La vita di Edvard Munch coincide con la sua arte. Non si tratta di un’espressione estrema, né di un modo esteticamente piacevole per definirla. Esprimendosi artisticamente, il pittore norvegese cercò sempre di ritrovare quell’equilibrio psichico e spirituale che purtroppo perse più volte, e a fasi alterne, per via delle dolorose vicende biografiche che lo riguardarono. Alla fine del secolo, in un’epoca ormai orientata verso un infinito progresso tecnologico, dove l’uomo (borghese) aveva ormai perso il contatto con i suoi simili e con la natura, il dipingere per Munch corrispose ad una via catartica per comprendere questa frattura e vivere attraverso essa, per accettare la solitudine non pretendendo di combatterla. Attraverso una serie di scritti dell’artista, che documentò spesso il proprio lavoro e la sua vita, in annotazioni, bozze, diari, che prendono la forma di ricordi (che egli lasciò alla città di Oslo), è possibile restituire il carattere della sua propria concezione di arte, oltre che di vita.
Il pittore norvegese svilupperà negli anni una concezione d’arte tutta propria. Egli ritiene che essa nasca “dal bisogno dell’uomo di manifestare sé stesso ad un altro”, dall’intima necessità di portare alla luce i suoi propri stati d’animo, e ancora: “Nella mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo senso – Intendevo anche aiutare gli altri a chiarirsi la propria”. Per Munch l’atto di dipingere deve essere estremamente fedele alle emozioni e sensazioni del pittore che contempla per la prima volta un determinato paesaggio, delle persone, o certe configurazioni di cose nel loro stato naturale, durante l’esperienza di vita. Gli oggetti, i paesaggi o gli uomini che si deciderà poi di rappresentare porteranno per sempre il segno di quello stato emotivo originario, che resterà impresso in loro. In questo senso, egli scrive: “la Natura è il mezzo, non il fine – Se si può ottenere qualcosa alterando la natura, bisogna farlo... Che allora il dipinto somigli alla natura non conta”. Possiamo qui notare l’opposizione, ripresa più volte da Munch, tra Natura e Arte, che si configura come un rapporto tra mezzo e fine. A differenza delle precedenti correnti artistiche, quali il realismo o l’impressionismo, la sua opera dunque, non intende restituire la realtà fotografica delle cose, o l’immediata impressione di esse, bensì si appresta a filtrarle e alterarle a seconda dello stato emotivo dell’artista. Ciò deriva dal “bisogno dell’uomo di aprire il suo cuore… l’Arte è il profondo del cuore”. In definitiva, ciò che conferisce fascino all’arte è che “in momenti diversi si vede con occhi diversi. Si vede diversamente al mattino rispetto alla sera. Il modo in cui si vede dipende anche dallo stato d’animo e da come ci si sente. È per questo che un motivo può essere visto in molti modi.” Egli si focalizza sulla riproduzione di determinate atmosfere, percepite dall’artista in differenti momenti della sua esistenza. Queste risultano spesso ormai svanite quando si appresta a dipingere, e ciò lo costringe ad una introspezione considerevole. Di qui deriva l’ostinatezza di produrre molte versioni di uno stesso motivo, per cercare di renderlo più somigliante alla propria impressione originaria. Munch sembra beffarsi dei pittori realisti e naturalisti dell’epoca, che privilegiano “il dipingere con precisione fotografica questa o quest’altra sedia o questo tavolo come si vedono in quest’istante”, e che affermano che “tentare di rendere un’atmosfera significa dipingere in modo menzognero”. Al contrario, per lui è fondamentale far emergere “l’umanità, la vita… Non la natura morta”. Di fronte alla precisione fotografica “si resta lì… freddi. Il sangue non scorre più veloce. Non si è mai colpiti nell’intimo. – Non è stato detto nulla che rimanga nascosto e riemerga ancora e ancora in seguito. Si dimentica il quadro non appena ci si allontana”. Munch descrive ancora l’arte come “(la forma) dell’Immagine scaturita dai Nervi dell’Uomo – dagli Occhi – dal Cervello e dal Cuore – L’Arte è il bisogno dell’Uomo di Cristallizzazione”. Anche in questa riflessione, la natura viene descritta come il recipiente da cui il pittore attinge, “il regno eterno da cui l’immagine trae il suo nutrimento”, in accordo con la corrente impressionista, che egli definisce “un grande grembo nel calderone della Natura”. L’artista norvegese, a differenza di quest’ultima, ritiene però che si debba partire da quella porzione di natura che l’uomo riporta in sé stesso, e che la materia esterna debba diventare commista alle percezioni interne, essendo plasmata e modellata da queste, lasciando che “arda nella passione – l’Inferno dell’anima”.
