Tra le opere realizzate da Tiziano Vecellio, pittore tra i più importanti della storia dell’arte italiana, quelle che compongono il ciclo delle cosiddette Poesie sono probabilmente le più particolari. Eseguite agli albori della fase finale della sua straordinaria carriera, le Poesie sono eccezionali tanto per la tematica trattata quanto per lo stile e la capacità pittorica di Tiziano, che ha voluto far emergere un filo conduttore in grado di unire tutte le otto opere appartenenti a questo ciclo, nonostante il decennio che separa la prima dall’ultima.
Dal punto di vista dei soggetti e della tematica trattata, le Poesie sono frutto non di una precisa richiesta del committente, ma della fantasia e della cultura di Tiziano, che intese riflettere sul rapporto tra pittura e letteratura, un rapporto che animava il dibattito nelle corti italiane ed europee del XVI secolo. In una lettera inviata a Filippo II, Tiziano anticipò quelli che sarebbero stati i soggetti da lui affrontati nelle Poesie: si tratta di dipinti mitologici ispirati fortemente alle fonti classiche, in particolare alle Metamorfosi di Ovidio e ai successivi volgarizzamenti dell’opera latina, in cui il filo conduttore è rappresentato da una componente di erotismo e di abbandono e rapimento sensuale.
Danae |
Ed effettivamente, dando un’occhiata ai dipinti, la componente erotica e di nudità caratterizza l’intero ciclo, a partire dalle prime due “poesie” realizzate, Danae e Venere e Adone, in lavorazione dal 1553 ed entrambe conservate al Prado di Madrid. Se la ripresa dalla letteratura antica e l’aspetto erotico è un tratto comune, differente è invece il registro stilistico delle due opere; nella Danae si può notare una pittura più sfaldata, quasi impressionista, in cui emergono sia la disgregazione della forma sia il contrasto chiaroscurale tra il primo piano e lo sfondo, che comunque non intacca la volontà di restituire l’opposizione tra la bella Danae, il cui corpo è offerto nudo in tutta la sua sensualità, e la nutrice alle sue spalle, vecchia e brutta, intenta raccogliere l’oro dalla pioggia dorata che cade dal cielo in cui si era trasformato Zeus per possedere la giovane. In Venere e Adone la pittura appare invece più definita e smaltata, con colori pieni, propri della tradizione veneta, che connotano paesaggio, sfondo, personaggi e animali. Anche in questo caso il corpo femminile di Venere viene proposto nudo e con una resa manieristica in primo piano, in tutta la sua carnalità, mentre la dea, invaghitasi del giovane cacciatore, cerca di dissuaderlo dal partire per la caccia: Adone morirà infatti straziato da uno dei cinghiali che stava cacciando e la dea non fece in tempo a salvarlo; il mito vuole inoltre che dalle lacrime versate da Venere nel punto di morte del giovane nacquero degli anemoni. Pur essendo contemporaneo della Danae, quest’opera appare più viva da un punto di vista cromatico e più definita dal punto di vista delle figure, aventi un loro peso e una loro forma riconoscibile.
Venere e Adone |
Tiziano terminò questo dipinto nel 1554 e lo inviò a Filippo II, che in quel momento si trovava a Londra per sposare Maria Tudor, insieme ad una lettera di accompagnamento in cui spiegò che avrebbe completato presto altre due “poesie”: si tratta di Medea e Giasone, di cui purtroppo non si sa più nulla, e di Perseo e Andromeda, completata probabilmente entro il 1556 e ora alla Wallace Collection di Londra. In quest’opera Tiziano riprende il mito della liberazione di Andromeda da parte di Perseo: la ragazza, figlia di un re etiope e di Cassiopea, è la vittima sacrificale che il mostro marino Ceto dovrà mangiare per scontare il peccato della madre, la quale aveva suscitato le ire di Nettuno; interviene però Perseo, figlio di Giove e Danae, che innamoratosi di Andromeda, arriva in volo, uccide il mostro e salva la giovane, precedentemente legata ad uno scoglio. Nell’opera si nota bene il contrasto tra lo sfondo in luce, in cui Perseo combatte con il mostro, e il primo piano invece più scuro, da cui emerge con forza il corpo di Andromeda, mostrato nudo e in tutta la sua bellezza e sensualità femminile mentre si libera dalle catene.
