10 ottobre 2024

Sull’inutilità della Guerra. L’attacco dei Giganti


Col termine Manga s’intendono i fumetti originari giapponesi, quelli che, a partire dal 1950 circa ad oggi, sono divenuti uno dei prodotti di punta dell’Editoria nipponica. Esistono riviste dedicate che contengono vari shonen o shoujo manga, atti a fidelizzare il lettore, ed è prevista naturalmente la possibilità di conversione in Anime, ossia l’animazione degli stessi in ciò che noi ben conosciamo come disegno animato.

Rispetto al design di tipo occidentale, gli Anime sono sicuramente più palpitanti, euforici e passionali.

I grandi occhi dei personaggi, seppure innegabilmente sproporzionati, riflettono l’emotività ed il carattere del protagonista in maniera impeccabile. Le lacrime, il sorriso, il pianto, l’enfasi della caratterizzazione portano ad un pathos ineccepibile, che non si cristallizza sulla narrazione, ma aggiunge piuttosto concretezza, una spaventosa lucidità di espressione.

L’attacco dei Giganti è un manga di genere Fantasy, scritto e disegnato da Hajime Isayama, classe 1986, da cui è stata tratta l’omonima serie animata di quattro stagioni. Isayama è un ragazzo cresciuto in un villaggio fiancheggiato dai monti, che solo a vent’anni si trasferisce a Tokyo, a lavorare in un Internet cafè. 

Un incidente gli cambierà la vita.

Un ubriaco lo aggredisce e Isayama ha paura. Una gran paura. Teme a tal punto per la sua incolumità da avere un’intuizione: gli esseri umani sono spaventosi, la violenza di cui sono capaci è qualcosa che non è possibile controllare.

Nasce così L’attacco dei Giganti.

La trama si snoda a partire da un anonimo anno 845, privo di altre connotazioni atte a definirne la reale collocazione. L’umanità, o parte di essa, non è inizialmente possibile capire, vive all’interno di tre cerchie di mura: il Wall Maria è quello più esterno, il più esposto; a seguire il Wall Rose, la parte centrale; all’interno il Wall Sina, il cuore a protezione del re e della sua corte. Al di fuori delle mura: il Terrore.


Orde di Giganti alti dai tre ai quindici metri, privi di genitali e di coscienza, che non necessitano di nutrirsi per vivere. Il loro unico intento pare quello di smembrare gli uomini e ingoiarne i resti dei corpi martoriati.

Le mura sono alte cinquanta metri e paiono inattaccabili in ogni parte, fatta eccezione per le porte d’accesso. Esistono 3 unità militari che proteggono il popolo: Il Corpo di Guarnigione, la Gendarmeria, ossia il corpo privilegiato che vive all’interno della prima cerchia di mura, e l’Armata Ricognitiva, l’avamposto dei soldati che sconfinano all’esterno, rischiando la vita, con l’intento di scoprire la vera natura dei Giganti e sconfiggerli.

L’incipit è rappresentato dall’ingresso in città, a Shiganshina, un distretto compreso nella prima cerchia di mura, di un gigante di sessanta metri, mai visto in precedenza. Questo colosso più alto delle mura stesse crea una breccia e permette ai suoi simili di entrare nella piccola cittadina. È un massacro.

Un ragazzino di circa dieci anni, Eren, vede la madre morire davanti ai suoi occhi, senza poter fare nulla se non fuggire. Con lui, Mikasa e Armin, suoi più cari amici.

Cosplayer di Armin

Eren Jaeger (da Jager, in tedesco cacciatore), rappresenta l’incredulità dell’umanità intera, inerme di fronte alla violenza dell’inconoscibile e dell’ignoto, che lotta disperatamente per riconquistare un barlume di dignità. Figlio dell’orrore che ha vissuto, è impulsivo, violento e con l’animo permeato da forte spirito di rivalsa. L’idealismo che lo guida, però, sarà causa della sua rovina. Un idealismo spinto all’eccesso, nutrito in un crescendo di barbarie, odio e desiderio di vendetta. Eren è il degno erede di un’atrocità che non si può spiegare, in una terra di confine ove la consuetudine si piega a discapito dell’irrazionale e dell’incomprensibile. Guidato dall’utopia di un mondo nuovo, Eren spingerà al limite le proprie possibilità, sino a divenire, non solo Eroe, Fondatore, Guida spirituale, ma pure energia primigenia atta a far nascere una nuova generazione di soldati.

Eren Jaeger 

Ciò che preme definire, però, nel dipanarsi della storia, in un crescendo estenuante di rivelazioni e omissioni, resta, sempre e comunque, un sottofondo nostalgico di ciò che poteva essere e non sarà mai. Nei flashback di ricordi che non è dato neppure comprendere, lo spettatore è trascinato in un vortice di emozioni contrastanti. Da un lato, il desiderio di rivalsa su ciò che inizialmente pare il male, dall’altra una mera constatazione dell’inutilità di opporsi ad una storia già scritta.