L'urlo |
L’utilizzo dei colori ha una funzione puramente simbolica nel suo lavoro: spesso la particolare emotività dei soggetti viene meglio resa grazie a colorature inconsuete e molto accentuate dell’incarnato o del paesaggio che li circonda, come ad esempio nell’Urlo (1893), o in Sera sul viale Karl Johan (1892), dove le atmosfere si tingono di rosso, arancio, blu e nero, comunicando un forte senso di angoscia. Munch era consapevole del modo in cui alcuni dei suoi quadri venivano letti, delle reazioni dei critici d’arte sostenitori della tradizione, indispettiti di fronte a uno stile così spregiudicato. Proprio a proposito della questione dei colori, intendendo sempre scostarsi da una descrizione puramente fotografica degli oggetti, egli scrive:
Non comprendono che può esservi il più amaro granello di senso in queste impressioni – in queste impressioni istantanee – Che un albero può essere rosso o azzurro – un volto può essere azzurro oppure verde (vedi Gelosia, 1895, 1913) – sanno che è sbagliato – Da quando erano piccoli sanno che foglie ed erba sono verdi e che il colore della pelle è leggermente rossastro. – Non riescono neanche a concepire che abbia inteso essere serio – dev’essere una scempiaggine fatta per sciatteria – oppure in uno stato mentale alterato, preferibilmente l’ultima cosa.
Attraverso i colori, che si distaccano spesso dalla loro naturalità, Munch cerca dunque sia di restituire fedelmente le atmosfere percepite, alterate spesso dal propria dipendenza da alcol, ed allo stesso tempo di rendere i differenti stati d’animo dei soggetti rappresentati.
Sera sul viale Karl Johan |
Nell’evidenziare tratti caratteristici del vissuto umano, Munch si colloca come un anticipatore, in pittura, dei problemi e questioni che le correnti esistenzialiste novecentesche porteranno di lì a poco a piena espressione. Anche la riflessione filosofica, infatti, come le arti pittoriche, diverrà protagonista di una brusca virata dall’oggettivismo al soggettivismo. Alla fine del secolo, il progresso scientifico ed economico, ben espresso dalle correnti positiviste, faceva presagire per l’uomo un futuro illuminante. Tuttavia, con l’avvento dei conflitti mondiali e un clima che comincerà a nutrire sempre più sfiducia verso la scienza e la tecnica, ritenute responsabili della crisi progressiva della cultura e delle forme spirituali, il pensiero filosofico assumerà come riferimento l’esistenza umana, cercando di comprendere le nuove sfide che le si pongono di fronte e di ricostruire il quadro sempre mutevole in cui si muove. In particolare, fra questi, è particolarmente interessante l’approccio fenomenologico, il cui esponente principale è Edmund Husserl, e che permette di concepire il mondo come luogo privilegiato dell’incontro tra soggetto e oggetto. Si tratta del primo dei molteplici tentativi di tessere una trama di unione tra il polo soggettivo e quello oggettivo, di superare la questione dualistica predominante fin da Cartesio. Attraverso la categoria di intenzionalità, precisando che il soggetto presuppone sempre un oggetto verso cui orientarsi, e che l’oggetto presuppone, a sua volta, un soggetto che lo percepisca, Husserl è fautore di una prospettiva soggettivistica che non dimentica il mondo esterno (seppur alcuni glielo rimprovereranno), e che ambisce a riunire nuovamente l’Uomo e la Natura, elemento fondamentale anche in Munch. In particolare, al centro delle riflessioni filosofiche successive, come quelle di Heidegger, prima, e di Sartre, poi, si porrà l’esistenza umana in tutte le sue sfaccettature, analizzata attraverso concetti (ed esperienze) che la caratterizzano e la segnano profondamente, come l’Angoscia, la Libertà, la Morte.
Vent’anni prima, Munch esprimeva a pieno le stesse tematiche nei propri dipinti, dando forma ad una successione simbolica di quadri che decise di denominare Il Fregio della Vita. Questa idea era scaturita dalla necessità del pittore di raccontare il vissuto umano attraverso una sequenza di opere, che rappresentavano appunto le esperienze cruciali dell’esistenza, vissute da Munch in prima persona. Nelle sue annotazioni leggiamo:
Ho sempre lavorato al mio meglio nei quadri che parlavano di me, li ho messi insieme e ho avvertito che alcuni di essi erano collegati tra loro nei contenuti – Quando li ho messi insieme è affiorata subito una risonanza reciproca e sono apparsi completamente diversi rispetto a quando esposti singolarmente. Ne è emersa una sinfonia. Così mi è venuto in mente di dipingere fregi.
