7 gennaio 2025

Da Corazzini a Bukowski: il poeta malinconico definisce se stesso


La malinconia è ciò che racchiude l’anima in una bolla e la solleva con le ali della nostalgia. E’ ciò che non accarezza come un giorno di sole, ma graffia come la buia notte, ispirando parole, musica e colori. Quella sensazione che l’artista cerca per poter succhiare il nettare delle sue emozioni, che si trasformano in arte. Se ne è sprovvisto, la cerca nei luoghi, nelle persone, perché ne ha bisogno, come un assetato nel deserto.
E’ ciò che Victor Hugo definisce “la gioia di essere tristi”, in queste parole si coglie pienamente la complessa essenza di uno stato d’animo così sfaccettato da essere inspiegabilmente in equilibrio tra gioia e tristezza.

Tutti i poeti conoscono la malinconia, l’hanno frequentata più o meno assiduamente e l’hanno traslata sulla carta, trasformando parole in preziose gemme che rimarranno per sempre nei nostri cuori, ognuno con il suo stile l’ha cantata dandone sfumature diverse.
Interessante l’approccio scelto da Eugenio Montale che nei versi di Non rifugiarti nell’ombra, descrive un malessere profondo e si esprime in questi termini:

Pure, lo senti, nel gioco d’aride onde

che impigra in quest’ora di disagio,

non buttiamo già in un gorgo senza fondo
le nostre vite randage.

Come quella chiostra di rupi

che sembra sfilacciarsi
in ragnatele di nubi;

tali i nostri animi arsi.

Come sua consuetudine, l’autore ci lancia parole pesanti come pietre e, nel suo linguaggio duro e scarno, parla di "gioco d'aride onde" che rappresenta il disagio esistenziale. La poesia si conclude con i due protagonisti che si abbandonano alla tristezza del quotidiano, accompagnati dalle loro anime cupe.

Per osservare la malinconia da un’altra prospettiva, ci avvaliamo della visione di Pablo Neruda che ne crea un legame con la nostalgia. Neruda ci accompagna nella sua infanzia, nel suo rimpianto tenero e sconsolato del passato. Di seguito alcuni versi della poesia Alla Tristezza

Ricordo me stesso alla finestra che guardavo ciò che non era,
e un’ala nera d’acqua che calava su quel cuore
che lì forse ho scordato per sempre.

Dammi il tuo lento sangue, pioggia fredda, dammi il tuo volo attonito!

Al mio petto rendi la chiave della porta chiusa, distrutta.

Per un minuto, per una breve vita,

toglimi luce e lascia che mi senta sperduto e miserabile,

che tremi tra le fibre del crepuscolo,

che riceva nell’anima le mani tremebonde della pioggia.

   

Il poeta che più di tutti si avvicina al sentire contemporaneo, descrivendo uno stato d’animo frutto di un disagio individuale, è Charles Bukowski. L’autore viene associato alla corrente del cosiddetto “realismo sporco”, sviluppatasi negli Stati Uniti fra gli anni ’60 e gli anni ’80 del Novecento. 

La poesia Fuori posto, ci consegna la sensazione di non essere nello stesso posto degli altri, ma essere assolutamente perso. Mentre tutto scorre tranquillo per tutti, lui è l’unico individuo che diventa un estraneo e brucia nell’inferno di se stesso: 

Brucia all’inferno

questa parte di me
che non si trova bene in nessun posto.

Si assomigliano tutti:

si riuniscono, si ritrovano, si accalcano,

sono allegri e soddisfatti

e io sto bruciando all’inferno.

Non sono come gli altri. 

Io sto bruciando all’inferno.
L’inferno di me stesso.

  

Questa breve incursione nella malinconia del poeta ci induce a domandarci: Chi è il poeta? Si potrebbe definire come una persona dotata di un grado notevole di immaginazione o di sentimento, che riesce a commuovere e a toccare le corde dell’anima. Ma queste parole non bastano, perché è difficile spiegare questa figura dalla spiccata sensibilità, che può palesarsi in diversi modi a seconda del carattere dell’individuo e del periodo storico che sta vivendo. Ma perché non rivolgere direttamente ai protagonisti questa domanda. Chi meglio di un poeta può definire se stesso.

Sergio Corazzini nella poesia Tu descrive un uomo solo, perso nella notte scura, che una passante scambia per un triste vagabondo:

Tu che stanotte, uscendo da una festa

m'hai scorto ai piedi d'un fanal, seduto;

a rosicchiare un torzo, e un poco mesta

m’hai gettato uno scudo ed un saluto;



tu che mi vedi errar solo nel mondo,

oh, non devi pensar tu folle e lieta

che io sia qualche triste vagabondo,

no, bimba mia, fui sol troppo poeta.

  

Pablo Neruda nel componimento La Poesia, ci spiega come è diventato poeta. Per lui è stato un richiamo molto forte a cui non ha saputo resistere, ne è stato inebriato e travolto, in un turbinio di emozioni profonde e meravigliose, che lo hanno fatto sentire in sintonia con la natura:

Accadde in quell'età... La poesia

venne a cercarmi. Non so da dove

sia uscita, da inverno o fiume.

Non so come né quando.

Ed io, minimo essere,

ebbro del grande vuoto

costellato, a immagine del mistero,

mi sentii parte pura dell'abisso,

ruotai con le stelle,

il mio cuore si sparpagliò nel vento.

Non si è poeti senza la giusta ispirazione, Alda Merini in I poeti lavorano di notte ci rende partecipi di questo momento intenso, descrivendo l’istante in cui le parole prendono forma e si lasciano imprimere nella carta. L’ispirazione avviene nel silenzio della notte, quando tutto tace e parla solo il genio:

I poeti lavorano di notte

quando il tempo non urge su di loro,

quando tace il rumore della folla

e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio

come falchi notturni od usignoli

dal dolcissimo canto

e temono di offendere iddio

ma i poeti nel loro silenzio

fanno ben più rumore

di una dorata cupola di stelle.

  

Infine citiamo Charles Bukowski e la sua crudele lucidità. L’autore si rivolge direttamente ad un ipotetico aspirante poeta in E così vorresti fare lo scrittore, lo esorta a non impugnare la penna se non lo sente veramente, se non ha qualcosa da dire. Viceversa potrà farlo se arderà in lui la sacra fiamma che lo accompagnerà per tutta la vita:

Se non ti esplode dentro

a dispetto di tutto, non farlo,

a meno che non ti venga dritto dal

cuore e dalla mente e dalla bocca

e dalle viscere, non farlo.

Quando sarà veramente il momento,

e se sei predestinato,

si farà da sé e continuerà

finché tu morirai o morirà in

te, non c’è altro modo,
e non c’è mai stato.

  

In conclusione si può affermare che c’è qualcosa di inspiegabile e profondo nei motivi che spingono un uomo a nutrirsi di malinconia, che diventa compagna inseparabile del suo viaggio verso la bellezza assoluta di un verso poetico, di un dipinto, di una sinfonia. 

La poesia non è altro che il tentativo di esprimere un tormento  incomprensibile e misterioso, che appartiene all’essere sensibile e unico che è il poeta, a cui possiamo solo dire grazie. 

                     Catia Mattiuzzo

Nessun commento: