Iniziata nella seconda metà degli anni Sessanta, la storia dei Fleetwood Mac è quella di uno tra tanti complessi nati in quegli anni; un gruppo che ha vissuto fortune alterne e svariate metamorfosi organiche e stilistiche, ma che si è definitivamente consacrato con il suo lavoro forse più controverso, nel suo momento più buio.
Gli artisti sono fatti così; navigano a cavallo tra sogno e realtà, con la testa in alto tra le nuvole. A volte sembrano vivere alla giornata, apparentemente scollegati da ciò che li circonda, ma invece accumulano esperienze, immagazzinando il caos dell'esistenza per risputarlo fuori sotto forma di qualcosa di bello e universale, distillando emozioni complesse e contraddittorie in forme che toccano il cuore e la mente. Ma non solo: provano a dare un perché ad elementi che di per sé non ce l'hanno, ricoprendo, quindi, un ruolo molto importante nell'universo di quelle strane creature chiamate “esseri umani”.
Per un artista, la propria arte è spesso un'àncora di salvezza e anzi, alcuni hanno addirittura bisogno di grattare il fondo del barile, di sguazzare nell’oscurità del profondo della loro anima, per poter arricchire il proprio arsenale di esperienze a cui attingere.
Molti artisti si esprimono al meglio proprio al picco del loro tormento, e sono innumerevoli le dimostrazioni di questo fenomeno. Tra queste c'è la storia di un’opera musicale tra le più illustri del Novecento, nata dalla dannazione, figlia legittima del dissidio interiore. Mi riferisco a Rumours, celeberrimo album e capolavoro assoluto della band anglo-americana Fleetwood Mac; punto di riferimento del rock anni Settanta ed uno tra i dischi più venduti della storia della musica; un lavoro di livello talmente alto da potersi permettere di scartare dalla selezione finale un brano come Silver Springs (se non lo conosci, ti consiglio di rimediare in fretta).
Ma procediamo dal principio:
Corre l'anno 1976, e il quintetto dei Fleetwood Mac è reduce dal tour per quello che fino a quel momento è il loro massimo successo, ovvero il loro album omonimo, sfornato l'anno precedente e che vede, oltre al trio originario composto da John McVie (basso), Christine McVie (tastiera e voce) e Mick Fleetwood (batteria), l'aggiunta di una coppia di talentuosi musicisti americani emergenti, molto affiatati sentimentalmente e musicalmente, e con carisma e star power non indifferenti: Stevie Nicks e Lindsey Buckingham.
La bionda Stevie e il riccioluto Lindsey sono un paio di voci ed una chitarra aggiunti al servizio della formazione già presente, ma soprattutto due formidabili penne; due autori innovativi ma navigati. Sono proprio loro a regalare a quell'album contributi fondamentali, scrivendone complessivamente 6 delle 11 tracce ed affiancando la terza cantautrice della band, Christine McVie, con cui nasce un'intesa musicale ed umana che si rivelerà molto prolifica. Proprio di Nicks sono le famosissime Rhiannon e Landslide, fondamentali per trainarli verso le vette delle classifiche di tutto il mondo.
I nuovi innesti dei Fleetwood Mac si rivelano vittoriosi, ma al momento di ritornare in studio per lavorare ad un nuovo progetto, la situazione intestina al gruppo è tutt'altro che rosea. I coniugi John e Christine McVie sono in procinto di chiudere il loro matrimonio dopo oltre sette anni; proprio in questo periodo, Christine si imbarca in una relazione clandestina con Curry Grant, tecnico delle luci della band, mentre è ancora sposata. Gli stessi Buckingham e Nicks sono giunti al culmine della loro lunga e tormentata storia d'amore e si lasciano durante le registrazioni, ed infine il batterista Mick Fleetwood, scoperto il tradimento della moglie (cognata di George Harrison) con il migliore amico di lui, decide di divorziare per poi iniziare successivamente un altro affair, proprio con la Nicks. In tutto questo, i membri del gruppo si trovano costretti a lavorare a stretto contatto tra di loro in uno scenario surreale dominato da tensione, discordia e droga a tonnellate tra una sessione e un'altra, e con le illazioni della stampa scandalistica a gettare ulteriore benzina sul fuoco (da qui le dicerie che daranno il titolo all'album).
