Non credevo di essere una persona che non racconta niente di sé. Non ho mai creduto di esserlo. Adesso so che lo sono. Che ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male.
Cose che non si raccontano, il romanzo autobiografico di
Antonella Lattanzi che riesce ad arrivare in modo struggente al lettore. A colpire è la schiettezza dell'autrice che parla non solo della sua
ricerca di maternità ma della fragilità di tutte le donne, le madri e le non madri, che ad un certo punto della loro vita hanno dovuto rispondere alle domande: lo voglio un figlio? Dovrò rinunciare a me stessa, al mio lavoro, alla mia indipendenza per crescere un bambino?
Questa è la storia di una donna che a vent'anni ha praticato due aborti perché non era ancora il momento giusto per diventare madre, a quell'età una ragazza deve inseguire i propri progetti e non può permettersi un bambino. Quando però tutto nella vita sembra essere al punto giusto, una relazione stabile, il progetto di diventare una scrittrice ormai è affermato, inizia la
disperata ricerca della maternità. Tutto parte così dai primi controlli e presto quella che doveva essere una storia felice si trasforma in una
storia di sangue, intanto il pensiero di meritare tutta la sofferenza che ha vissuto diventa una costante:
Un'interruzione volontaria di gravidanza è un diritto, me l'ha insegnato mia madre. Ma a quella madre, che ho esercitato questo diritto non posso dirlo. Lo so che è un diritto, e ci credo come fosse una fede. Eppure, quando è successo quello che è successo, e anche da molto prima, quando finalmente mi sono decisa e ho cominciato a provare ad un figlio, per anni, quando non arrivava mai, il pensiero di quei due bambini è diventato costante. Questa tragedia, non ho potuto che concludere, me la sono meritata.
Con la Pma (procreazione medicalmente assistita) continua la sofferenza e tutto ciò che potrebbe andare male è destinato a finire nel peggiore dei modi, anche quando per pochi mesi il test di gravidanza continua ad essere positivo e nel ventre della protagonista crescono tre vite.
Un desiderio naturale che viene raccontato come una valanga interiore che coinvolge tutti, in primis il rapporto di coppia con Andrea il quale non è proprio come il tipico uomo dei romanzi rosa, o almeno così lo descrive la protagonista che invece vede il suo corpo martoriato e sofferente mese dopo mese.
La storia della Lattanzi candidata al premio strega 2024 riesce, attraverso una voce così intima, a raccontare lo sguardo pungente e giudicante della società, in particolare la società della pandemia e del post pandemia, sempre pronta a puntare il dito e ad etichettare la donna e il suo corpo:
Quando finalmente mi sono decisa a fare un figlio, a quasi trentotto anni- ahi ahi ahi, sento le voci di mia sorella e di alcune donne che conosco, perché ti sei decisa così tardi?
Questa storia è ricca di personaggi secondari, dalle amiche che la sostengono al dottor S. che riesce a starle accanto con molta sensibilità senza giudicare, al personale sanitario messo a dura prova dal
Covid e non presta attenzione alla tragedia che sta vivendo la donna.
La protagonista però non è solo una donna, ma è anche una scrittrice che sente il bisogno di condividere la memoria della sua esperienza, la scrittura a tratti frammentaria diventa un modo per scandagliare il suo dolore, se le cose non si raccontano non sono mai esistite, ma in quanto scrittrice arriva il momento di fare i conti con la pagina bianca:
Come non mi concedo mai di parlare di cose mie che stanno dentro quella diga. Mentre scrivevo mi dicevo: io che sono abituata a creare un discorso narrativo, un viaggio dell'eroe, peripezie che l'eroe attraversa e poi vince o perde, io che faccio? Come scrivo questo libro? Ho dovuto arrendermi e cambiare.
Agata Guglietta
Nessun commento:
Posta un commento