15 novembre 2024

Il mostro viene a galla: uno sguardo nell'abisso tra The Leftovers e It


Il mostro trascende il limite di sopportazione che la ragione impone all’autocontrollo.
Nefasto per la labile capacità di razionalizzazione dell'essere umano è l'impossibilità di comprendere le concause che hanno generato la manifestazione mostruosa.

Nella serie televisiva americana The Leftovers l'epifania del mostruoso si compie mediante la scomparsa del 2% dell'umanità. Dal fatidico momento in cui milioni di persone sembrano svanite nel nulla, Kevin Garvey, Nora Durst, Matt Jamieson e tutti gli altri uomini e donne coinvolti nel globo devono affrontare l’esistenza futura scevri dalla possibilità di poter ritrattare l’avvenuto, senza poter incasellare in alcun modo l'evento.
La serie raggiunge il rango di capolavoro nel momento in cui ci mette di fronte alla crepa che ha sovvertito il piano apparentemente duplice della realtà: lo spettatore, infatti, viene a conoscenza solo alla fine dell’ultima stagione per bocca di Nora Durst, trasportata nell’altra dimensione attraverso un complesso esperimento scientifico, che in questo livello alternativo del reale vivono tutti coloro che si credevano morti.
Questo magnifico espediente narrativo ci consente di intuire che il mostruoso ha sempre a che fare con l'idiosincrasia dei fenomeni. Il mostruoso è il substrato cosmico che si manifesta nel momento in cui il piano dell’esperienza, la realtà consuetudinaria, subisce uno sconcertante ribaltamento. Quando ciò avviene, il terribile si rivela e il fragile scudo della razionalità è ineludibilmente infranto.


Persino gli argini del buon senso minacciano irreversibilmente di cedere, lasciando straripare proprio malgrado l’orrida eccedenza rispetto all'ordine illusorio con il quale la mente ha schematizzato il mondo. L’irruenza del mostro consiste nell’irreparabilità, nell'irrevocabilità di ciò che ha suscitato in chi ha guardato nei suoi occhi senza fondo. Scrutare l’insondabile implica l'inemendabilità delle conseguenze. Non vi è trattativa che regga, non si può mentire al fiuto dell’anima.
Il mostruoso può essere vissuto, può essere affrontato, ma non può mai essere compreso né conosciuto. Allora, ecco che per non cadere nella follia la mente reagisce negando ciò che ha esperito, cercando invano di rimuovere il vertiginoso paradosso che è costretta a incarnare.

Però può accadere qualcos'altro. La mente, infatti, può essere tentata di tornare a spiegare quel vissuto-subìto attraverso i termini insufficienti della ragione, senza rendersi conto che la ricostruzione avviene a posteriori, mentre il mostro è l’a priori inconfessabile. Per estrinsecare il ricordo che ne portiamo dentro ci vorrebbe una semantica diversa da quella umana, una semantica del liminale, di una prossimità sconosciuta. O forse non vi è alcuna semantica che possa compiere l’impresa di carpire l’inconcepibile.
Qualsiasi linguaggio, anche non umano, è incapace di esprimere la visione del mostro. Dinanzi ad esso si può solo rimanere senza parole, senza suoni, senza simboli, senza alcuna emissione che si cimenti con il non rappresentabile. Esso è il regno avvolgente del non simbolico.

Il suo nucleo è ineffabile, intangibile. Esternarlo in qualche forma è impossibile persino quando si manifesta in modo dirompente. Basta addentrarsi nelle pagine di It, lo straordinario romanzo di Stephen King, per capire che il mostro indossa le vesti di ciò che è a noi più vicino, più familiare, più recondito. Pennywise, il clown famelico e informe proprio perché multiforme, infatti, assume le sembianze dei timori più intimi dei protagonisti del libro.
Non ci si può mai assuefare alla sua comparsa: è un gomitolo inestricabile, è l'antitesi di tutto ciò che è abitudinario. Ha luogo una profanazione del sacro-percepito, inteso come l'immagine cristallizzata del mondo e di noi in esso che abbiamo nutrito fino a un dato momento, quello dell’imponderabile incontro.
Facciamo di tutto per arroccarci, imbrigliare la totale alterità insita in noi nelle convinzioni a cui si chiede soccorso per acquietare l’animo; desideriamo che l’immagine fallace e rassicurante resti intoccabile, perché scardinarla significherebbe scuotere le fondamenta su cui poggia la nostra precaria esistenza, significherebbe rimetterla in gioco radicalmente nella sua interezza.
Tendiamo a rivestire il nostro pensiero con un manto di ieraticità, ma quando subisce la prepotente ingerenza dell’inconoscibile ci troviamo sull'orlo del precipizio, nudi di fronte alla pazzia, immersi nell'ignoto in sua balìa.


Tuttavia, quando compiamo il passo di riaprire la nostra vita sulla frontiera col mostro, scopriamo che non solo il mondo non è disegnato a misura della nostra mente, ma anche che siamo in grado di far fronte al caos senza che questo ci atterrisca. La percezione dell’orizzonte di un nuovo senso possibile si palesa, e con essa una impensabile fiducia.
L'io si trova dinanzi a un bivio. Può prendere la strada del porsi le domande a cui ogni possibile risposta è preclusa, ovvero: “Perché il mostro ha scelto di incontrare proprio me? Non poteva eludermi?
Oppure può percorrerne un’altra, che consiste nel non chiudersi nella propria finitezza, anche per pochi istanti non potendo resistere all'urto di un orizzonte totalmente altro che si dispiega nella nostra interiorità. Non nonostante, ma in virtù dell’incontro con il mostruoso, ora meno terribile poiché abbiamo scoperto che esso è connaturato alla nostra anima, è costitutivo dei suoi meandri più remoti.

Tenere testa al mostro significa guardare con coraggio nell'abisso orrido della propria esistenza, come i ragazzi che in It compiono uno slancio titanico nelle viscere del terrore più cieco, cercando di non lasciarsi mortificare dalla consapevolezza che il principale movente delle nostre azioni, quello che credevamo essere il motore teleologico della nostra vita, è stato probabilmente una illusione.
Il mostro si annida sempre laddove l’implosione di ogni ragionevole senso può svelarsi in qualsiasi momento, in tutte le sue implicazioni.
Perciò, nonostante l'assurdità che custodiamo in seno ci getti nello sgomento, non dobbiamo distogliere lo sguardo ai prodromi del tremore: sarà solo il primo passo verso una palingenesi del medesimo e l’esplorazione del cosmo che ci alberga dentro.

Enrico Di Coste

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