7 febbraio 2025

Monica Vitti nello sguardo di Michelangelo Antonioni

Il ricordo di una figura attoriale è strettamente legata ai registi che l’hanno diretta. Sguardi e sensibilità diverse tracciano i confini di un corpo e di una voce che diventano protagonisti delle storie che popolano il piccolo e il grande schermo. Racconti indimenticabili, battute passate alla storia ed entrate nel parlato quotidiano, occhi che catturano il pubblico: tutto questo è ciò che lascia ai posteri chi recita e spera di “abitare”, per quanto possibile, la memoria degli spettatori, anche quando la persona lascia questa terra per approdare verso una nuova vita, quella a tutti noi ignota. Una delle attrici più popolari del cinema italiano, scomparsa pochi anni fa, è Monica Vitti e il cineasta che l’ha resa grande nella prima fase della sua carriera è stato Michelangelo Antonioni.

Il 2 febbraio 2022, dopo anni di lontananza dalle scene, Monica Vitti scompare a 90 anni lasciando un vuoto nel mondo della settima arte, ma anche tanti bei ricordi. I primi risalgono ai primi anni del suo lavoro di attrice, quelli in cui lei fu la protagonista della celebre “tetralogia dell’incomunicabilità” di Antonioni, costituita dalle pellicole L’avventura del 1960, La notte del 1961, L’eclisse del 1962 e Il deserto rosso del 1964. In questi famosi lungometraggi del regista ferrarese, oltre alle doti recitative di stampo drammatico di Vitti che emergono chiaramente, a catturare l’attenzione di pubblico e critica è anche l’immagine in termini di estetica e stile. 

Infatti, ne L’avventura, presentato al Festival di Cannes, Vitti interpreta Claudia, l’amica della protagonista Anna (Lea Massari) che sparisce misteriosamente durante viaggio a Lisca Bianca, nelle isole Eolie dopo una discussione con il compagno Sandro (Gabriele Ferzetti). Qui, come afferma la docente ed esperta di cinema Cristina Colet in un interessante contributo a lei dedicato intitolato Monica Vitti. Un’icona della modernità:

prevale un discorso sulla moda e sulle immagini. Gli abiti indossati da Claudia/Monica Vitti sono il tratto distintivo che la differenziano dal resto delle donne borghesi che la circondano, identificandola come una ragazza moderna, ma al contempo le permettono di connotarla come una outsider rispetto alla classe sociale borghese in cui si inserisce. Il look spesso scarmigliato, le mise in bilico tra modernità e minimalismo mettono in evidenza un corpo femminile più sottile del rigoglioso passato che riflette i tormenti e le contraddizioni di una società in mutamento. Anche la recitazione della Vitti in queste prime esperienze con Antonioni si concentra su una gestualità più ponderata, il minimalismo che la caratterizza le consente di interiorizzare la fragilità dei personaggi, restituendo un’immagine di femminilità posata e connotandola come musa dell’incomunicabilità sia in Italia, ma soprattutto all’estero, tanto che per il «The Observer» è «una delle più squisite giovani attrici italiane».

In un film nuovo, capace di rappresentare al meglio la modernità sotto molteplici punti di vista e di interpretare l’angoscia di quel periodo, l’apporto recitativo di Monica Vitti è quello di porsi in linea proprio con questa modernità.

L’anno successivo Antonioni dirige Vitti in La notte, Gran Premio Orso d’oro al Festival di Berlino. Questo lungometraggio ha come protagonisti Jeanne Moreau e Marcello Mastroianni e racconta la storia della relazione in forte crisi fra il romanziere Giovanni e la moglie Lidia, entrambi amici di Tommaso, che sta per morire di cancro. In questo contesto caratterizzato dal disagio psicologico si inserisce il personaggio di Valentina, per l’appunto interpretato da Vitti, oggetto di attenzioni da parte di Giovanni durante una festa mondana organizzata da suo padre, un ricco industriale. In questa pellicola, Vitti ha un ruolo secondario ma comunque molto importante e anche qui riesce a rendere bene la condizione di inquietudine e ad affascinare con la sua bellezza. Il critico Giorgio Tinazzi, a proposito del personaggio di Valentina, afferma:

[…] Valentina è una donna inquieta e la sua insoddisfazione è, in un certo senso, rivolta al futuro; inappagata dai sentimenti di cui sente la sfuggevole consistenza, la fragilità, il venir meno non appena sfiorati («quando trovo il modo di comunicare mi pare che l’amore svanisca»). Il suo strano isolarsi da quel mondo di “sonnambuli” (il titolo del libro di Broch che essa legge è indicativo) quasi a contemplare le astratte e fredde geometrie di pavimenti, il sottrarsi alle insistenze di Giovanni, sono come un indice dell’insicurezza che essa sente in sé, del suo ritrovarsi priva di forze («sono uno straccio»). Dinanzi a lei Giovanni e la pigrizia sentimentale: tanto Valentina è disponibile, tanto lui è ormai chiuso entro gli schemi dell’acquiescenza, del freddo schema.

Valentina è stata considerata come una figura enigmatica, triste, solitaria. La bellezza di Vitti è particolare, lontana dai canoni estetici di quel tempo, quindi certamente molto riconoscibile. 