Andromeda e Perseo |
A partire dal 1556 Tiziano lavora ad altre due “poesie”, accomunate dalla presenza della dea Diana: si tratta di Diana e Atteone e Diana e Callisto, entrambe conservate alla National Gallery of Scotland di Edimburgo e spedite a Filippo II nel 1559, anche se il sovrano non le pagò mai. Per quanto riguarda la prima opera il frangente rappresentato è quello in cui Atteone sorprende nei boschi della Beozia la dea Diana e le sue ninfe mentre si stavano lavando ad una fonte, in un momento di nudità e intimità. Diana punirà successivamente Atteone per ciò che aveva visto trasformandolo in un cervo e rendendolo di fatto irriconoscibile, tanto che il giovane cacciatore sarà sbranato dai suoi stessi cani. Oltre ai preziosismi pittorici e cromatici dell’opera, che si pone a metà tra la pittura smaltata di Venere e Adone e la pittura più sfaldata e disgregata della Danae, è importante sottolineare come nel dipinto Tiziano si soffermi ancora sul concetto di sensualità e sul tema del corpo femminile offerto in tutta la sua nudità; il brano è infatti molto elaborato dal punto di vista compositivo: le donne, colte alla sprovvista da Atteone, cercano di coprirsi, ma i loro corpi nudi sono ancora tutti visibili (se non per quello della ninfa che si nasconde dietro ad una colonna) e questo aspetto aumenta la componente di erotismo e sensualità del dipinto. Lo stesso discorso vale, in maniera ancora più evidente, per la “poesia” Diana e Callisto: Callisto, figlia del re d’Arcadia Dicaone e ninfa di Diana, rifuggiva gli uomini; Giove, il quale si era invaghito di lei, si trasformò in Diana stessa per sedurla. La giovane ninfa nascose la gravidanza da cui sarebbe poi nato Arcade finché Diana la scoprì e la allontanò; intervenne anche Giunone che decise di trasformare Callisto in un’orsa, che venne cacciata proprio dal figlio Arcade. Per salvarla Giove trasformò sia Callisto che Arcade in due costellazioni, l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore. Il dipinto, anch’esso con elementi più definiti e altri più sfaldati cromaticamente (soprattutto il cielo e lo sfondo), restituisce un’immagine in cui a farla da padrone è l’aspetto erotico e sensuale: la dea Diana è portata in trionfo dalle sue ninfe mentre con la mano destra indica Callisto, seduta a terra in una posizione drammatica e quasi innaturale, sostenuta da altre tre ragazze che esibiscono i loro corpo svestiti. Si tratta di una scena in cui vengono espresse la nudità e la sensualità femminile colte in posizioni e atteggiamenti diversi.
Diana e Atteone |
Diana e Callisto |
In una lettera successiva Tiziano cita al suo committente le ultime due “poesie” del ciclo a cui sta lavorando, anche se solamente di una si ha la certezza della sua autografia: il Ratto di Europa e Atteone lacerato dai suoi cani. Entrambe le opere sono in lavorazione a partire dal 1559, ma solamente il Ratto di Europa, conservato ora all’Isabella Stewart-Gardener Museum di Boston, giunse a Filippo II, nel 1562. L’opera mostra la scena in cui Giove, invaghitosi di Europa, figlia del re di Tiro Agenore, si trasforma in un Toro e rapisce la giovane donna, che stava raccogliendo dei fiori sulla spiaggia insieme alle sue ancelle, per portarla sull’Isola di Creta e tentare di violentarla. Questo è il dipinto più vivido di colore tra le “poesie”, con la scena immersa completamente nella luce; Tiziano ha lasciato grande spazio al paesaggio, che diventa sempre meno definito, fino a far confluire nella stessa tonalità di azzurro le montagne, il cielo e l’acqua sullo sfondo. È evidente inoltre come l’artista abbia voluto dividere in due la scena e in effetti si nota una diagonale che taglia la composizione da destra a sinistra: nella metà di sinistra c’è spazio per il paesaggio e per la compagne di Europa disperate sulla spiaggia per il suo rapimento, mentre la metà di destra ospita il ratto vero e proprio, con la giovane che si dimena portata via dal toro, il quale sembra quasi scivolare sull’acqua. Completano l’opera tre amorini (due in alto e uno in basso a sinistra), che accompagnano il rapimento. Seppure Europa sia coperta da una veste bianca, la nudità del suo corpo emerge, in particolare per parte del seno lasciato scoperto, che conferisce l’aspetto di erotismo al dipinto.
Ratto di Europa |
Più complessa è invece la vicenda dell’ultima “poesia”, mai giunta a Filippo II, ossia Atteone lacerato dai suoi cani, da identificarsi con il dipinto ora conservato alla National Gallery di Londra. In quest’opera il processo di dissoluzione della forma che porta ad una pittura sfaldata e all’uso di macchie di colori, quasi fosse un anticipazione dell’impressionismo, sembra andare ben oltre le sperimentazioni delle altre “poesie” degli anni Cinquanta. Se infatti il dipinto citato da Tiziano nella lettera del 1559 è quello londinese, allora l’opera in questione deve essere stata portata avanti per più anni e da mani diverse e potrebbe trattarsi della tela che rimane nella bottega del pittore e che viene inventariata come “non finito” al momento della morte dell’artista nel 1576. Inoltre si può anche notare come la tela tenda ad una quasi totale monocromia, che contrasta con i ricercati effetti cromatici del Ratto di Europa e delle “poesie” precedenti. Anche per questo la componente di nudità e di erotismo che viene incarnata dalla presenza di Artemide, dea della caccia, sulla sinistra, con un seno scoperto, risulta meno evidente rispetto alle opere precedenti. Rimane tuttavia da capire se l’indefinitezza dell’opera sia data dall’abbandono effettivo della tela da parte di Tiziano oppure sia il risultato di un estremo esperimento di dissoluzione della forma. In ogni caso si tratta della “poesia” in cui la componente di femminilità e di sensualità della donna viene meno.
Atteone lacerato dai suoi cani |
Le “poesie” sono dunque un gruppo di opere legate tra loro dal filo rosso rappresentato da alcuni aspetti: nudità, femminilità, esibizione del corpo, sensualità, erotismo. Tutte tematiche profondamente indagate dagli artisti dell’età moderna, che in questo caso si uniscono ad un altro tratto comune a tutte le opere, ossia il richiamo alla letteratura antica. Il risultato è un complesso di dipinti dalla notevole levatura culturale a cui Tiziano dedica circa dieci anni del suo lavoro e che probabilmente meriterebbe di essere più conosciuto.
Lorenzo Castiglioni
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