1 settembre 2024

Piero Tosi e l’arte del costume nel cinema

Le pellicole che animano le sale cinematografiche e che entrano nelle nostre case sono frutto del lavoro di tante mani, tutte diverse ma tutte egualmente importanti. Ogni singolo tassello è prezioso affinché il mosaico finale, ovvero il film, possa essere completo e curato in ogni sua parte, perché tutto nel cinema comunica qualcosa. Le cosiddette maestranze che lavorano dietro le quinte hanno, in tal senso, un ruolo di assoluta rilevanza perché si occupano di elementi tutt’altro che secondari nell’economia estetica e strutturale dell’opera filmica. I costumi rappresentano una componente estremamente importante della settima arte e uno dei maestri del costume italiano è stato, senza dubbio, Piero Tosi.

Piero Tosi nasce in Toscana nel 1927, si forma all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e nel 1947 inizia la sua carriera nel mondo del teatro. Qualche anno dopo, grazie all’incontro con Franco Zeffirelli, Tosi ha la possibilità di conoscere Luchino Visconti e cominciare il suo lavoro come assistente costumista nel cinema. La prima collaborazione fra Tosi e Visconti è per il film Bellissima del 1951. Il sodalizio fra i due artisti è lungo e molto fruttuoso, infatti, dopo Bellissima, arrivano pellicole come Senso nel 1954, Le notti bianche nel 1957, Rocco e i suoi fratelli nel 1960, Il Gattopardo nel 1963, Lo straniero nel 1967 e Ludwig nel 1973. Molto si è scritto su questa collaborazione artistica d’eccellenza ma, in particolare, va sottolineato che:

Luchino Visconti è il regista che più ha utilizzato Piero Tosi come costumista, ed è difficile dire a posteriori se Luchino Visconti abbia influito con la sua personalità perfezionista su Tosi, o Tosi abbia stimolato e permesso a Visconti di esprimersi attraverso le ricerche di entusiasti studiosi e confortato da una ricerca accurata condotta su manoscritti miniati […] Il lavoro di Tosi parte sempre da uno studio delle fonti iconografiche del tempo, da una profonda conoscenza della storia dell’arte, e da una realizzazione scrupolosa sia nei materiali sia nella fattura. Non ci devono ingannare le stupende scenografie e costumi degli anni trenta e quaranta americani che spettacolarizzano le vesti e le scene, né l’espressionismo tedesco prebellico trasferito sulla pellicola. Tosi non le prende a suo modello anzi le rifugge. Tosi prende a piene mani dai più grandi pittori, ricreando come avrebbe interpretato un pittore−sarto del tempo la realtà. 

Abiti de Il Gattopardo

Tosi non è stato artista del costume solo in ambito teatrale e cinematografico ma anche in televisione. Infatti, nel 1964 lavora a Il giornalino di Gianburrasca di Lina Wertmuller, nel 1988 a Gli indifferenti di Mauro Bolognini e realizza anche alcuni spot pubblicitari per la regia di Zeffirelli, Fellini, Bolognini e Scott. Non bisogna dimenticare anche il lungo periodo di insegnamento alla Scuola Nazionale di Cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel 2008  Francesco Costabile, allievo di Tosi e diplomato in Regia proprio al Centro Sperimentale, realizza un documentario intitolato L’abito e il volto. Incontro con Piero Tosi, in cui sono presenti anche le testimonianze di Franco Zeffirelli, Claudia Cardinale, che ricorda la sua ricerca del dettaglio, e Franco Valeri. 

Nel corso della sua lunga carriera Tosi riceve diversi importanti riconoscimenti, fra cui Nastri d’Argento, David di Donatello e BAFTA Awards. È stato, inoltre, candidato ben cinque volte agli Oscar e nel 2014 gli viene conferito l’Oscar alla carriera. Piero Tosi muore a Roma nel 2019, lasciando un’impronta importante nella storia del costume cinematografico e teatrale.

Una scena di Senso

Come afferma Francesco Ceraolo in un interessante articolo apparso nel 2018 su Fata Morgana Web:

Tosi ha “vestito” la Storia nel senso che ha vestito una realtà pensata sempre come una totalità storica e sociale, attraverso un’estetica paradossale, in cui il puntiglioso sforzo di ricreazione dei costumi rispetto agli ambienti e alle movenze dei personaggi ha corrisposto alla volontà di costruire un piano assoluto della messinscena, di riconsegnare la realtà, presente o passata, nella contingenza finzionale della rappresentazione. 

Francesca Bella

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