Il Fregio della Vita non assunse mai una forma definitiva, poiché l’artista vi rimise mano più volte per tutta la sua vita, modificando la successione dei dipinti. La prima versione integrale risale al 1902, quando venne esposto in una mostra a Berlino. Esso constava qui di 22 dipinti divisi in 4 sezioni: I semi dell’amore, Sbocciare e appassire dell’amore, Angoscia, e infine Morte. Possiamo notare la presenza delle due forze che Munch concepiva come essenzialmente opposte, l’Amore e la Morte, laddove però l’Amore, nonostante si presenti inizialmente come possibile via di fuga dalla Morte, nel suo appassire risulta ricadere inevitabilmente in questa, riconsegnando l’individuo all’esperienza del Dolore. Molte delle opere presenti in questa versione del Fregio, come La Voce (1893), Il Bacio (1893), Vampiro (1893/94), Madonna (1894), Malinconia (1891-93), Gli occhi negli occhi (1894), Separazione (1894), L’Ansia (1893-94), e il famosissimo Urlo (1893), erano già presenti nelle versioni abbozzate dell’opera, del 1893 e del 1895.
Malinconia |
Rispetto allo stile dei quadri, possiamo leggere:
Dipinsi i quadri del Fregio della Vita solo sulla base dell’immagine – che in un istante di commozione si era impressa nei miei occhi – e dipinsi ciò che era ancora fisso – sulla mia retina – Dipinsi solo ciò che ricordavo, senza aggiungere nulla – Da qui la semplicità e spesso l’apparente vuotezza di molti dipinti – Dipinsi impressioni d’Infanzia – i colori sbiaditi dell’epoca – Dipinsi i colori e le linee che avevo visto quando ero commosso – e perciò riuscii a far baluginare nuovamente quell’atmosfera emozionale.
È dunque sempre centrale l’introspezione, la volontà di scavare dentro sé stessi per riportare sulla tela le impressioni ed emozioni originarie.
Vampiro |
In particolare, attraverso quadri come Vampiro, Malinconia, Gli occhi negli occhi, Separazione (1896), La danza della vita (1902), Le tre età della donna (1902), si può ricostruire efficacemente il modo in cui l’artista guarda all’esperienza amorosa e alla figura della donna. Egli, infatti, concepisce quest’ultima attraverso le dolorose storie d’amore della sua vita, la prima con Milly Thaulow, una nobildonna norvegese già sposata, che non ricambiava il suo sentimento, e la seconda con Tulla Larsen, che avrebbe voluto invece impegnarsi nel matrimonio, fuggito invece da Munch per tutta la vita. Proprio nella Danza della vita le due donne si fondono assieme, rappresentando nello stesso quadro le diverse fasi dell’esperienza amorosa, attraverso le tre figure di donna: la prima, vestita di bianco, che con pudore avanza verso il centro della scena, rappresenta l’innocenza delle giovani donne che si apprestano per la prima volta al sentimento amoroso; la seconda, vestita di rosso, che balla con il suo innamorato (Munch stesso), rappresenta l’audacia femminile e la sua sensualità, la capacità che ha di conquistare il cuore dell’uomo; la terza, sulla sinistra, vestita di nero, indica invece la fine dell’illusione sentimentale e l’avviarsi della vita verso l’inevitabile morte, l’amore che scompare per lasciar spazio al dolore di un’esistenza buia. Altri quadri, come Vampiro, Separazione, Malinconia, Gli occhi negli occhi, permettono di esplorare al meglio la complicata relazione che lega l’artista alle presenze femminili della sua vita, influenzata dalle esperienze traumatiche dell’infanzia, che lo hanno visto perdere prima la madre e poi la sorella. Egli dipinge i soggetti in questione con lunghi capelli rossi, (vedi Vampiro e Gli occhi negli occhi), che avviluppano il cuore degli uomini, legandoli per sempre a sé, perpetuando a lungo il dolore che segue la fine delle relazioni sentimentali. Da una parte Munch enfatizza molto la sua sofferenza, mostrando paura verso l’abbandono, dall’altra rifiuta ogni legame istituzionale per timore di essere allontanato dalla sua arte. Il suo rapporto con l’altro sesso fu sempre caratterizzato da conflitti difficili da superare, e che irrimediabilmente vennero riflessi nel suo lavoro artistico. Egli descriveva così i propri sentimenti ambivalenti:
L’oscurità violacea scendeva su tutta la terra – Io sedevo sotto un albero – le cui foglie cominciavano ad avvizzire, a ingiallire – lei era stata seduta accanto a me – aveva chinato la testa su di me – i suoi capelli rosso sangue mi avevano avviluppato – si erano attorcigliati intorno a me come serpenti rosso sangue – il loro trefolo più delicato si era avvinghiato al mio cuore – poi ella si era alzata – ignoro il perché – si era allontanata lentamente verso il mare – sempre più lontano – allora era accaduto qualcosa – di strano – sentii come se ci fossero dei fili invisibili tra noi – sentii come se i fili invisibili dei suoi capelli mi stessero ancora avviluppando – e anche quando scomparve del tutto lì oltre il mare – sentii ancora quanto faceva male là dove il mio cuore sanguinava – perché i fili non potevano essere recisi.
