20 marzo 2025

Perché la musica d'avanguardia non è adatta alle sale concerto

Il rapporto tra la musica cosiddetta colta e il pubblico è sempre stato problematico, soprattutto a partire dal Novecento. Nel XX secolo infatti la “nuova” musica è stata spesso associata all’avanguardia, in particolare quella dodecafonica e seriale. Un’avanguardia che ancora oggi, a distanza di settanta o cento anni, non trova uno spazio adeguato nei programmi di sala, che si fermano perlopiù all’inizio del Novecento, con Debussy e Ravel. Ma cosa rifiuta il pubblico? In generale, tutte le opere che escono dagli schemi del sistema tonale che, da tre secoli circa, è la struttura utilizzata dai compositori occidentali. 

Senza entrare nei dettagli tecnici, la musica tonale è caratterizzata da suoni tensivi e altri distensivi, che alternandosi creano un discorso musicale. È ovvio che, da quando è nato, gli schemi di questo sistema abbiano conosciuto dei cambiamenti: soprattutto a partire dell’Ottocento, i suoni tensivi, le cosiddette dissonanze, hanno iniziato ad essere più presenti nei brani, per generare più pathos e un maggiore senso di ambiguità (dopotutto siamo in pieno Romanticismo!). Alla fine del XIX secolo, soprattutto con Debussy (1862-1918), si assiste all’utilizzo di un sistema tonale allargato, in cui i rapporti tensione-distensione non sono più quelli canonici e soprattutto ci sono elementi del sistema modale, con le scale esatonali (utilizzate ad esempio nella musica popolare). 

È chiara quindi la ricerca dei compositori di nuove strutture musicali, se non di veri e propri sistemi. Il primo a proporne uno nuovo, all’inizio del XX secolo, fu Arnold Schönberg (1874-1951): il sistema dodecafonico, che prevede l’assoluta uguaglianza dei dodici suoni all’interno di un’opera. Nel sistema tonale, in base ai già citati rapporti di tensione e distensione, alcuni suoni erano più importanti di altri, e venivano di conseguenza ribaditi più spesso durante il corso del brano. Lo schema ideato da Schönberg prevede che nella composizione la stessa nota possa essere ripetuta soltanto dopo aver eseguito le altre undici. Vengono quindi eliminati, almeno idealmente, i concetti di dissonanza e consonanza. 

Si era creato uno strappo ideologico ed estetico col vecchio mondo musicale e da allora, tra gli “addetti ai lavori” sono nate, in sostanza, due fazioni: chi segue la via tracciata da Schönberg e chi invece la rifiuta eseguendo o componendo brani tonali. 

Al netto delle opinioni dei musicisti, rimane però un dato di fatto: spesso il pubblico medio rifugge la musica d’avanguardia, considerata nel migliore dei casi bizzarra, nel peggiore inascoltabile. Considerando, come si scriveva all’inizio, che nonostante siano presenti da almeno un secolo, le musiche sperimentali ancora non sono accettate dal pubblico, occorre fare una riflessione sulla funzione che ha questo tipo di musica. Forse, il concerto ottocentesco non è il più adatto per la loro fruizione. Molte di queste, forse, non sono neanche adatte per un pubblico. Per spiegare meglio quest’idea, potrebbe essere utile richiamarci a due termini religiosi, complementari: esoterismo ed essoterismo. Con il primo si indica una serie di conoscenze che non possono essere svelate ai non-adepti, mentre il secondo, al contrario, tutti quei saperi che è permesso divulgare al pubblico. Ogni amante della musica classica ha ben presente le estrose (ed essoteriche) Rapsodie ungheresi di Liszt o le calde Sinfonie di Brahms; difficilmente però riesce a ricordare un Klavierstück di Schönberg. In generale, la musica d’avanguardia appare come un ammasso di suoni confusi, mentre in realtà, ci sono delle strutture precise, come ogni esecutore sa. Il punto è proprio questo: i parametri della composizione d’avanguardia, di solito, sono irriconoscibili per il pubblico medio, perché non attingono a un orecchio comune, come invece, attraverso un lungo processo, fa la musica tonale. Attingono invece dalla singola percezione della realtà degli autori che li generano, in un processo artificiale più che istintivo, in quanto altrimenti si ricadrebbe nel già sentito, ovvero l’orecchio comune. Insomma, il compositore d’avanguardia, rispetto a quello tonale, può soltanto sussurrare la sua realtà, ancora fragile perché nuova. A chi la sussurra? All’esecutore, cioè all’unica persona che può intravedere i suoi schemi, così diversi dai tipici dell’orecchio comune. Ecco quindi che la sua musica si configura come esoterica, cioè in un rapporto privilegiato, se non esclusivo, con l’unico uomo che può capirlo. Tale esoterismo, nel Novecento, è stato scoperto da Carmelo Bene (1937-2002): i dialoghi di C.B. non sono rivolti al pubblico, ma a sé stesso mentre si sente dir l’ascolto. Bene, semplificando, attua una sorta di autocoscienza del suo stesso parlare e del suo stesso ascolto, mentre legge i grandi capolavori da lui rivisitati. Ecco perché è impossibile parlare in  maschera, ma si può soltanto sussurrare, strepitare, sospirare, e l’unico strumento che ha il pubblico per sentirlo è il microfono, che amplifica il significante

Allo stesso modo, il compositore d’avanguardia, inconsciamente o no, fa cadere il linguaggio comune e scrive una musica che si potrebbe definire di bassa intensità, poco conoscibile, se non all’esecutore. Quale può essere quindi lo strumento che, come il microfono di Bene, può mettere in comunicazione il creatore della musica con il pubblico? Forse, la registrazione è al giorno d’oggi la soluzione più efficace per entrare in intimità con il compositore: vuol dire annullare le barriere fisiche e sociali che dal vivo possono nascere. Un po’ come leggere Leopardi in solitudine, ascoltare Schönberg all’interno delle cuffiette o della propria camera permette una predisposizione diversa dell’animo, capace di dialogare con l’opera d’avanguardia in libertà e dis-imparando, direbbe Bene, ogni difesa dell’orecchio comune. 

Riccardo Rosas

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