22 dicembre 2024

La parabola della Vaporwave

La Vaporwave è morta, lunga vita alla Vaporwave.

Citazione, che nella sua contraddizione, riassume l’essenza di ciò che la Vaporwave è stata, è e sarà.
La Vaporwave è morta e già da qualche anno il movimento ha subito un declino inevitabile e intrinseco agli albori della sua nascita.
Lunga vita alla Vaporwave, perché nella morte la Vapor ha trovato il suo Nirvana, il suo desiderio di essere un fenomeno di passaggio senza raggiungere mai la definizione di genere Pop.
Perché interessarci di questo fenomeno? Perché per molti tratti ci permette, analizzandola, di tratteggiare una linea parallela di come alcuni tratti della società sono cambiati nel corso di quest’era digitale.
Dell’oceano Vaporwave, una vasta onda di nostalgia, distopismo e satira approfondiremo il genere musicale e estetico chiarendo quattro punti fondamentali:

  • Come è nata?
  • Perché è rimasto un genere di nicchia
  • Perché ne esistono così tanti sottogeneri
  • È ancora viva? Che fine ha fatto?

Come è nata?

La Vaporwave (termine che prende ispirazione da’’ Vaporware’’) è un sottogenere della musica elettronica indipendente e un movimento estetico, chiamato a e s t h e t i c, nato e cresciuto su internet e come tale, si divarica come un fiume in piena in tanti affluenti spesso non definibili.
Ma com’è nata la Vaporwave?
Partiamo dalle origini, un nome, Daniel Lopatin, un appassionato archivista musicale e compositore statunitense che nel il 19 luglio 2009, quando YouTube aveva appena quattro anni, pubblicò col nome di SunsetCorp i due brani caposaldo del genere: Angel e Nobody Here. In particolare, la traccia Nobody Here rende chiaro l’iniziale concetto della Vaporwave, costruita su un breve loop vocale di The Lady In Red di Chris De Burgh e un’animazione grafica computerizzata chiamata Rainbow Road, presa direttamente dal videogioco Laser Granprix del 1983. Questa traccia, dalle sonorità sognanti, ha versato la prima colata di cemento per creare le basi di una corrente artistica che nasce rappresentando con nostalgia un passato futuristico che non è mai esistito.
L’atmosfera creata grazie alla miscela visiva e musicale del brano rende tangibile un sentimento di malinconia e abbandono sperimentato nel contesto del tardo capitalismo, idea chiave del fenomeno Vapor, inoltre; l’altro intento è la critica e l’ironia degli anni 80 fino ai primi 2000. Nel 2010 è il turno di Eccojams Vol.1, album di Daniel Lopatin, questa volta sotto il nome di Chuck Person, in questa pubblicazione si consolidano tutte le premesse dei primi pezzi, tanto da essere definito il manifesto Vaporwave.
L’excursus del genere è complesso e lungo, pieno di artisti che hanno aggiunto sempre più un tocco personale e una caratteristica nuova alla Vapor, tra tutti, è imprescindibile la figura di Vektroid: pseudonimo di Ramona Xavier, che nel 2011 pubblica sotto il nome di Macintosh Plus l’album più conosciuto della vapor Floral Shoppe. Solo un anno dopo Daniel Lopatin.
La musicista statunitense riesce ancor di più a consolidare il genere musicalmente soprattutto con la traccia リサフランク 420 / 現代 の コンピュー .
È considerata una pietra miliare soprattutto per la nuova base estetica che ha donato alla Vapor: il busto greco in copertina spiattellato sullo sfondo retro-tecnologico sarà la base per i meme che invaderanno i social, ma anche per copertine, videoclip e tutto il mondo che vi gravita attorno. Vi sono altri artisti estremamente rilevanti nel panorama Vaporwave che hanno segnato il genere in modo significativo, ma elencarli tutti è impossibile, essendo un genere vario e pieno di ramificazioni, in cui è estremamente facile perdersi e dove spesso gli artisti assumono diversi nickname in base al periodo e al tipo di pubblicazione.
Per fare un esempio: l’artista Vektroid autrice di floral Shoppe, ha pubblicato i suoi brani e album sotto diversi nomi, ben 15: dstnt, Laserdisc Visions, New Dreams Ltd., Macintosh Plus, Virtual Information Desk, PrismCorp Virtual Enterprises, Peace Forever Eternal, CTO, Vektordrum, Vktrfry, Vectorfray, Tanning Salon, fuji grid tv, esc不在 e Sacred Tapestry.


