpido e sobrio. Una vetta di stile è il racconto Quaestio de centauris, in cui Levi scrive magnificamente la storia di un centauro di nome Trachi, fondendo fantasia, mitologia, stilemi borghesiani e alta letteratura, e dimostrando una notevole coscienza letteraria e di scrittura. L’opera esce però sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila; secondo l’editore, infatti, sarebbe stato troppo straniante per il pubblico che uno scrittore come Primo Levi, legato nella coscienza collettiva a temi alti e seri come quelli del lager e della Shoah, si cimentasse anche in racconti considerati minori, come appunto quelli di carattere fantascientifico.

Alcuni racconti della raccolta sono legati tra loro dal personaggio del signor Simpson, un rappresentante della misteriosa società americana NATCA e il cui compito è quello di vendere le più futuristiche e stravaganti invenzioni tecnologiche. Nel racconto Il Versificatore, per esempio, Simpson convince uno spiantato poeta ad acquistare un marchingegno (il Versificatore, appunto) in grado di produrre qualsiasi tipo di testo poetico, previo l’inserimento di un adeguato prompt (come il genere letterario, lo stile da imitare, il tipo di rime, ecc.), che lo potrà così aiutare nella sua attività creativa (siamo nel 1966 e ChatGPT arriverà soltanto sessantacinque anni dopo).

In un altro racconto, dal titolo Alcune applicazioni del Mimete, si narra invece di uno strumento capace di duplicare alla perfezione qualsiasi materiale (stesso discorso del precedente: le stampanti 3D sono ancora lontane dall’essere inventate) e che il protagonista del racconto finirà per utilizzare anche su sua moglie, pensando così di poter approfittare dei vantaggi di una serena bigamia, ma che lo porterà ad esiti inaspettati:

Bastava pensare che le due Emme [Emma è la moglie del protagonista] non occupavano materialmente la stessa porzione di spazio: non avrebbero potuto passare simultaneamente per una porta stretta, presentarsi insieme a uno sportello, occupare lo stesso posto a tavola: erano perciò esposte a incidenti diversi, [...] a diverse esperienze. Fatalmente si sarebbero differenziate, spiritualmente e poi corporalmente: e una volta differenziate, Gilberto sarebbe riuscito a mantenersi equidistante? Certo no: e di fronte ad una preferenza, anche minuscola, il fragile equilibrio a tre era votato al naufragio.

È chiaro che si tratta di pura fantascienza, e lo si vede anche dal fatto che, come spesso capita in questo genere, molti di questi racconti anticipano temi e avvenimenti futuri. Altri esempi? Ecco: in un episodio di Black Mirror, fortunata serie televisiva di fantascienza e distopie, Rolo Haynes delle “risorse umane” offre al dottor Dawson una recente invenzione per consentirgli di curare i pazienti facendogli provare le stesse sensazioni che i malati stanno provando, semplicemente tramite un casco da mettere in testa. Ovviamente le cose vanno storte e il dottor Dawson sviluppa una dipendenza per cui non potrà fare a meno di vivere le esperienze (e in particolare, il dolore) degli altri. Questo, invece, è un estratto dal racconto Trattamento di quiescenza di Primo Levi:

[Simpson] ha combattuto col Torec come Giacobbe con l’angelo, ma la battaglia era perduta in partenza. Gli ha sacrificato tutto: le api, il lavoro, il sonno, la moglie, i libri. Il Torec non dà assuefazione, purtroppo: ogni nastro può essere fruito infinite volte […]. Perciò Simpson non prova noia durante la fruizione, ma è oppresso da una noia vasta come il mare, pesante come il mondo, quando il nastro finisce: allora non gli resta che infilarne un altro. È passato dalle due ore quotidiane che si era prefisso, a cinque, poi a dieci, adesso a diciotto o venti: senza Torec sarebbe perduto, col Torec è perduto ugualmente. 

Il Torec è l’ultimo ritrovato tecnologico che permette, analogamente al casco di Black Mirror, di vivere sensazioni ed esperienze altrui. E proprio come il protagonista dell’episodio di Black Mirror, anche il protagonista del racconto di Levi finirà col farsi annichilire da questa nuova tecnologia dal sapore distopico.

Procedendo nella lettura si trovano poi altri racconti sempre dallo stile brillante e dalle trovate notevoli, in cui la tradizione letteraria italiana si fonde – cosa ragguardevole – con la recente letteratura fantascientifica. Levi, infatti, oltre ad essere stato un uomo di scienza, è stato anche un grande lettore di Aldous Huxley e altri autori simili. 