La danza della vita |
Come detto, un altro tema centrale del Fregio è la Morte, carattere inesorabile e intrinseco della vita dell’uomo, rappresentata più volte attraverso le vicende personali dell’artista, in Morte nella camera della malata (1893), Sul letto di morte (1893), e La madre morta e la bambina (1899), in cui sono rievocate le emozioni di tristezza, disperazione e tormento che hanno caratterizzato l’adolescenza del pittore, segnata dai numerosi lutti. Attraverso la rappresentazione artistica, egli riuscì a edulcorare la propria esistenza, a liberarla dalla tristezza e dallo sconcerto per gli avvenimenti passati, svolgendo su di sé una vera e propria terapia.
Morte nella camera della malata |
Tuttavia, nell’ultima parte della sua vita, caratterizzata da un solitario ritiro presso la tenuta che acquistò ad Ekely, in Norvegia, e successiva alla sua guarigione dai problemi di alcolismo, l’agitazione che caratterizzava il suo spirito si acquietò, avviandosi verso una maggiore tranquillità emotiva e una diversa considerazione della Morte. A susseguirsi nei suoi dipinti più maturi sono proprio i fenomeni della Vita e della Morte, di cui viene colta la reciproca alternanza, esprimendo perfettamente la prospettiva di un uomo che ha avuto una vita tormentata, ma che adesso ripone la sua fede in qualcosa di superiore, eppure totalmente naturale, il succedersi rassicurante dei giorni e delle stagioni. Munch morì sereno, consapevole di aver donato la propria esistenza all’arte, grato di aver conosciuto, ispezionato e superato i propri traumi interiori solo grazie a questa, nella profonda convinzione che la sua opera potesse aiutare le generazioni presenti e future a guardarsi dentro, a scoprire meandri del sé ancora inesplorati. Possiamo dunque concludere così, con una delle sue note più mature:
Nulla è piccolo, nulla è grande – In noi (ci) sono mondi – Il Piccolo si spartisce nel Grande, il grande nel piccolo. Una goccia di sangue, un mondo con il sole al centro e Pianeti… Il mare, una goccia, una piccola parte di un Corpo – E Dio è in noi e noi siamo in dio – La luce originaria è ovunque e va dove c’è vita – tutto è movimento e vita – Nascono cristalli che prendono forma come il bambino nel ventre materno. Anche nella roccia più dura arde il fuoco della vita – La morte è il principio della Vita – di (una) nuova Cristallizzazione. Non siamo noi a morire, è il mondo che muore da noi. La Morte è l’amante della vita, il dolore è Amico della gioia … Dal mio corpo che marcisce spunteranno fiori – e io sarò in loro – l’Eternità.
Giulia Minenna
6 commenti:
Che gran pezzo!
Immenso
Ottimo articolo, scritto in modo chiaro e interessante. Mi è stato utile per capire un artista che conoscevo poco.
Puntuale e di larga fruizione
Tocca molti temi senza glissare su nessuno di essi. Ottima scelta editoriale.
Articolo che, inizialmente, mi ha incuriosito per poi catturare la mia attenzione in maniera sempre più crescente grazie alla fluidità della sua eloquenza. Mi ha permesso, inoltre, di avvicinarmi e comprendere meglio il genio assoluto di un'artista a suo tempo incompreso.
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