Perché è rimasto un genere di nicchia?

Nato su 4chan, Reddit, Tinychat, condiviso esclusivamente su YouTube, Bandcamp e Soundcloud, la Vapor è inizialmente rimasta una piccola sottocultura di internet e come tale ha relegato come suo unico campo di battaglia le piattaforme elencate poco prima.
È intrigante notare come la sua evoluzione non l’abbia mai portata a diventare un genere popolare, sebbene avesse tutte le carte in regola per farlo, ma la natura della Vaporwave è proprio questa, ottenere una grande diffusione pur rimanendo un’esclusiva di nicchia, nonostante negli anni molti artisti hanno iniziato a pubblicare anche su Spotify.
Le motivazioni principali si potrebbero inquadrare puntando il mirino sulle due tipologie di ascoltatori del genere.
Da una parte chi fa parte della community Vapor, e dall’altra l’ascoltatore esterno che sconosce i tratti comunitari e sociali del genere.
Il primo, tende volontariamente a non voler vedere la Vapor riscuotere un grande successo, come tante nicchie nel web, essendosi creato un sentimento di unità e comunità che potrebbe essere corrotto per poi sfracellarsi, se la Vapor riscuotesse una grande popolarità, venendo contaminata da chi del genere non sa molto e non ha interesse nello scoprirlo. Quindi l’appassionato tende a difendere il proprio territorio con le unghie e con i denti, come nel caso della Barber Beats, una delle ultime correnti Vapor, che viene rinnegata categoricamente dalla community, nonostante possa essere benissimo identificata come un altro sottogenere, anche se in questo caso sarebbe più pertinente definirla ‘‘evoluzione’’. Il motivo è che sembra discostarsi troppo dall’ideale Vapor, infatti scardina i concetti pilastro del genere, utilizzando campionamenti diversi (downtempo, trip-hop, lounge, world music, jazz e house) trattandoli scostandosi dal tipico suono distorto e nostalgico della Vaporwave, rendendolo più pulito e melodico.
Si percepisce dalle pubblicazioni del prolifico MACROBLANK, dove l'estetica visiva delle copertine dei numerosi album e mixtape, va di pari passo a quella musicale.
Si discosta decisamente dal caos della dell'estetica Vapor, pulendo il disordine e il superfluo dei vecchi cliché, nonostante ci sia un ritorno dei busti e delle sculture romane, in questo caso desaturate e poste in un contesto spoglio e crudo.
Per molti considerata un’evoluzione per altri un genere a sé, lontano dalla vapor.
Dall’altra faccia della medaglia troviamo l’ascoltatore esterno che anche per via di alcuni luoghi comuni, come il supposto carattere satirico e parodistico del genere, ha l’idea che vada apprezzata ironicamente, in un parallelismo coi meme e la cultura trash, non dando un effettivo valore musicale, estetico e artistico.
In fin dei conti sono spesso brani campionati che non fanno altro che modificare una traccia già esistente, rallentandola, abbassandone o alzandone la tonalità, il tutto con una dose massiccia di distorsioni riverberi, glitch e echi, che per l’ascoltatore di passaggio, non è nemmeno considerata musica da prendere sul serio, ma solo un pasticcio psichedelico no sense.
E’ vero, il no sense è una delle caratteristiche di questa subcultura, ma non è il suo punto focale, come si può notare dalle parole del critico musicale britannico Simon Reynolds nel libro Retromania riferendosi a Daniel Lopatin dice:

Lopatin era rimasto colpito da quell'‘oggetto visivo’ trovato, perché lo ‘skyline urbano gotico’ scardinava le ‘associazioni sdolcinate e sentimentali degli arcobaleni’, oltre a incarnare l’alienazione della vita metropolitana. Da qui la dolente carica simbolica del loop: There’s nobody here.

Tuffarsi nel mondo della Vaporwave è decisamente complicato, è un universo dispersivo e pieno di sottogeneri che si mescolano tra di loro, tanto che si può finire ad ascoltare un brano Vapor senza rendersene conto.
Un ultimo piccolo elemento da non sottovalutare sta nell’estetica e nei titoli dei brani, nonché i nomi degli artisti, che sono strettamente legati al Giappone, video di spot del sol levante e nomi di brani e artisti che utilizzano i kanji per nominare le loro opere, questo rende la Vapor difficile da trovare per un occidentale, nonostante sia esso il pubblico di riferimento.
La scelta di usufruire della cultura pop giapponese non è dettata dal caso o da un purò senso estetico infatti; la cultura occidentale degli anni Ottanta e Novanta, utilizzata dagli artisti, è stata bombardata da prodotti giapponesi, dagli anime ai manga.

Perché esistono così tanti sottogeneri della vaporwave?

È curioso cercare di capire come mai la Vaporwave abbia nella sua scuderia una barriera corallina di sottogeneri, spesso di dubbio gusto, così vicini tra loro, ma allo stesso tempo lontani.
Tra tutti si distinguono soprattutto la Classic Vaporwave, la Dreamwave, la Vaportrap, late night Lo-Fi e EccoJams.
La missione di questa terza parte è capire come mai ne esistano così tanti, le motivazioni si possono individuare attenzionando più aspetti:
  1. La Vapor è nata e fatta per il web, lo sappiamo bene, internet è una rete che si estende in tutto il mondo e questo ha scaraventato al genere influenze diverse e complesse in base all’artista che la crea. A differenza di altri generi, che spesso sono riconducibili a una cultura e a un luogo ben preciso (per esempio il Grunge come il genere di Seattle), gli artisti sono sparsi in tutti i punti del globo, sviluppando velocemente diverse correnti e comunità in base alla nazionalità. Difatti; il caso nostrano della community italiana, si distingue per i campionamenti di brani di spot degli anni 80, jingle della vecchia rai e personaggi italiani come Salvini e Maurizio Costanzo.
  2. Un’altra motivazione sta nel processo di creazione di un brano Vapor, come ho detto nella prima parte, consiste nel campionare altri brani e questo ha consentito la nascita di tanti sottogeneri diversi, in base alla traccia campionata. La Broken Transmission che utilizza sample di spot pubblicitari, Jingle radiofonici che a differenza della Future Funk utilizza brani Funk e disco giapponesi degli anni 80. Lo stesso meccanismo vale per la A E S T H E T I C, infatti, l’utilizzo di diversi video e immagini per comporre le copertine degli album e brani ne può influenzare anche il sottogenere musicale.
  3. La componente meme e no sense della Vaporwave è una componente determinante in questo frangente, sottogeneri come la Simposonwave e la Trumpwave, non sono altro che sottocorrenti ironiche che si basano sull’utilizzo specifico di estetiche e campionamenti legati a un personaggio, cartone e tanto altro.
  4. Un’altra motivazione è l’intento dell’artista. La Vaporwave si differenzia per la sua critica al capitalismo, la nostalgia e il no sense, tre caratteristiche che possono essere legate o meno, ci sono brani vapor che puntano tutto sulla nostalgia e altri sia alla critica del capitalismo che alla nostalgia, in questo modo si sviluppano diverse costole in base all’obbiettivo che il brano vuole raggiungere.
  5. E’ un’ipotesi un po’ azzardata, ma nell’effettivo la Vapor è anch’esso una costola della musica elettronica indipendente, e la musica elettronica come la vapor, ha un’infinità di sottogeneri spesso quasi uguali. Tale padre tale figlio.

La Vaporwave è ancora viva? Che fine ha fatto?

La Vaporwave è morta, lunga vita alla Vaporwave.

In conclusione, viviamo in un periodo in cui la Vapor è diventato quel passato nostalgico da cui ha sempre preso spunto, un campionamento di sé stesso, nata per creare un futuro mai esistito attraverso il passato, ma che adesso è diventato realtà.
La sua morte è un passaggio, già previsto, che ne consacra l’immortalità, la sua vita eterna.
La nostra società attuale è lo specchio della Vaporwave, un futuro incerto e un vuoto nell’animo espresso in quel no sense che forse non è davvero senza senso.
Nel concreto, la Vaporwave esiste nella sua nicchia e continua a sfornare sottogeneri molto validi come la Barber beats, che conta all’attivo diversi artisti e tanti album tutti da ascoltare nonostante scardini molti dei principi del suo genere madre.
Uno sguardo al passato, uno sguardo al futuro.


Vincenzo Romano

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