La seconda raccolta fantascientifica, Vizio di forma, viene pubblicata nel 1971 ed esce finalmente col nome e cognome dell’autore, a rivendicare il fatto che egli, adesso, è scrittore tout court

I racconti questa volta sono venti e perdono in parte il lato umoristico della prima raccolta. Il secondo racconto, Verso occidente, è programmatico in questo senso e ha in sé alcuni elementi che ritorneranno nei racconti successivi, come il sovrappopolamento, l’uomo contro la natura, e uno stile di vita occidentale che sembra andare sempre più verso un’alienazione di sé stesso. La trama del racconto è questa: alcuni ricercatori vogliono studiare il comportamento dei lemming, piccoli roditori che periodicamente compiono suicidi di massa andando incontro alla morte in mare. Durante le loro ricerche, i ricercatori vengono a contatto con una tribù dell’Amazzonia, la quale sembra avere un comportamento suicida simile a quello del lemming. Nel frattempo, le ricerche portano ad un risultato inaspettato: viene scoperta una molecola la cui assenza nei lemming potrebbe essere la causa dei loro istinti suicidi. Una volta creato un farmaco che agisce su quella molecola, i due ricercatori offrono subito alla tribù amazzonica il rimedio al loro comportamento suicida. Come risposta, il capovillaggio dirà che:

il popolo degli Arunde, presto non più popolo, vi saluta e ringrazia. Non vi vigliamo offendere, ma vi rimandiamo il vostro medicamento, affinché ne tragga profitto chi fra voi lo vuole: noi preferiamo la libertà alla droga, e la morte all’illusione. 

È chiaro che qui siamo di fronte a un cambio di tono rispetto a Storie naturali. Le due raccolte sono infatti figlie di due momenti precisi: una prima fase, gli anni ’60, in cui l’Italia e l’Europa erano pervase da un generale clima di euforia, in cui la corsa allo spazio e lo sviluppo tecnologico erano davvero entrate nel vivo e in cui la sensazione era quella di una possibile distensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica così da poter superare gli strascichi della Seconda guerra mondiale. E una seconda fase, di cui Vizio di forma è figlia, in cui nuove esigenze e nuovi problemi si affacciano all’orizzonte, come dirà lo stesso Levi:

[negli anni ‘70] lo scenario era già diverso. Varie voci […] si erano levate ad avvertire che difficilmente si sarebbe potuto andare avanti indefinitamente così: excelsior sì, ma su tutti i fronti? e fino a dove? Non era giunto il momento di fare i conti planetari, e di mettere un freno, se non ai consumi, almeno agli sprechi, ai bisogni artificialmente provocati, ed all’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo?

Effettivamente, Vizio di forma ha un carattere più “ecologico” rispetto a Storie naturali; essa doveva intitolarsi “Disumanesimo”, ed è figlia di un clima politico e civile più̀ teso, in cui la visione di Levi verso la società̀ industriale e l’ambiente è una visione apocalittica. D’altro canto, lo stesso titolo dell’opera rimanda a qualcos’altro di più grande e cupo, ritorna a qualcosa di cui Levi si era già occupato, ovvero il Lager, “il più grosso dei vizi, […] il più minaccioso dei mostri generati dal sonno della ragione”. Proviamo a leggere la parte finale del racconto che chiude la raccolta, Ottima è l’acqua, in cui il tema trattato è quello di una crisi ambientale in cui l’acqua ha subìto una misteriosa trasformazione nella sua struttura, dando luogo così a cambiamenti nefasti per il clima e per l’essere umano: 

Come i fiumi, anche noi siamo torpidi: il cibo che mangiamo e l’acqua che beviamo devono attendere ore prima di integrarsi in noi, e questo ci rende inerti e grevi. Non piangiamo: il liquido lacrimale soggiorna superfluo nei nostri occhi, e non stilla in lagrime ma defluisce come un siero, che toglie dignità̀ e sollievo al nostro pianto. Così è in tutta l’Europa, oramai, e il male ci ha colti di sorpresa, prima che li comprendessimo. Solo ora, in America e altrove, si incomincia a sospettare la natura dell’alterazione dell’acqua, ma si è ben lontani dal sapervi porre riparo: intanto è stato segnalato che il livello dei Grandi Laghi è in rapido aumento, che l’intera Amazzonia si sta impaludando, che lo Hudson supera e rompe gli argini in tutto il suo corso alto, che i fiumi e i laghi dell’Alaska si rapprendono in un ghiaccio che non è più̀ fragile, ma elastico e tenace come l’acciaio. Il Mare dei Caraibi non ha più̀ onde.

Ecco quello che fanno i racconti fantascientifici di Primo Levi: innanzitutto, ci parlano di grande letteratura, e poi, come abbiamo visto, ci mettono di fronte a problemi che, magari mascherati con invenzioni stravaganti o forme aliene apparentemente lontane, riguardano noi, l’umanità, e il mondo in cui viviamo. Leggendo queste due raccolte, insomma, si ha una piacevole sensazione di sorpresa nell’accostarle al Primo Levi che ci ricordiamo dalla scuola, e si ha anche (o almeno, io l’ho avuta) una strana sensazione di già visto; sì perché molti dei temi trattati da Levi nei suoi testi fantascientifici ritorneranno, mutatis mutandis, in vari film, serie tv e libri che in anni più recenti ci è capitato di guardare o di leggere. Ovviamente non si tratta di plagio o di consapevole imitazione ma, proprio come le grandi opere, esse racchiudono in nuce motivi che non scolorano mai. Sarebbe dunque bello se nella nostra libreria, accanto a Se questo è un uomo, La tregua, Il sistema periodico e I sommersi e i salvati, ci fossero anche queste produzioni “minori” di Primo Levi. E se proprio non le si vorranno mettere accanto alle sue opere principali, le si mettano pure accanto ai libri di Aldous Huxley e George Orwell. Tanto non sfigurerebbero.

Marco Torboli

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