Ogni volta che pensiamo d’aver raggiunto la consapevolezza Isayama, con arguzia e maestria, rovescia le nostre certezze e mostra un’altra via. Ci offre la possibilità di dare un’occhiata un poco più avanti, per insinuare nella nostra mente il dubbio.

Siamo tuttavia passivi testimoni dell’infinita mediocrità dell’uomo, visto attraverso tutte le nefandezze di cui è capace, mentre pilastri ancestrali crollano, e trasvolato in un limbo ove neppure l’odio stesso può avere una collocazione oggettiva. L’autore è intransigente e pare suo desiderio che pure lo spettatore lo sia.

La persecuzione degli Eldiani, popolo di Eldia, (che si scoprirà essere il luogo da cui provengono i protagonisti), da parte dei Marleyani (a loro volta oppressi anzitempo), diviene emblema non soltanto della violenza del più forte verso il più debole (in quel momento), ma si permea di echi storici che non passano certo inosservati. E non vogliono. Il problema è che a siffatta crudeltà viene data una spiegazione oggettiva, a cui bisogna in qualche modo sottostare. Di qui la domanda, quella con D maiuscola. Il quesito alla base di ogni conflitto che si è combattuto. Perché?

Perché l’attacco dei Giganti non è una singola guerra, ma è la madre di tutte le guerre, nella ciclicità incessante che si dipana da un principio cardine imprescindibile: il desiderio di supremazia di una parte sull’altra. Ora, quale sia l’aggredito e quale sia l’aggressore, si delinea verosimilmente agli albori del conflitto. E che l’aggressore possa un giorno divenire l’aggredito è inequivocabilmente oggettiva verità.

Al di là delle critiche mosse a Isayama, oltre la moltitudine di simpatizzanti dell’una o dell’altra parte, tanto è caro all’umanità intera il fatto di schierarsi, sempre e comunque, il manga è decisamente interessante per un altro motivo ancora. La caratterizzazione dei personaggi fa sì che non sia dato sapere, specie nell’avvicendarsi dei quattro capitoli, chi sia realmente dalla parte del giusto. L’autore si astiene dal volerlo dire. Oppure, preferisce godersi lo spettacolo, ammiccando. Si deve necessariamente salire in cattedra per argomentare dove sia la verità, assumendosi il rischio di una scelta che non può essere decisiva. Perché non lo è.

Il bene e il male. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti in proposito. Da vittima a carnefice il passo è più breve di quanto non appaia.

È intrigante quanto un Anime possa riassumere così in profondità l’intima natura umana, di per sé né buona né cattiva, solo appunto, umana. Con tutte le sue complessità, i suoi imprescindibili limiti, la sua essenza squisitamente vulnerabile, le sue spiccate idiosincrasie nei confronti di ciò che esula la comprensione immediata. Un guazzabuglio rocambolesco e trionfante di ideali non basterà a sconvolgere un assunto di tal spessore. Non sarà la fede a salvare questo nostro povero mondo, e la definizione non è affatto casuale. È sufficiente scorrere i titoli di coda, affiancati da immagini pregnanti e per nulla fortuite, che si susseguono beffarde, quasi a voler dimostrare l’assurdità della guerra nonché la sua ineluttabilità infernale. Essa tornerà. Sempre.


In questa lucida analisi Isayama non dimostra pietà, né ripensamento alcuno.

Un cerchio ben definito da quelle mura concentriche al di fuori delle quali inizialmente si anela la Libertà, per poi sprofondare miseramente nella tirannia più spietata. Dov’è la verità, dunque?

A ben vedere, il termine è un nuovo inizio. O meglio, ancora l’inizio.

Come se nulla fosse accaduto, come se il sangue versato non fosse valso a nulla, come se quei nomi ormai dimenticati non significassero alcunché, agli occhi dei vivi, di una nuova generazione di stolti che ripeterà banalmente gli stessi, atroci errori.

Donate i vostri cuori

È l’inno di battaglia dell’Armata Ricognitiva.

Ma, a fronte di un cuore donato con simile abnegazione, troviamo dall’altro lato solo desolazione per un nuovo mondo che poteva essere e non è stato. Siamo dinanzi ad una aspettativa angosciosamente disattesa, una lenta discesa agli Inferi senza possibilità di redenzione. Cala il sipario su una scena ove impera incessantemente un monito fatale: le guerre sono tutte inutili e senza le guerre l’uomo non può sopravvivere.

Amara verità o condiscendenza?

Abbiamo noi una scelta?

L’interrogativo necessariamente conduce all’incipit:

A te, fra Duemila anni…

Erika Rainero

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