19 novembre 2024

I libri che danno emozioni

La letteratura e la scrittura hanno sempre avuto il potere di condurci in territori sconosciuti, dove dover affrontare ciò che, nel corso della nostra vita quotidiana, tendiamo a evitare. In un mondo dove i timori, le fragilità e i desideri rimangono spesso sopiti, la parola scritta tramuta in un ponte che ci immerge in esperienze che, altrimenti, rimarrebbero inaccessibili. La scrittura diventa non solo un atto di espressione e ribellione, ma una chiara via per conoscere noi stessi.

Come racconta Deborah Levy, in un momento difficile della sua vita, si mette in viaggio. Si sente in balia di forze ineluttabili che l’hanno spinta verso destinazioni non scelte, e così decide di stabilirsi a Maiorca per intraprendere, nell’intimità che solo un paese straniero può offrirle, un cammino intellettuale ed emotivo nel solco tracciato da Virginia Woolf, Simone de Beauvoir e Marguerite Duras.

O ancora una bidella si innamora perdutamente di un giovane professore, e questo amore non finisce mai, dura più di trent’anni ma rimane sempre platonico. La storia raccontata da Tanto Poco, intenso romanzo dello scrittore romano Marco Lodoli, a freddo appare poco verosimile, penso: non si può immaginare che una vicenda simile accada nella realtà. O forse sì? Mentre leggo Tanto Poco, in realtà, al di là delle vicende narrate, dell’età e delle situazioni, mi sento affine e vicina alla protagonista, i suoi pensieri si sovrappongono ai miei, nei suoi più intimi turbamenti ritrovo parti di me. E mi domando che funzione abbia, davvero, la letteratura nella nostra vita.

Un romanzo può essere solo puro, delicato, mentre la realtà spesso è cruda e appuntita, mi dico; un romanzo contiene un unico sguardo, mentre la quotidianità succhia le nostre energie tramite il disordine che deriva dalle prospettive numerose che appartengono alle persone che ci circondano.

Nella letteratura possiamo permetterci di annegare dentro alla paura, nella vita siamo costretti a dialogare con il terrore più irrazionale, e spesso gli altri non ci fanno sentire compresi, compatiti in maniera sana, e allora dobbiamo cercare un rifugio, penso, e quale migliore nascondiglio se non quello delle parole?

Scrive Virginia Woolf: «La finzione è come una tela di ragno, attaccata anche se solo leggermente, ma ancora attaccata alla vita ai quattro angoli. Spesso l’attaccamento è appena percettibile».

Lo stesso discorso, penso, si può fare anche a proposito di chi scrive. Si può essere contenti e allo stesso tempo bisognosi di raccontare solo dolore, perché l’essere umano necessita di uno spazio dove tutto è concesso, dove la tristezza diviene fondamentale, dove la sofferenza può essere accettata e divenire fonte di nutrimento per la nostra creatività.

Amo il bianco tra le parole,
il loro margine ardente,
[…]

C’è un tempo per le parole e un tempo per la vita, un tempo per stare nel bianco, come scrive la poetessa Chandra Livia Candiani, per vivere ciò che non merita di essere sporcato da analisi particolarmente approfondite e parole che attanagliano il nostro cervello e ci impediscono di sentire la leggerezza che a volte la vita regala.

Leggo Marco Lodoli e non posso fare a meno di percepire un potere curativo, un po’ come una giornata passata a casa, quando del mondo non se ne può più. «La purezza è crudele, odia la vita», scrive l’artista romano, e io penso che, finalmente, ho trovato uno spazio in cui anche questi pensieri reconditi hanno la possibilità di prendere vita. 

Alessia Presterà 

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