Per Monica Vitti e Michelangelo Antonioni dopo La notte arriva L’eclisse, Premio Speciale della Giuria al Festival internazionale del film a Cannes nel 1962. Qui Vitti interpreta Vittoria, una ragazza borghese che dopo aver chiuso la sua relazione con il fidanzato, si sente attratta da un giovane agente di cambio molto diverso da lei, interpretato da Alain Delon. Sull’importanza che Vitti ha avuto in quanto musa del personaggio creato da Antonioni, in quel periodo anche suo compagno di vita, è intervenuta la scrittrice e giornalista Oriana Fallaci che su «L’Europeo» nel 1961, mentre si girava questo lungometraggio, scrive: 

Il fatto che lavorino insieme e questo lavoro nasca dalla loro vita in comune mantiene salda un’intesa che non è amore né collaborazione ma complicità. […] Se è vero che Antonioni scrive con la macchina da presa, è anche vero che Monica gli fornisce ogni giorno il materiale da scrivere.

Il critico cinematografico Giovanni Grazzini sul «Corriere della Sera», in merito alla figura di Vittoria/Vitti, scrive:

L’eclisse è’ ancora una volta un ritratto di donna, ma di una donna propria di Antonioni, ormai destinata a identificarsi, nella memoria degli spettatori, con la personalità mutevole e perplessa di Monica Vitti. Si chiama Vittoria, […] Anna nel L’avventura, Lidia nel La notte. Abbandonato un uomo che non ama più, si ritrova sola, stanca, avvilita, disgustata, sfasata: sono le sue parole. È giovane, è bella, ha quanto basta per vivere. Ma è un’intellettuale e una sentimentale: cerca negli altri un calore di vita, una facoltà di appassionarsi di cui essa stessa è ormai svuotata. Tenta di fingerseli, e si avventura in un flirt con un giovane agente di cambio, che le dà «la sensazione di essere all’estero», poco più di un ragazzo, tutto l’opposto di lei: cinico, sicuro di sé, donnaiolo, perfetto esemplare, diciamo di un giovane sano e normale (l’ottimo Alain Delon). […] Questa Vittoria ancora si salva: è una ragazza che fa una gran fatica a vivere, è una solitaria che cerca nei grandi spazi e nella natura quella pace e quella libertà da se stessa, di cui è priva, si appoggia alle amiche per convincersi che ognuno ha le proprie ansie, ha dissociato l’amarsi dal comprendersi («Non bisogna conoscersi per volersi bene»), non sa dare risposta a nessuno dei propri interrogativi: insomma è una creatura viva e vera, vittima anche della cultura moderna.

Dunque, come gli altri personaggi precedentemente citati, anche ne L’eclisse a Vitti viene data la responsabilità di dar vita a figure emblematiche che possano ben rappresentare le difficoltà esistenziali del tempo attraverso la pratica recitativa.

Infine, due anni dopo L’eclisse è il momento de Il deserto rosso, Leone d’Oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia, nonché primo film in cui Antonioni utilizza il colore. In questa pellicola Vitti interpreta Giuliana, una donna nevrotica e fortemente angosciata che vive con il marito e il figlio Valerio nel contesto del paesaggio industriale di Ravenna. In un’intervista che il celebre regista Jean-Luc Godard fa ad Antonioni su i «Cahiers du cinéma», emerge l’idea che il cineasta ferrarese ha del personaggio interpretato da Vitti e delle sue problematiche:

[…] la nevrosi che ho voluto descrivere ne Il deserto rosso riguarda soprattutto la questione dell’adattamento. Ci sono persone che si adattano, altre che invece non ci riescono, forse perché sono troppo legate a delle strutture, a dei ritmi di vita che oggi sono superati. Il problema di Giuliana è questo. A provocare la crisi del personaggio è il divario insanabile, lo sfaldamento tra la sua sensibilità, la sua intelligenza, la sua psicologia e il ritmo che le è imposto. È una crisi che non riguarda solo i rapporti epidermici con il mondo, la percezione dei rumori, dei colori, della freddezza delle persone che le stanno intorno, ma tutto il sistema di valori (educazione, morale, religione) ormai superati e che non servono più a sostenerla. 

Ne Il deserto rosso Vitti porta sullo schermo un personaggio complesso in cui molte persone possono riconoscersi ed è forse quello più vicino all’idea di “alienazione”, legata tanto ai personaggi da lei interpretati quanto, più in generale, ai lungometraggi di quel periodo di Antonioni. Infatti, nel 1963, Fallaci, intervistando Vitti, chiede: «vado in giro […] insieme alla mia curiosità, inappagata, la mia ignoranza mortificata, mentre questa parola cresce, si dilata, si gonfia: e io ne ho tale complesso che non riesco più a pronunciarla. Signorina Vitti, lei che è il simbolo stesso di questa parola, sia buona, sia gentile, mi dica: ma l’alienazione, cos’è?» A questa domanda l’attrice risponde: «A me lo chiede? Io che ne so? A casa mia questa parola non si è mai pronunciata. […] Non l’ho mica inventata io. Siete voi giornalisti che l’avete inventata». 

1 commento:

Elisabetta Antonioni ha detto...

Grazie per questo interessante e ben documentato articolo.