La scrittura delle canzoni ne è inevitabilmente influenzata e, di pari passo, l'intera band vede il picco massimo di sofferenza emotiva coincidere con la massima ispirazione artistica. I cinque usano trovarsi in studio solo a notte fonda, al termine di festini proiettati alla via della perdizione, e qui provano insieme brani che si riveleranno successi stratosferici, come la velenosa Dreams, canzone con cui Stevie augura ad un Lindsey desideroso di ritrovare la propria libertà, di impazzire per ciò che sta per perdere, e di essere perseguitato dalla solitudine e dal pentimento per la sua scelta. A questa, Lindsey risponde con l'energica overture Second Hand News e soprattutto con la sua invettiva Go Your Own Way, che vede una Nicks furiosa pretendere invano la rimozione di una delle parti più dure che la riguardano. I due versi incriminati la accusano di voler prendere tutto e scappare con un altro uomo: “packing up, shacking up is all you wanna do”, ed ovviamente li troviamo nella versione finale del disco.
Dal canto suo, Christine scrive You Make Loving Fun, descrivendo un miracolo; la magia di una storia d'amore che, come si può intuire, non è ispirata al marito John, ma i due non affrontano la questione per non fomentare l'esplosione di nuovi litigi, preferendo evitarsi reciprocamente in silenzio. Inoltre, completa il suo contributo con Songbird: sonata romantica di solo pianoforte, Oh Daddy: vero e proprio inno d’amore disperato, ed infine Don't stop: uno dei due messaggi di speranza dell'album. L'altro è Never Going Back Again, terzo ed ultimo exploit individuale di Buckingham, che però sembra portare un po’ di amaro in bocca e non essere totalmente convinto della propria redenzione. Portano invece la firma di Nicks I Don't Want to Know, in cui duetta con la sua vecchia fiamma, e la mistica Gold Dust Woman, che chiude l'album. Ma è l'undicesimo ed ultimo pezzo, quello maggiormente rappresentativo del più grande paradosso di questo lavoro così monumentale. The Chain infatti è caratterizzata da virtuosi intrecci di chitarre e da cori malinconici delle tre voci soliste, ma soprattutto, riflette impeccabilmente la contraddizione di fondo dell'album, che poi è la sua più grande forza, e cioè la perfetta armonia musicale-artistica del quintetto, a dispetto delle insanabili fratture personali che lo funestano a livello interno.
Questa traccia, scritta a dieci mani in una sessione riunita dei cinque, racchiude tutti gli elementi più essenziali del progetto: dualismo tra amore e odio, versi romantici disperati, decantati nelle bugie e nel rumore sordo dei mille cocci di cuori infranti, e poi dolore e sentimenti estremi ed autodistruttivi, proprio come gli stili di vita di persone non progettate per campare in altra maniera. Infine, dedizione completa alla musica, all'intreccio di sensibilità spiccate e note seducenti, in un momento nel quale sarebbe di gran lunga più conveniente sottrarsi e fuggire. Già, perché in tutti i pezzi dell'album, tutti i membri impiegano anima e corpo, cantando e suonando con grande passione (o forse solo professionalità) di violente bordate e frecciatine maliziose dirette talvolta a sé stessi, e scritte dalle persone più care e vicine.
Serve una certa dose di pelo sullo stomaco per coadiuvare un pezzo sul tradimento di tua moglie ai tuoi danni, con uno dei tuoi riff di basso migliori, così come è assurdo e tremendo dover cantare le doppie alla tua ex che ti insulta e detesta, peraltro esponendoti nudo sotto i riflettori del mondo intero.
Partorire un album con dei presupposti del genere è arduo, richiede sacrifici e grande forza di volontà, ma questo è probabilmente anche ciò che permette di chiudere il cerchio; l'azione catartica che consente all’artista di salire in cattedra ed arricchire di senso una parabola nel pieno del suo svolgimento. Perché gli artisti veri, se devono parlare di sé stessi, non hanno bisogno di favole o maschere, né di parafrasare il proprio malessere per farsi belli, ma si mostrano in tutta la loro fallibilità, sbattendoti in faccia le proprie mancanze, il proprio disordine interiore, in un modo che solo il talento può rendere attraente.
Su questo capolavoro si è detto e scritto molto. Il suo contenuto è di tutti; parla a tutti, ma la traiettoria della sua gestazione è un insegnamento soprattutto per ogni artista là fuori (che sia consapevole di esserlo o meno). È l'esempio di come, attraverso una visione, ci si possa affrancare dalla propria condizione di smarrimento, scrollandosi dalle spalle il peso di demoni e passati scomodi, ed elevandosi oltre sé stessi. È questo, forse, il valore aggiunto più importante di questa storia; il senso ultimo di questa epopea fuori dall'ordinario.
Il 4 febbraio 1977 vede la luce Rumours, e come si dice, il resto è storia.
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