Qui vi riporto ad esempio le parole dello scrittore Alessandro Piperno in un’intervista video su «La Repubblica» dove il giornalista Massimo Giannini (min 8:40) pone la domanda sul fatto che esista un preoccupante automatismo che fa scattate l’accusa di antisemitismo quando si critica Israele. Egli risponde che pur ammettendo la veridicità di tutto ciò ribadisce il fatto che persistono atteggiamenti antisemiti in diversi individui (il che è evidente), per poi aggiungere di ritenere inopportuno il fatto che si possa associare al genocidio quanto accade a Gaza: con la giustificazione che gli ebrei hanno subito l’olocausto e che ciò rende impensabile l’associazione tra le due cose. Sulla stessa linea si è posta la senatrice Liliana Segre, quando alcuni mesi fa ha dischiarato: «Quando mi dicono che Israele fa genocidi, questo confronto diventa una bestemmia» oppure «La parola genocidio io l’ho conosciuta, adesso viene usata per ogni cosa.»
Eppure ci sono molti ebrei che non accettano i massacri contro i palestinesi, e in alcuni casi non accettano persino l’esistenza dello Stato di Israele ,facendo seguito a un’interpretazione letterale dell’ebraismo. Generalmente gli ebrei che si pongono in contrasto con le politiche israeliane vengono identificati con la cosiddetta sinistra israeliana di cui il giornale di riferimento è «Haarez». In questo giornale vi lavora Gideon Levy che da sempre porta avanti la sua battaglia contro il colonialismo israeliano in Palestina.
Gideon Levy |
Focalizzandoci sulle sue dichiarazioni vogliamo porre l’accento sulla domanda posta all’inizio di questo articolo: come fanno gli ebrei ad accettare tutto questo? Nelle sue numerose interviste Levy spiega tutto ciò con estrema franchezza dandoci una chiave di lettura sconvolgente, se non persino indicibile. In un’intervista a «Current Affairs» a una domanda risponde:
Sfortunatamente, gli israeliani vivono sotto un ombrello di negazione e lavaggio del cervello, sistematico e molto profondo. Non possiamo entrare in tutte le fonti, ma l'agente principale sono ovviamente i media israeliani, e anche il sistema educativo e altre agenzie. Gli israeliani vivono nella negazione e sono sottoposti al lavaggio del cervello. La maggior parte degli israeliani non ha mai incontrato un palestinese, non ha mai parlato con un palestinese, tranne forse nei bei tempi quando era lo spazzino o l'operaio che costruiva la loro casa. Ma non si sono mai seduti e hanno incontrato un vero palestinese alla loro altezza. La maggior parte degli israeliani non è mai stata nei territori occupati. Vivono con questa convinzione che tutti i palestinesi siano terroristi e siano Hamas.
E aggiunge:
Quindi, siamo cresciuti qui fin dall'infanzia con la sensazione che tutti i palestinesi vogliano buttarci in mare a calci. Che sono nati per uccidere, che siamo il popolo eletto, che siamo le uniche vittime nella storia, che abbiamo il diritto dopo l'Olocausto di fare tutto ciò che vogliamo: molti valori che abbiamo instillato nelle nostre vene per così tanti anni, ed è molto difficile infrangerli.
Concludendo in risposta a una successiva domanda:
Tutto parte dal fatto fondamentale che gli israeliani non percepiscono i palestinesi come esseri umani uguali. Lo vedi in così tanti modi. Questo è il nocciolo di tutto. […] Ma gli israeliani sentono parlare dei 15.000 bambini uccisi, lo giustificano. Sentono parlare, non so, di 20.000 donne uccise, lo giustificano. E se raddoppia o triplica, Dio non voglia, non so di quanto, niente scalfirà la difesa di Israele, di proteggersi dal confronto con la realtà e dal confronto con domande fondamentali come "Cosa stai facendo, per l'amor di Dio?"
L’accusa che egli pone è netta, esiste un modello di vita nello Stato di Israele che impedisce di umanizzare i palestinesi e li associa a “esseri inferiori”, ma soprattutto esistono una serie di elementi che impediscono di sciogliere questo pregiudizio determinando tutti i comportamenti conseguenti. Per comprendere meglio il senso di queste parole vi invito ad ascoltare un suo vecchio intervento (il video qui sotto) dove si palesa qualcosa che non può essere detto ad alta voce e da tutti. Sappiamo bene infatti quanto sia divenuto difficile e scivoloso oggi criticare Israele e gli ebrei.
Dalle dichiarazioni di Levy si percepisce come in molti di essi la giustificazione della violenza nasca dal meccanismo psicologico di cacciare nell’ombra ciò che per il resto del mondo appare evidente, forse perché posti a distanza. Il concetto di ombra si riferisce alla psicologia junghiana secondo cui in ogni persona esiste una componente oscura che pensa e a volte attua azioni negative, se non distruttive. Ma l’ombra negli individui generalmente tende a nascondere tutto ciò, onde consentire la coesistenza di azioni quotidiane positive (come accudire i figli) e proietta all’esterno tutte le colpe. Il comportamento tipico di questa proiezione lo si riconosce quotidianamente nel traffico, quando un automobilista di Roma o di Palermo ferma serenamente l’auto in mezzo alla strada e a fronte degli improperi degli altri automobilisti non fa ammissione di colpa, ma rilancia gli insulti e a volte scatena persino la violenza. Questo stesso meccanismo viene descritto da Levy nel video quando davanti a dei militari israeliani avendo protestato per la disumanità del loro comportamento induce loro a puntargli contro il fucile: quell’atto di accusa così puntuale e circostanziato è stato così potente da scoperchiare per un attimo l’ombra dei loro comportamenti. E finché non verrà spezzato questo meccanismo, nessun tipo di violenza potrà mai essere veramente fermato in Palestina.
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