Nell’arte la fine non esiste. Uomini e donne del mondo della pittura, della scultura, della musica, della letteratura, della danza, del cinema e di tutte le altre forme di espressione artistiche muoiono solo in qualità di esseri umani, soggetti al ciclo della vita esattamente come tutti, ma le loro opere restano e il loro “respiro” dura per sempre. L’arte e gli artisti sono, dunque, imperituri ed è, forse, per questo che Eugenio Cappuccio, nel raccontare la figura dell’uomo e del cineasta Federico Fellini, ha deciso di intitolare il suo documentario Fellini fine mai.
Fra le sue pellicole più celebri si ricordano I vitelloni del 1953, La dolce vita del 1960, 8½ del 1963, Roma del 1972 e Amarcord del 1973. Nel 1993, nello stesso anno della sua morte a Roma, Fellini riceve l’Oscar alla carriera.
Fellini fine mai, prodotto da Rai Cinema e da Aurora tv e disponibile su Raiplay, vede la luce per volere della Direzione di Rai Teche, il più grande archivio audiovisivo d’Italia, al fine di celebrare il centenario della nascita del cineasta di Rimini. Il documentario è stato presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2019 in concorso nella sezione “Venezia Classic. Documentari sul Cinema".
In Fellini fine mai il regista de La dolce vita viene raccontato dalla viva voce di Eugenio Cappuccio che conosce a Rimini quando è ancora un ragazzo e con cui avrà il piacere e l’onore di collaborare nelle vesti di assistente alla regia dopo aver frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Le parole di Cappuccio concorrono, così, alla creazione dell’immagine di Fellini insieme a tutte le altre personalità, per lo più facenti parte del mondo dello spettacolo, presenti nel documentario. Dall’attore Sergio Rubini che lo definisce un «poeta di provincia» al regista e critico cinematografico Mario Sesti che sottolinea la possibilità di immedesimarsi nei suoi film, passando per lo scrittore Tullio Pinelli che parla di Fellini come di un «poeta con un suo mondo filosofico preciso e personale». Fra le altre testimonianze, si ricordano anche quelle di Vincenzo Mollica, dello scrittore e assistente di Fellini Andrea De Carlo e dell’attrice Christina Engelhardt. Non mancano, inoltre, le parole dei familiari e dei più cari amici del cineasta di Rimini, che porgono al pubblico un punto di vista più intimo e privato, come nel caso del compagno di banco, della sorella Maddalena e della nipote Francesca.
Un aspetto su cui è bene soffermarsi e che viene ben sottolineato all’interno del documentario è quello relativo al rapporto fra Fellini e il celebre fumettista Milo Manara. Il loro sodalizio artistico e personale inizia grazie a Vincenzo Mollica, grande amico di entrambi che li mette in contatto. Fellini, oltre ad essere naturalmente conosciuto per la sua importante attività registica, è, come detto, anche appassionato di disegno sin da giovane e ciò costituisce, senza dubbio, un filo conduttore con la figura di Manara. Il cineasta di Rimini chiede al fumettista di realizzare delle illustrazioni per una sceneggiatura, pubblicata poi sul «Corriere della Sera», intitolata Viaggio a Tulum, che non diventerà una pellicola ma un fumetto. In seguito, la collaborazione fra i due artisti continua con un altro progetto, Viaggio di G. Mastorna, di cui esce solo la prima storia pubblicata nel numero 15 della rivista «Il Grifo» dell’estate 1992.
Queste le parole del regista Cappuccio sul suo documentario:
Ho deciso di dividere idealmente il film in due parti. Nella prima lo spettatore viene orientato verso la biografia e le prime opere di Fellini, per rivivere l’unicità della sua figura umana e artistica. La seconda parte è strutturata sotto forma, per così dire, di una detection che a sorpresa ci conduce in uno scenario singolare e non spesso visitato, quello dei due film che Fellini non volle o non poté fare: Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna. La narrazione in prima persona con la voce fuori campo crea un punto di osservazione privilegiato sul grande regista e il suo mondo estetico e filmico. Il tutto nel respiro di una poetica e di un’arte, quella di Fellini, che appunto ispira il titolo del film-doc, imperitura e destinata a non finire mai.
In questo interessante documentario un regista, Cappuccio, racconta un altro regista, Fellini, attraverso numerose testimonianze di amici, colleghi e conoscenti, che riguardano vita e lavoro artistico. Certamente, non c’è una fine in Fellini, perché le sue opere filmiche, i suoi disegni e i suoi pensieri consegnati al pubblico sono ancora qui e continueranno a restare, dunque: Fellini fine mai.
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